Salomone Venezia figlio di Isacco Venezia e Angel Doudoun, nato a Salonicco ma ebreo italiano con origine a Venezia, dove i suoi documenti sono conservati all’anagrafe del Comune, è tornato nella città che ha dato il nome alla sua famiglia, non come turista ma come membro della sua comunità grazie all’invito del prof. Shaul Bassi, e del Consiglio dell’Ateneo Veneto.
Dopo che il libro “Sonderkommando Auschwitz”, scritto con la giornalista Béatrice Prasquier, è stato tradotto in 23 lingue e dopo che l’Unesco ha celebrato la giornata della memoria 2011, invitando Shlomo Venezia come testimonial di eccellenza, finalmente anche la città di Venezia ha accolto la sua straordinaria voce nell’incontro di mercoledì 16 febbraio.
La sala dell’Ateneo nel Campo San Fantin, si è riempita di persone giovani e meno giovani, molti i membri della comunità ebraica di Venezia e tra tutti Amos Luzzato, attuale presidente della comunità.
Dal tavolo dei relatori Michele Gottardi, presidente dell’Ateneo, e Simon Levis Sullam, giovane storico di Cà Foscari, hanno introdotto la serata con i saluti e i ringraziamenti da parte del Sindaco e dell’assessore alla Cultura della città, oltre che con una presentazione molto precisa che ha sottolineato l’unicità della testimonianza di Shlomo Venezia.
Gli amici de “Il Fiume” sanno con quanta lucidità e forza instancabile Shlomo racconti le vicende della sua vita altrimenti oscura, se non fosse stato per l’accanimento nazista a sterminare metodo industriale facendolo diventare uno degli ingranaggi del sistema.
Il suo racconto è sempre il più scarno possibile, perché è difficile trovare le parole per dire quel che ha vissuto, e quando parla del compito cui era destinato deve usare la parola “lavoro” perché la più neutra da emozione e la più vicina a quello che i nazisti avevano creato. Una catena di montaggio dell’orrore in cui i membri del “sonderkommando” svolgevano un lavoro a “tempo determinato”, fino alla loro stessa uccisione perché testimoni scomodi.
Più volte abbiamo sentito la sua testimonianza ma questa volta la sua forza viene ravvivata dal luogo e dall’occasione. Per merito dei membri del Consiglio dell’Ateneo Veneto, prestigiosa istituzione culturale della città di Venezia, la testimonianza così unica ha avuto una cornice degna che nemmeno il tempo inclemente è riuscito a scalfire.
Così l’incontro ha tenuto incollati alla voce di Shlomo i molti presenti, attenti e partecipi fino alla fine, quando, dopo l’abbraccio di Amos Luzzato, tutti hanno avuto il tempo di salutare e avvicinare Shlomo per avere la sua firma sul libro, a suggello di una giornata particolare.
La pioggia insistente ha impedito ai coniugi Venezia, nel corso della giornata, di uscire e fare una visita alla città, in compenso l’instancabile Marika si è avventurata all’anagrafe di Cà Farsetti, dove un funzionario ha confermato che lo stato di famiglia di Shlomo Venezia è presente e annovera, accanto ai genitori Isacco e Angel, i figli Mosche (Moisè – Moritz, il fratello sopravvissuto ad Auschwitz), Salomone-Shlomo, Rachel (la sorella maggiore anche lei sopravvissuta al campo), le piccole Maria e Marta (uccise con la madre all’arrivo al campo).
Confermata dall’anagrafe veneziana, l’appartenenza alla città ora resterebbe da scoprire attraverso gli archivi storici o della comunità ebraica, quando dalla Spagna arrivò la famiglia dei perseguitati, senza cognome, che come altri cercò scampo e lo trovò, anche se provvisorio, nella Serenissima. Chissà che questo ritorno non sia anche un riavvicinamento al lontano passato e non possa, col tempo, aggiungere un tassello alla storia di Shlomo Venezia.