18 marzo 2016 – “Germania 1943. Grecia 2016” ?

Immaginate di vedere una foto in cui si contrappone la bambina col cappottino rosso del film Schindlerlist e una foto dei profughi in grecia in cui una bambina tenuta per mano da un adulto viene evidenziata perchè a colori rispetto al bianco e nero. Cosa possiamo dedurne? Quale effetto e riflessione vuole suscitare il grafico?

Cercherò di spiegare in breve quello che una brava e giovane studiosa, Fiorenza Loiacono,  ha espresso in un lungo e circostanziato articolo in un blog riprendendo, alcuni giorni fa, un precedente blog dalla pagina facebook dell’Internazionale (una rivista pregevole per impostazione ed intenti).     Il blog della testata “Internazionale” faceva un parallelo tra due foto per creare emozione accostando alla Shoah la tragedia dei profughi che attualmente fuggono dalla Siria e tentano di raggiungere un’Europa che alza dei muri e circonda i paesi di filo spinato (http://www.tpi.it/mondo/italia/pop-shoah-tragedia-profughi ).

La puntualizzazione di Fiorenza Loiacono è volta a stabilire le differenze tra le due immagini e, in primis, l’accostamento di una immagine filmica, creata apposta, nella parte superiore con una reale nella parte sottostante.

Altra critica della studiosa è all’errore secondo cui la prima immagine tratta dal film  “Shindler’s list”, è riferita alla Germania mentre  narra del ghetto di Cracovia in Polonia. Sembrano sottigliezze ma sono in realtà un modo superficiale di trattare argomenti molto delicati e complessi. La Shoah è diventata in questi anni di grande diffusione di studi, ma soprattutto di film e romanzi, un paradigma per spiegare tutto quello che di terribile compie l’umanità.

In realtà l’umanità ha commesso innumerevoli atti di crudeltà contro soggetti tra i più diversi e accanirsi a usare la Shoah per spiegare tutto il male, non fa che abbassare l’attenzione per la specificità che l’ha invece caratterizzata.

In sintesi Fiorenza Loiacono sostiene che “porre a confronto gli eventi e farlo con i mezzi appropriati non è in assoluto sbagliato, anzi può rivelarsi utile a comprenderli, purché se ne riconoscano le specificità e le differenze.

Se anche i profughi siriani non sono condotti alle camere a gas, non per questo la questione va liquidata brutalmente. Da un certo punto di vista, tale reazione di rifiuto potrebbe essere considerata un altro effetto collaterale di una memoria del genocidio ebraico condotta malamente, secondo un automatismo privo di pensiero ed elaborazione.

A furia di mostrare immagini di camere a gas, forni crematori e cataste di cadaveri, senza contestualizzarle e senza soffermarsi sui fattori che hanno portato a questo sterminio, si è contribuito forse ad innalzare la soglia di accettazione della disumanità: se i camini non si stagliano all’orizzonte non si fa nulla, non è pericoloso, non è quello”.

Con i ragazzi a Melara
Con i ragazzi a Melara

La accurata disamina di tanto approccio alla Shoah ci è servita per interrogaci sullo scopo e i modi in cui abbiamo condotto il nostro intervento nelle scuole e presso le istituzioni in occasione della giornata della Memoria e in quella del Ricordo.     Quando abbiamo presentato il nostro studio “…Siamo qui solo di passaggio” a Melara, a Castelmassa, a Ficarolo e recentemente a Stienta, lo abbiamo fatto parlando di storia e di vicende precise, mai slegate dalla documentazione e dalla testimonianza.    Abbiamo parlato di quello che è accaduto in quegli anni nella provincia di Rovigo, come in molte altre del Nord Italia, ma siamo anche stati pronti a rispondere a tutte le domande di bambini che volevano sapere, che erano curiosi di capire “perché” agli ebrei e in quel modo.

Non ci siamo mai sognati di dire che conoscere sia “evitare che accada ancora”, abbiamo spiegato che la violenza è anche oggi sotto gli occhi di tutti ma quello che dobbiamo evitare è che si ripetano i meccanismi che portano l’individuo a farsi massa non pensante. Speriamo di aver seminato e di aver fatto della Shoah uno specifico momento di riflessione sul sé e non solo sull’altro.