DIJANA PAVLOVIC E “PORRAJMOS”

dijana pavlovic

Con grande dedizione e passione per la causa del popolo Rom-Sinti che da anni difende, la giornalista, attrice, mediatrice culturale jugoslava Dijana Pavlovic si è messa a disposizione del Fiume per parlare di shoah, o meglio di “porrajmos”, che è la parola in lingua romanes per indicare la distruzione degli “zingari” (circa 500.000 le vittime) che i Nazisti  misero in atto accanto a quella degli ebrei e delle altre categorie pericolose per l’ordine costituito.

E’ stato bello mettere a confronto una donna giovane, madre, e rom con ragazzi del Liceo Artistico “Munari” di Castelmassa (Rovigo) , che dopo aver ascoltato attentamente la storia della persecuzione, le hanno sciorinato tutti i luoghi comuni sugli zingari che tanto piacciono alla nostra società semplificatrice.

Dijana vi ha contrapposto l’umanità di un popolo che non chiede terra, non si bea di un qualche nazionalismo, non vive per il denaro ma per i saldi rapporti familiari, e i bambini li fa non li ruba.con i ragazzi del liceo artistico di castelmassa

Le domande sulla realtà rom sono uscite a margine del racconto dello sterminio degli zingari che ad Auschwitz avevano uno statuto speciale in quanto “ariani” (originari del ceppo indiano e quindi indoeuropei come gli arii) e vennero tenuti uniti nello “zigeuner lager” fino alla notte tra il 2 e il 3 agosto del 1944.

Al mattino del 3 agosto i prigionieri di Auschwitz, sorpresi del silenzio che regnava,  videro il campo degli zingari deserto. Nella notte tutte le famiglie erano state gasate.

Molto bello è stato l’incontro nella Casa Circondariale di Rovigo con un buon numero di detenuti che ogni anno partecipano al programma che l’Uisp propone per l’apertura alla riflessione su questo tema e che, da quattro anni, porta “Il Fiume” a raccontare di quel che è accaduto anche in Italia.

Gli anni scorsi si è parlato di shoah in Polesine con la visita di Sandy Speyer, da New York, nel carcere dove sua madre era stata imprigionata nel ’44 prima del trasferimento ad Auschwitz, quest’anno con Dijana Pavlovic si è parlato di zingari.

Così in mezzo a detenuti magrebini, egiziani, italiani, slavi, si è scoperto che molti erano di origini rom e sinti, a addirittura “caminanti”, mentre un ragazzo italiano ha rivendicato con orgoglio di avere sposato una rom.

Nella drammaticità della situazione abbiamo capito che i presenti si sono sentiti coinvolti, sia dalla storia del “porrajmos”, sia dalla presenza tra di loro di una che ce l’ha fatta, che ha studiato e si batte per dei diritti che vengono negati oggi, non meno che 60 anni fa.

Non sono mancati gli screzi tra gli ospiti che avevano voglia di dire la loro, alcuni a sproposito, altri con cognizione di causa e vera partecipazione, Mohamed dal Marocco che in patria viveva vicino ad un campo di zingari, ne ha elogiato le virtù augurandosi di rinascere zingaro!

Silenziose e poche le donne. Tra di loro una ragazza di colore attenta più ai segni dell’amico nella parte degli uomini (bello che anche a questo sia servito l’incontro, a vedersi e rompere l’isolamento) e una mamma rom di 11 figli, in carcere per chi sa quale grave furto, che alla fine si è avvicinata a Dijana e l’ha salutata in romanes.

Quel che abbiamo capito alla fine è che abbiamo molto da conoscere e da imparare, prima di tutto a dare i nomi alle persone ed alle culture perché se non si conosce, non si rispetta e se non si rispetta è l’inizio dell’odio.