ADRIA

La città di Adria è uno dei centri più importanti del Rodigino, oggi conta oltre 21.000 abitanti e la sua fama è dovuta al fatto di essere stata una fiorente colonia etrusca e avere dato il nome al Mare Adriatico. Sede di numerosi istituti scolastici superiori, può vantare un importante Museo Etrusco, un ospedale, la caserma dei Carabinieri;  all’epoca di cui ci occupiamo, ovvero gli anni ’40 del XX secolo, era dotata anche di un piccolo carcere.

Durante la Seconda guerra mondiale vivevano ad Adria  alcuni ebrei italiani “misti”, ma una sola persona, secondo la legge del 17 novembre 1938, fu considerata di “razza ebraica”. 

Ravenna Anselmo di Silvio e Adele Clerle, nato ad Adria il 16/06/1878 Agente assicurativo; coniugato con Rosa Maestri deportato ad Auschwitz; ucciso a Mauthausen in data ignota

Anselmo Guido Ravenna, nato ad Adria il 16 giugno 1878, sposato con Rosa Maestri, una donna “ariana”, vive con la moglie e la figlia Clara ed è un agente assicurativo. La coppia ha un altro figlio, Silvio, che dopo il matrimonio si trasferisce  a Torino.

La vicenda di Anselmo Ravenna è documentata nell’Archivio di Stato di Rovigo, dal quale sappiamo che viene arrestato una prima volta il 5 dicembre 1943 e rinchiuso nel carcere di Adria dove rimane fino al 23 gennaio 1944, quando è rilasciato.

Ripreso il lavoro, torna alla sua vita fino al 1° agosto 1944, quando viene di nuovo fermato, incarcerato a Padova e da qui trasferito a Trieste: non si sa su quale convoglio è deportato ad Auschwitz. Morirà nel campo di Mauthausen in data ignota.

La casa di Adria dove i Ravenna abitavano e che Anselmo aveva donato ai figli il 15 novembre 1943, viene sequestrata. Esistono diverse lettere scritte da Rosa Maestri Ravenna al Prefetto di Adria, in cui cerca di ottenerne la restituzione, protestando le ormai disperate condizioni economiche sue e della figlia, gravemente ammalata. L’ultima lettera è datata 10 gennaio 1945, porta la firma di Rosa e Silvio Ravenna. Clara era morta il 6 dicembre 1944.

L’Archivio Comunale di Adria è disperso in diversi edifici comunali, anche fatiscenti, e non si sono trovati documenti utili a tracciare la presenza e le vicende dei nuclei di ebrei stranieri che vi erano stati inviati a internamento.

Le notizie e le tappe dell’internamento di alcune famiglie sono state interamente ricostruite  attraverso il materiale rinvenuto presso   l’Archivio Centrale dello Stato di Roma.

Heller Samuele di Guglielmo, nato a Roma il 03/12/1886 Cameriere; capofamiglia ucciso ad Auschwitz il 03/08/1944
Supino Teresa di Leone e Fortuna Di Veroli,

nata a Roma il 05/04/1890

moglie uccisa ad Auschwitz il 03/08/1944

I coniugi Samuele Heller e Teresa Supino sono arrestati ad Adria nei primi giorni del dicembre ’43. Gli Heller si trovano probabilmente ad Adria perché sfollati; entrambi sono nati a Roma e non risultano né fra i residenti della Provincia, né fra gli iscritti della Comunità di Padova, né nei diversi elenchi di ebrei italiani stilati dalla Prefettura di Rovigo.

Dopo l’arresto la coppia è imprigionata nella Villa Contarini Venier del Comune di Vò Vecchio (in Provincia di Padova) sui Colli Euganei, da cui viene trasferita a San Sabba e deportata da Trieste ad Auschwitz con il convoglio del 31 luglio 1944. Tutti e due sono uccisi all’arrivo, il 3 agosto 1944.

I loro nomi non compaiono su nessuno degli elenchi ritrovati, neppure fra gli “ebrei di nazionalità italiana arrestati”, sono però sicuramente fra i prigionieri di Vò Vecchio, il Comune che ospitò il campo di concentramento per gli ebrei padovani e veneziani dopo l’8 settembre 1943, come attesta la lista di coloro che avevano depositati i loro averi nell’ufficio postale locale.

Internati ad Adria ci sono tre gruppi familiari provenienti dal regno di Jugoslavia, e precisamente dalla Provincia di Lubiana, annessa all’Italia nel 1941 dopo l’entrata in guerra a fianco dei tedeschi. Lo testimonia un elenco trasmesso al campo di Ferramonti di Tarsia dall’Alto Commissario per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, datato 10 settembre 1941.

In questo elenco troviamo i Lehrer, i Lakenbach e i Vasic,  ma anche alcune famiglie che raggiungeranno altre cittadine del Polesine come Ficarolo e Costa di Rovigo.

Lehrer  Giulio di Lupu e Betty Rosenthal, nato a Jassi (Romania) il 10/11/1895 commerciante, capofamiglia Rifugiato in Svizzera
Scheratter Stella di Max e Netty Goldemberg , nata a Vienna il 03/12/1907 moglie Rifugiata in Svizzera
Lehrer Beatrice nata a Zagabria il 04/11/1934 figlia   Rifugiata in Svizzera
Lehrer Erika nata a Zagabria il 24/05/1936 figlia   Rifugiata in Svizzera

Giulio Lehrer, sua moglie Stella Scheratter e le loro bambine Beatrice ed Erica risiedono forzatamente ad Adria dal 23 ottobre 1941. Provengono da Zagabria, dove Giulio, nato in Romania nel 1895, faceva il commerciante; Stella è nata invece a Vienna nel 1907 e le bambine a Zagabria, Beatrice nel ’34 e Erica nel ’36.  

Supplica di Stella Scherakter Lehrer e Lena Savin che chiedono di essere riunite ai mariti

Nel fascicolo dell’Archivio Centrale dello Stato si trova una lettera a firma di Stella Lehrer e di Lenka Savin, le mogli di Giulio Lehrer e Lodovico Savin (non abbiamo altre notizie di questa famiglia Savin, soltanto che risultano tra i nominativi inseriti nell’elenco dell’Alto Commissario Grazioli), che scrivono all’Ufficio Razza del Ministero dell’interno, supplicando di essere mandate insieme al confino in Italia.  Le due madri allegano anche le foto dei rispettivi figli, cioè delle bambine Erika e Beatrice Lehrer e di Ivan Savin, forse allo scopo di impietosire i destinatari, pregando di poter stare tutti insieme, ricongiungersi ai mariti, entrambi arrestati e rinchiusi nel carcere di Lubiana, e raggiungere un luogo di confino in cui mantenersi a proprie spese. Nella lettera le due donne sottolineano di aver le risorse economiche necessarie per vivere e di non voler pesare sull’Erario, sperando in tal modo di agevolare l’accoglienza della loro richiesta. Le due famiglie compaiono sull’elenco dei profughi da internare nelle Provincie del Regno, ma dal foglio di assegnazione è chiaro che la lettera non ottiene il risultato sperato: i Lehrer e i Savin vengono divisi, come spesso perfidamente succede.

Da altri documenti si evince come  Giulio Lehrer, commerciante domiciliato all’Hotel Union di Lubiana, in possesso di regolare passaporto rumeno, avesse chiesto al Ministero dell’interno  nell’agosto 1941 di poter avere il visto per l’emigrazione in Argentina, da raggiungere via Lisbona. La famiglia in fuga viene purtroppo, come tutte, fermata dalla guerra, e per concessione del Ministero trasferita in provincia di Rovigo.

Come già accennato, non abbiamo invece ulteriori notizie sulla famiglia Savin.   

Le sorelline Lehrer

Della permanenza ad Adria dei Lehrer sappiamo qualcosa in più, sempre tratto dai fascicoli dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma: abbiamo trovato alcune richieste di spostamento per sottoporsi a visite mediche, qualche prescrizione degli specialisti per i controlli, e soprattutto la reiterata ricerca di ottenere dei visti per un’altra destinazione.

Probabilmente i rapporti e lo scambio di informazioni con altri profughi che risiedono ad Adria ( come ad esempio i Lakenbach), oppure l’affannosa ricerca di nuovi corridoi di fuga che si aprono man mano che  le quote di ingresso nei vari Paesi si esauriscono, spingono Giulio Lehrer a chiedere  il visto per il Paraguay. Sembra però esserci una sottile perfidia nel Ministero, che funziona a corrente alternata, talvolta concedendo e subito dopo negando. La corrispondenza si rincorre e, in attesa delle autorizzazioni, i Lehrer chiedono di trascorrere un periodo in collina a Valdobbiadene, per godere della salubrità dell’aria; in realtà, tramite un foglio di un’autorizzazione inserito nel fascicolo Lehrer scopriamo che nel trevigiano era internato il fratello di Giulio, Max Lehrer, il quale richiede appunto il permesso a visitare i parenti ad Adria. Sappiamo anche che in Paraguay si trova un fratello di Stella Scheratter, perché i Lehrer chiedono anche il ricongiungimento con la madre di Stella al fine di poter emigrare tutti insieme.

L’analisi della corrispondenza dei profughi consente di tracciare delle linee invisibili che collegano l’Europa, stravolta dalla buriana della guerra, e il resto del mondo, comprese le pacifiche Nazioni neutrali.

Dopo una lunga serie di dinieghi viene loro concessa l’autorizzazione all’espatrio, ma siamo già nel marzo 1943 e non ci sono più le condizioni di sicurezza per partire in aereo o in nave, perciò la famiglia si eclissa. Di sicuro fuggono, probabilmente subito dopo l’8 settembre. Il loro nome compare nuovamente il 20 dicembre 1943 nell’Elenco degli ebrei irreperibili di nazionalità italiana e straniera per i quali sono in corso ricerche. La famiglia Lehrer è tra quelle che si salvano, come risulta da un elenco di ebrei accolti in Svizzera per “motivi politico-razziali”.

Abbiamo rintracciato Beatrice, una delle figlie, oggi serenamente cittadina svizzera residente a Lugano, che ha aggiunto qualche ricordo di bambina alla nostra ricostruzione documentale. La sua memoria non ha trattenuto  volti e nomi di persone, ma immagini di luoghi: la via del “corso” di Adria, il ponte di Castello, l’albergo in cui hanno alloggiato per  qualche tempo, e anche la gioia di una gita a Venezia e di una foto con i piccioni.

Quello che Beatrice aggiunge alla nostra ricerca è la descrizione di un viaggio verso il Sud Italia lungo la costa adriatica, interrotto a causa delle difficoltà a passare le linee del fronte, e il conseguente ritorno verso il Nord alla ricerca della via verso la Svizzera. Scopriamo tramite le sue parole che i Lehrer sono riusciti  ad attraversare il confine svizzero e sono stati accolti prima a Rovio e poi inviati a Zurigo, nella Svizzera interna, dalla quale in seguito sono loro stessi a chiedere il ritorno in Ticino. 

Beatrice sostiene che la zona italofona fosse un cantone meno richiesto dai profughi stranieri non italiani, e poiché loro hanno già imparato la nostra lingua  durante il soggiorno a Lubiana e poi ad Adria, scelgono di stabilirsi definitivamente a Lugano.