1 febbraio 2011 – Badia Polesine incontra la “shoah”

 

l'abazia benedettina

L’istituto Tecnico “L.Einaudi” di Badia Polesine in provincia di Rovigo,  grazie al lavoro della prof. Chiara Mora, del corpo docenti e della dirigenza, sta svolgendo da tempo un percorso di approfondimento sul tema della “shoah” in collaborazione con  l’Associazione Il Fiume, che ha portato quest’anno a due appuntamenti di grande rilievo.

Prima tappa martedì 25 gennaio. Maria Pia Bernicchia, autrice del libro “Chi vuol vedere la mamma faccia un passo avanti…” (Proedi editore, 2009) ha raccontato ai ragazzi la storia dei 20 bambini selezionati ad Auschwitz da Joseph Mengele “l’angelo della morte” per esperimenti sulla tubercolosi. I bambini, trasferiti al campo di concentramento di Neuengamme, vicino ad Amburgo, furono tenuti in vita fino all’aprile del 45 quando, avvicinandosi l’arrivo degli inglesi, i nazisti decisero di ucciderli per far sparire le prove delle loro pratiche assassine.

Il libro di Maria Pia Bernicchia e la mostra, allestita nell’aula magna dell’Istituto, parlano anche dell’unico bambino italiano presente tra i 20 di tutta Europa, il piccolo Sergio de Simone, che con la madre, la zia e le cuginette Andra e Tatiana Bucci era stato deportato ad Auschwitz, dalla risiera di San Sabba a Trieste, nell’aprile del 1944.

A Sergio de Simone e alle  cugine è dedicato un altro bel libro della scrittrice e giornalista del “Mattino” di Napoli, Titti Marrone che in “Meglio non sapere” (Editori Laterza,  2009), ha ricostruito le vicende delle famiglie nel campo e dopo la liberazione, fino al ricongiungimento delle bambine sopravvissute, con la madre.

La seconda tappa del percorso è stato l’appuntamento del 1 febbraio. Nell’aula magna dell’Istituto si affacciano assieme a Maria Pia Bernicchia, la scrittrice Titti Marrone e le due sorelle Bucci, e allora la storia si fa concreta e tangibile, passando dalla pagina del libro alla voce commossa di Tatiana e Andra, 6 e 4 anni al momento della deportazione.

Il miracolo della loro vicenda rivive accompagnato dal racconto di Titti Marrone che, con l’amore che prova solo chi riesce a condividere un’esperienza, porta per mano le due donne a ripercorrere l’orrore del campo ed il dolore delle vicende che seguirono la liberazione.

le relatrici

                                 Da sinistra M.Pia Bernicchia, Tatiana, Andra Bucci e Titti Marrone

La storia sta tutta nel libro che consigliamo agli amici, ma la straordinarietà della mattinata trascorsa dai ragazzi della scuola di Badia, sta nell’aver assistito a come, con amore, si può parlare e far rivivere anche l’orrore in modo che questo si traduca in conoscenza per chi non sa, e non semplicemente  in odio, disperazione o rabbia.

“Non possiamo perdonare” ha detto Andra rispondendo ad una domanda che spesso ricorre negli incontri di questo genere, e giustamente si perdona chi si ravvede e chi ammette i propri torti, ma, troppo spesso, le difese di criminali nazisti e di collaboratori fascisti si sono nascoste dietro l’obbedienza agli ordini.

Un uomo che sia veramente un uomo,  non può obbedire ad un ordine se questo è ingiusto. Così da Titti Marrone è venuto l’invito ai ragazzi a “non obbedire” senza passare al vaglio della ragione e della coscienza l’ordine che si riceve.

Daniela Padoan, un’altra scrittrice che ha raccolto testimonianze di donne sopravvissute al campo di sterminio, ha parlato del “pudore” che si prova a chiedere a una persona di ricordare cose tanto tragiche, in effetti si ha quasi vergogna a far rivivere il dolore, ma il modo in cui Titti Marrone ha condotto piano piano le straordinarie sorelle Bucci a parlare, è senz’altro una lezione di umanità oltre che di capacità di una grande giornalista.

Il tempo lenisce il dolore ma la memoria è un dovere difficile e necessario, perché deve cancellare il tempo e riportare tutto a galla, in modo da poter dire, assieme agli storici, che “questo è stato”. 
Grazie Andra, e grazie Tati.

 Bernicchia, tatti e andra bucci

M.Pia Bernicchia, Tati e Andra Bucci con Titti Marrone 

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la mostraIl pannello della mostra su Sergio de Simone