Metti in piazza la Memoria. Napoli, il vagone dei deportati e la fiera dei dolciumi

Mi occupo di memoria della Shoah da 22 anni. Un periodo sufficientemente lungo da consentirmi di leggere, studiare e meditare molto.

Sono stati anni entusiasmanti e faticosi, fatti di tantissimi incontri, visite, esperienze di lavoro ed emozioni, alla ricerca di una verità che pare sfuggire alla nostra ragione, (di quale natura è il male politico che ha prodotto Auschwitz nella nostra civiltà?), ma che pervicacemente mi sono ostinata a cercare nella convinzione che sia nostro compito e nostro dovere cercare una ricostruzione dei fatti e soprattutto un senso all’orrore. Anche per poterlo trasmettere alle giovani generazioni in un’ottica educativa, cioè capace di interrogare il passato alla luce del nostro presente.

Da alcuni anni assisto con sempre maggiore  preoccupazione e sgomento a una pericolosa deriva della memoria della Shoah, inesorabilmente piegata verso una generica apologia dei diritti umani e sempre meno ancorata a un bisogno di conoscenza storica e di riflessione politica. Il che significa, in estrema sintesi, una contraddizione di cui pochi paiono consapevoli: una commemorazione smisurata e ridondante che pone la Shoah ossessivamente al centro del discorso pubblico e una pericolosa ignoranza di fondo appena mascherata dalla convinzione di sapere tutto dei lager e delle camere a gas.

Soprattutto, assisto a un livello tale di banalizzazione da vedere la specificità storica e politica del genocidio degli ebrei annegare in un mare di melassa, di buonismo o di generico, quanto inutile, moralismo. Tutti oggi, siano politici, insegnanti o privati cittadini, sentono il dovere di andare a visitare Auschwitz in virtù di un dogma che rende il verbo vedere sinonimo del verbo conoscere e capire, nonché per pronunciare sulle rovine dei crematori quel grido accorato “mai più!” che teoricamente dovrebbe vaccinarci dal razzismo e dalla violenza.

Siamo l’unico Paese europeo ad aver organizzato lo scorso anno 9 treni per Auschwitz, con uno sforzo organizzativo ed economico incalcolabile allo scopo di condurre in Polonia migliaia di giovani studenti. Siamo anche in cima alla classifica mondiale per il numero di visitatori del campo. Eppure non esiste nelle università italiane alcun seminario permanente di storia della Shoah. Commemoriamo tanto e ci impegniamo attivamente per tener viva la memoria con mille lodevoli iniziative, alcune ben fatte altre meno, eppure non dedichiamo un uguale sforzo a rafforzare l’insegnamento della storia, disciplina in netto declino nella scuola italiana, tanto che i nostri figli ignorano quasi tutto del fascismo e del nazismo.

Ma ciò che mi indigna è vedere la memoria della Shoah utilizzata dalla politica e dalle istituzioni per scopi che spesso non hanno nulla a che fare con l’esigenza di verità storica. Come se ricordare enfaticamente Auschwitz fosse la garanzia di una coscienza etica e democratica inattaccabile, una sorta di passaporto diplomatico per proteggersi da eventuali critiche di insensibilità o, peggio, di razzismo e di antisemitismo.

Ed ecco, allora, che da Nord a Sud assistiamo a performance pubbliche sulle quali la decenza impone di stendere un velo pietoso, tanto sono vuoti e ridondanti i discorsi.
Ma che dire infine di iniziative come quella recentemente organizzata a Napoli per il 27 gennaio scorso, con la sistemazione in Piazza Plebiscito di un vagone presentato come originale dell’epoca della guerra e utilizzato per il trasporto dei deportati ad Auschwitz?

Iniziativa lodevole, certo, se lo scopo era quello di ricordare pubblicamente che cosa è stata la Shoah degli ebrei italiani.

Peccato che le buone intenzioni non siano sempre suffragate da obiettivi chiari e da metodi di realizzazione corretti. Innanzitutto il vagone è stato posto in un angolo della piazza, messo quasi a caso, senza alcuna illuminazione, indicazione o allestimento idoneo per una corretta visualizzazione. Inoltre, l’unica informazione di cui dispone l’ignaro passante è un foglio di carta attaccato con il nastro adesivo sulla porta, in cui chi legge non capisce da dove provenga esattamente il vagone, né a quali deportati esattamente si riferisca, mentre chi scrive pare confondere il destino degli ebrei e degli altri deportati, ma soprattutto ignorare che dall’Italia non ci fu nessuna deportazione di massa di sinti e rom, né di omosessuali. Infine, l’area in cui è posto il convoglio, testimone muto e quasi illeggibile della sofferenza di migliaia di innocenti, è animata da stand gastronomici e musicali all’insegna della migliore festa di paese, con zucchero filato, bomboloni, giostre e canzonette e persino la preparazione di una gara podistica con tanto di striscioni e bandierine.

Mancanza di rispetto? Indecenza? Miopia dell’amministrazione comunale? Confusione storica da parte degli organizzatori?

Direi che c’è di più, purtroppo. Quello di Napoli è l’esempio di uno spettacolo da fiera che mette a nudo il re e l’ipocrisia benpensante di chi pensa a mettere in prima pagina (nella piazza principale) la memoria della Shoah senza rispettarla e senza curarsi di fare i conti con la storia a cui rimanda tale memoria.

Meglio niente, allora, che un povero vagone buttato in mezzo ai venditori di lupini.

 

Laura Fontana, responsabile per l’Italia del Mémorial de la Shoah

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2012/01/26/news/fiera_dolciaria_vicino_vagone_della_memoria_italia-israele_accostamento_sorprendente-28822925/