27 gennaio 2013 –

Olére Auschwitz

Come faccio a cantare? Come rovescio gli occhi

E la mia testa in su? Una lacrima rigida di ghiaccio

Mi si  è incollata all’occhio, si vorrebbe staccare,

strappare via dall’occhio e non riesce a cadere.

Dio, mio Dio

 

Canta, canta, alza nei cieli il tuo sguardo accecato

Come se là nei cieli ci fosse un Dio, fagli l’occhiolino

Come se rilucesse, c’illuminasse ancora una gran

sorte

Siedi sulle macerie del popolo messo a morte e

canta

Come faccio a cantare se per me il mondo è

Vuoto?

Come posso suonare con le mani spezzate?

Dove sono i miei morti? Cerco i miei morti, dio,

in ogni letame,

in ogni mucchio di cenere, ditemi dove siete.

 

Gridate da ogni sabbia, da sotto ogni pietra,

da tutte le polveri gridate e da tutte le fiamme e

da ogni fumo.

C’è il vostro sangue e succo, c’è il midollo delle

vostre ossa,

c’è vostra carne e vita. Gridate forte, in alto.*


 
* “Dos Lid” di Itzak Katznelson, Polonia ottobre 1943

 
La distruzione degli ebrei d’Europa non si può accostare a nessun’altra strage, per numero e sistema. Ogni comparativo è un torto. Solo il poeta è adatto ad essere storico, solo la sua frase arriva a narrare.

 Erri de Luca prefazione a “Canto del popolo yiddish messo a morte” di Itzak Katznelson, ed. Mondadori, 2009