Taglio di Po (Ro)

A Taglio di Po sono internate 3 famiglie: Markus e il figlio Joseph Zamojre; Salomone Afnaim con la moglie Lea Dana e i due figli; Nissim Razon, la moglie Regina Afnaim e le due figlie; la mamma di Salomone e Regina, Vittoria Ciprut vedova Afnaim.

 

Zamojre Markus di Solomon ed Esther Frisch,

nato a Zaleszczyki (Polonia) il 16/08/1893

commerciante di tabacchi, coniugato con Eleanor Wiesenthal deportato da Auschwitz il 16/05/1944,

ucciso in data ignota

Zamojre Joseph di Markus ed Eleanor Wiesenthal, nato a Greiz (Germania) il 28/06/1921 figlio deportato da Auschwitz il 16/05/1944,

sopravvissuto

 

Markus Zamojre, polacco, coniugato con Eleanor Wiesenthal Gefner, dal settembre 1941risulta iscritto nella lista dell’Alto Commissario Grazioli tra gli ebrei da internare in Italia, insieme al figlio Joseph.

La famiglia Zamojre vive a Francoforte e Markus gestisce un negozio di pipe e tabacchi sulla principale via commerciale della città tedesca. Nel periodo estivo trascorre a Greiz le vacanze, in un clima che già durante la repubblica di Weimar risente delle divisioni sociali tra destra e sinistra e dell’antisemitismo.

Durante la famigerata kristallnacht, la “notte dei cristalli” tra il 9 e il 10 novembre 1938, Markus viene ferito, il negozio e i beni distrutti. Durante la sua degenza in ospedale moglie e figlio si nascondono presso amici per la paura che i maltrattamenti continuino.  “Arrivai appena in tempo per correre nell’attico con mio padre, prima che cominciassero l’assalto della nostra casa e la distruzione dei nostri beni” racconta Joseph Zamojre nel suo memoriale consegnato all’Holocaust Memorial di Washington, “dalla finestra assistemmo con orrore a quanto stava avvenendo per la strada. Vedevamo le sinagoghe bruciare, scorgemmo un pompiere sul tetto di una di queste che non cercava di spegnere il fuoco, ma soltanto di evitare che andasse verso le case “ariane”. Qualcuno aveva messo un talled davanti a una finestra esponendolo al dileggio della folla (…) Kristallnacht è un eufemismo che usiamo oggi per definire quello che successe allora. In realtà non fu solo una nacht, la furia durò l’intera giornata. Molte persone furono uccise. I campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Oranienburg a Brandeburgo erano pronti.

Nel 1939 le discriminazioni diventano violenze vere e proprie, così anche la famiglia Zamojre si prepara a fuggire, con l’incertezza su quale percorso scegliere per affrontare minori pericoli.

Nel 1940 padre e figlio, senza la madre che avrebbe dovuto raggiungerli in un secondo tempo, decidono di andarsene attraverso la Jugoslavia; riescono ad arrivare a Zagabria grazie a un’associazione sionista, e nella città croata entrano in contatto con Recha Freier che dirige l’Aliyat Noar [1] per favorire l’emigrazione in Palestina. Il piano di fuga prevede che dalla Jugoslavia si passi via terra attraverso Turchia, Siria, per arrivare infine in Palestina.

Nell’aprile 1941 però la Germania invade la Jugoslavia, con la connivenza del croato Ante Pavelic, insediato a capo del governo dell’ex regno jugoslavo per volontà dei tedeschi. I fascisti croati e gli italiani sono alleati dei tedeschi e ovviamente supportano l’occupazione, riottenendo il controllo di Slovenia e Dalmazia.

Nel novembre del 1941 i due Zamojre, insieme a un gruppo di giovani e di insegnanti ebrei (quel gruppo prenderà poi il nome di “Ragazzi di villa Emma”[2]), si trasferiscono a Lubiana, nella zona controllata dagli italiani.

Joseph e il padre rimangono con il gruppo solo per il periodo trascorso dai ragazzi nel Castello di Lesno Brdo, presso la capitale slovena. Infatti la burocrazia italiana iscrive tutti gli ebrei in un elenco, suddividendoli tra quelli destinati al campo di concentramento e quelli all’internamento libero. Sembra che le discriminanti per la scelta siano la possibilità di mantenersi con mezzi propri, oltre che la consistenza dei nuclei familiari. Agli Zamojre tocca lasciare la Jugoslavia per l’Italia, così avviene il distacco dal gruppo dei giovani sionisti.

In treno, attraverso Venezia e Ferrara, padre e figlio raggiungono Rovigo e vengono assegnati all’internamento libero a Ficarolo, cittadina in cui abitano un piccolo appartamento e iniziano a far conoscenza con la popolazione.

La testimonianza di Joseph ci racconta che risale al dicembre 1942 l’ultima lettera della madre Eleanor, in cui la donna comunica che sta per essere deportata nel nel ghetto di Lodz. Di lei non si saprà più niente.

I due Zamojre vengono quindi trasferiti a Taglio di Po, probabilmente perché hanno instaurato legami troppo stretti con gli abitanti di Ficarolo, che hanno familiarizzato con i due stranieri internati nonostante la legge lo vieti tassativamente.

Nel frattempo si susseguono gli avvenimenti della guerra, e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 l’Italia si ritrova praticamente divisa in due, con il meridione invaso dagli Alleati che stanno risalendo la Penisola, e il settentrione invaso dalle truppe tedesche fiancheggiate dai fascisti di Salò.

Approfittando di un permesso chiesto per recarsi a Modena per raggiungere il gruppo di Villa Emma a Nonantola, gli Zamojre nel settembre 1943 fuggono e si rifugiano nel Delta del Po, dove vengono nascosti da un pescatore e da suo figlio, che li ospitano nella loro capanna. Joseph e Markus condividono quell’esistenza semplice, pescando e cacciando tra i canneti. Ma c’è un grave pericolo: le delazioni, e anche le frequenti retate dei militi fascisti, decisi a debellare la resistenza partigiana che è sorta tra le isole del Delta.

Padre e figlio Zamojre riescono a nascondersi tra i canali e le canne del Po con l’aiuto dei due pescatori fino al 20 febbraio 1944, quando vengono catturati e inviati, dopo un breve peregrinare tra le carceri, al campo di Fossoli.

Da Fossoli, il 16 maggio 1944 partono per Auschwitz, con un viaggio in treno lungo 8 giorni.

Ad Auschwitz Birkenau, Markus riceve il numero di matricola 5521 e Joseph il 5522. Sono assegnati al Kanada Kommando come addetti alla classificazione e separazione dei bagagli dei deportati.

Il 7 ottobre 1944 c’è un tentativo di rivolta e di distruzione del Crematorio 2: l’insurrezione non ottiene esito positivo, e a causa di essa alcuni prigionieri vengono spostati dal campo e inviati a Buna-Monovitz, a lavorare nella fabbrica IG Farben. In questa occasione, padre e figlio vengono separati.

Il 18 gennaio 1945 viene evacuato il campo di Buna-Monowitz e per Joseph inizia una marcia verso destinazione ignota; tali marce in seguito verranno definite “marce della morte”, poiché avevano lo scopo di uccidere i deportati con il freddo, la fame e la fatica. Joseph, come quei pochi che sono ancora abbastanza in forze, approfitta della marcia per fuggire attraverso i boschi, alla ricerca dei russi e della liberazione.

Dopo aver girovagato alla ricerca di notizie sui familiari e sul destino del padre, il ragazzo ripercorre a ritroso il viaggio della deportazione, arrivando in Italia, a Venezia. Nella zona del ghetto della città lagunare prende contatti con la Brigata Ebraica; insieme ai nuovi compagni raggiunge Roma, e dalla Capitale un’organizzazione americana gli consente di emigrare negli Stati Uniti, partendo dal porto di Napoli nel febbraio 1947.[3]

Si stabilisce quindi a New York , dove vivono la zia Rose e la cugina Judith Malina, emigrate in America con lo zio Max Malina già negli anni ’20, e il 18 agosto 1952 si sposa con Gisela Eckstein, anche lei sopravvissuta ai campi nazisti.

Joseph Zamora, il nome che assume in America, ha scritto un memoriale, depositato presso il Museo dell’Olocausto di Washington.

Joseph vivrà fino all’estate del 2001.

 

Le altre 9 persone internate a Taglio di Po hanno una vicenda molto simile a quella della famiglia Caro, internata a Ficarolo.

[1]              Si definisce ancor oggi aliyah l’immigrazione organizzata di giovani e adolescenti della Diaspora verso Israele. Letteralmente la parola significa “ascesa”. Si distinguono diversi tipi di immigrazione tra cui  l’ Alyat Noar o Ha-Noar è quella giovanile

 

[2]              Un ampio racconto dell’esperienza dell’aliah e delle vicende del gruppo dei Ragazzi di Villa Emma è riportato nel libro di J. I. Ithai, Anni in fuga. I ragazzi di Villa Emma a Nonantola, a cura di Klaus Voigt, Giunti,Firenze,2004.

 

[3]              Tutte le notizie riguardanti Joseph Zamojre sono tratte dalla testimonianza che egli stesso ha concesso, completata il 10 novembre 1988,  revisionata definitivamente il 24 luglio 1995 da Clare Rosenfield e depositata all’ Holocaust Memorial di Washington. Traduzione dall’inglese a cura di  Alberta Bezzan.