Nei primi due appuntamenti dell’Associazione il Fiume per il “27 gennaio”, data che David Bidussa definisce il “giorno della memoria per i vivi, non della commemorazione dei morti” (dal suo libro “Dopo l’ultimo testimone” , Einaudi 2009), si è parlato ampiamente della funzione e del ruolo che il testimone ha avuto negli anni recenti, ma soprattutto di cosa potrà sostituirne il ruolo nel futuro.
Il caso di Shlomo Venezia, deceduto ad ottobre 2012, uno degli ultimi membri del terribile Sonderkommando di Auschwitz, è emblematico.
Di lui restano le numerose testimonianze portate nelle scuole del Veneto per Il Fiume, così, con l’aiuto della giovane storica Francesca Panozzo e della speciale presenza di Marika Venezia, la moglie di Shlomo per 57 anni, abbiamo potuto ricostruire le ansie e le sofferenze di chi, subito dopo la guerra, non è stato ascoltato da un mondo che non voleva sapere.
Da Primo Levi a numerosissimi altri testimoni, l’angoscia di aver vissuto l’indicibile e non aver parole per descriverlo, si è mescolata alla mancanza di un pubblico che volesse sentire e conoscere, nell’ansia della ricostruzione, e nell’omologazione di quel dolore speciale alle privazioni e i lutti che la guerra aveva causato un pò a tutti.
“Shlomo era un uomo buono”, dice Marika, “non covò rancore nel corso della sua vita minata nel fisico dalle torture del campo, ma non riteneva di dover perdonare, non poteva farlo lui per i milioni di morti, nè per rispetto alla perdita di metà della sua famiglia”.
Da Marika è venuto il ricordo degli incubi che popolavano le notti di Shlomo, è venuto anche il racconto della sua rabbia nel vedere riaffiorare il razzismo attraverso i cori degli stadi, le scritte sui muri, le svastiche dipinte dappertutto.
Per la paura che il passato ritornasse con tutto il suo carico di orrore, Shlomo trovò la forza di farsi avanti e “dare una mano” alle associazioni di ex-deportati e a chi si occupava di diffusione della memoria. Così, piano piano, gli storici si sono accorti che in Italia c’era ancora chi aveva visto con i suoi occhi l'”inferno in terra”.
La storia degli ultimi vent’anni della vita di Shlomo da testimone, si incrocia con le migliaia di persone che hanno potuto sentirne la testimonianza, con gli storici e gli sceneggiatori che ne hanno usato la memoria precisissima per ricostruire la vita e le istallazioni del campo di Auschwitz e con quella di Associazioni e Istituzioni pubbliche che lo hanno voluto, voce narrante, nei numerosi convegni e incontri.
Marika ne ha accompagnato la vita con il sostegno e l’appoggio, sempre pronta a tenere i contatti con tutti quelli che sono diventati i suoi figli e figlie adottivi e ora si accingono a portare avanti il suo impegno nell’era della “post-memoria”, quando anche l’ultimo testimone ci avrà abbandonato.
“Lì si porrà il problema del rapporto tra testimonianza e storia” scrive sempre Davide Bidussa” Quando i testimoni oculari saranno scomparsi, quando quelle voci non avranno più voce, ciritroveremo con un archivio definito di storie, che racconteranno scenari e situazioni. Si tratterà allora di far lavorare quelle storie narrate come “documenti”. In quel momento avverrà , consapevolmente per noi, il passaggio irreversibile fra ‘900 e attualità“.