Dalla Francia ferita, una lezione di civiltà

satira

È molto difficile aggiungere parole dopo la strage di Charlie Hebdo, in primo luogo perché il fenomeno politico e culturale che sta al fondo richiede una competenza e una profondità intellettuale di cui non dispongo. In secondo luogo, perché dopo ogni orrore, in mancanza di una parola piena,  è certamente preferibile il silenzio.  Tuttavia, mi è stata richiesta in amicizia un’impressione e, per amicizia, rispondo, senza concepire altro se non un personalissimo e parziale punto di vista.

Il 7 gennaio sono rientrata a casa verso le 10:30, venivo dall’ università, dove sarei tornata nel pomeriggio. Ho appreso la notizia da internet e subito ho acceso la televisione.  Dodici persone erano state uccise durante la riunione di redazione del settimanale Charlie Hebdo. Quando sono tornata a lezione – era il giorno dell’esame – ho avuto voglia di sospenderlo e di cercare conforto nei miei studenti. Ma non l’ho fatto, e sono rimasta come imbambolata a guardarli riempire il foglio.

Il 9 gennaio ho seguito incredula i due sequestri paralleli nel supermercato di Porte de Vincennes e nella tipografia di Dammartin-en-Goële. Questo sentimento di attonimento l’ho ritrovato per diversi giorni anche nelle strade della città e nei volti delle persone. Attonimento e paura, tanto che alcuni dei siti normalmente più frequentati erano diventati surreali e vuoti. Le persone, da subito, si sono però riversate spontaneamente in Place de la République, silenziosamente, certo per solidarietà e rabbia, ma credo anche per l’impossibilità di vivere nella solitudine delle proprie case un’angoscia di tale portata. La società civile, a pensarci bene, ha anche questo ruolo.

Ciò che mi ha colpito è prima di tutto la dignità e il contegno con cui i cittadini si sono uniti attorno al dolore. Non ci sono state, nemmeno durante l’enorme manifestazione dell’11 gennaio, agitazioni e urlatori di slogan, ma soltanto un’aria densa, che raccoglieva tutti in un unico cerchio. Di tanto in tanto, un canto, un applauso spontaneo e collettivo.

Un altro aspetto di cui sono rimasta stupita è appunto quello dell’unità. I francesi, a quanto pare, hanno una concezione della civiltà molto diversa dalla nostra. Mentre sui giornali e sui blog italiani leggevo sfrenate teorie del complotto (idea che lo stesso Charlie Hebdo si è divertito a prendere in giro nel numero ‘postumo’), attacchi incrociati e polemiche sterili, i francesi davano prova di superare le proprie divisioni interne in nome di qualcosa di superiore. (Se qualcuno dubitasse sull’esclusione di Marine Le Pen dalla manifestazione, pare proprio sia stata lei ad autoescludersi.) Ebbene, questo ‘qualcosa di superiore’, questo ‘valore comune’, che si respira ancora oltralpe, nonostante i problemi, la crisi, le pecche del governo di turno, non può non meravigliare un italiano emigrato che, diciamocelo, non ci è abituato. Lo si chiami senso civile, senso di responsabilità, interesse per il bene della propria comunità.

Mi riferisco, ad esempio, anche alle parole durissime con le quali Manuel Valls, il primo ministro francese, ha denunciato l’intollerabile e banale antisemitismo di ritorno che imperversa in Europa: “Come possiamo accettare?!”

Da noi, non siamo abituati a considerare la laicità come un valore, una risorsa, un’àncora forse di salvezza. A un paio di settimane dagli attentati, il governo lavora per introdurre nelle scuole (le scuole!) l’educazione alla laicità e una giornata nazionale vi sarà d’ora in poi consacrata.

Infine, il razzismo e il problema dell’integrazione, che in Francia è molto complesso e problematico. No, non sto parlando della becera discussione che alcuni fondano sull’associazione di fondamentalismo islamico, immigrazione, religione musulmana e terrorismo. Sto parlando di quella situazione di apartheid territoriale, sociale ed etnico che si cela nei  luoghi oscuri di un paese solo apparentemente all’avanguardia sull’integrazione e che è stata richiamata dallo stesso primo ministro, all’attenzione dei suoi concittadini.  Nel male, un altro aspetto positivo: nessuno qui fa finta di essere perfetto.

Maddalena Bergamin