Gli ebrei in Polesine

Un'immagine del ghetto di Rovigo
Un’immagine del ghetto di Rovigo

La presenza in Polesine di comunità ebraiche fin dalla fine del XIV secolo è testimoniata da numerosi documenti, per lo più notarili, attraverso i quali si possono ricostruire, seppure a grandi linee, gli accadimenti e i legami tra i piccoli nuclei presenti a Lendinara, Badia Polesine e Rovigo e la più importante comunità di Ferrara[1].

A Badia, a Lendinara e a Rovigo, ovvero nei centri di inurbamento più importanti del Polesine, la presenza delle famiglie ebree è legata all’esercizio dell’attività prestatoria e al commercio dei tessuti, e segue le direttrici di traffico che dall’Italia centrale adriatica si snodano da Bologna verso il Polesine e da qui in direzione di Padova e del Friuli verso l’area tedesca. I nuclei presenti sono per lo più familiari e non si arriva alla formazione di una vera e propria comunità, almeno fino al XVI secolo.

La prima consistente presenza ebraica in Polesine risale al XIV secolo ed è testimoniata da numerosi documenti, per lo più notarili, che ci permettono di ricostruire i legami tra i nuclei maggiori, ovvero Rovigo, Badia Polesine e Lendinara, e la grande comunità di Ferrara.

In queste tre cittadine, le famiglie ebree esercitarono principalmente attività prestatoria con banchi di pegno, oppure si dedicarono al commercio di tessuti. La loro presenza seguì le direttrici che dall’Italia centrale adriatica si snodavano da Bologna verso il Polesine e da qui in direzione di Padova e del Friuli verso l’area tedesca. I nuclei presenti erano per lo più familiari e non si arrivò alla formazione di una vera e propria comunità fino al XVI secolo.

Nel 1627, sotto il dominio dalla Repubblica veneta, a Rovigo fu istituito il ghetto, un quadrilatero di case costituito da edifici che raggiungevano anche i cinque piani di altezza[2]. La consistenza della comunità ebraica crebbe nel tempo, così come il ghetto che divenne una sorta di città nella città.

Verso la metà del XVIII secolo agli ebrei fu concesso di dedicarsi al commercio della lana, evento che migliorò notevolmente la loro condizione economica, fino ad allora piuttosto misera.

Nel 1797 le armate napoleoniche, che nell’anno precedente avevano invaso il Veneto, aprirono le porte del ghetto, ma la libertà ebbe vita breve, infatti gli Austriaci, ritornati a Rovigo, nel 1799 reintrodussero le norme discriminatorie nei confronti degli ebrei. La comunità continuò a crescere e molti dei suoi esponenti parteciparono al Risorgimento.

Nel 1870 gli ebrei polesani erano circa 430 (molti dei quali presenti in città e proprietari di palazzi prestigiosi), numero massimo che lentamente decrebbe, fino a che nel 1930 la comunità ebraica di Rovigo, divenuta troppo piccola, smise di esistere come istituzione e venne assorbita da quella di Padova; nello stesso periodo furono abbattuti gli edifici del ghetto; la Sinagoga venne spostata in un nuovo edificio in via Corridoni, utilizzando lo stesso materiale della sede antica, ma dopo la guerra fu trasformata in villa privata.[3]

[1]     Traniello Elisabetta, Gli ebrei e le piccole città. Economia e società nel Polesine del Quattrocento, Associazione Minelliana, Rovigo, 2004

[2]     Spadon Daniele, Oltre il ghetto. Abd-el-Kader Modena, Luigia Gina Modena Colorni, Ausonio Colorni e le loro storie, Società Cooperativa Tipografica di Padova, Padova, 2001

[3]     L’abbattimento del ghetto, situato nell’area dell’attuale piazza Merlin, non ha alcuna relazione con la minore presenza ebraica, ma fu dettato da esigenze di riqualificazione dell’assetto urbanistico.