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13 ottobre 2013 -Il viaggio del Fiume a…Fiume – Rijeka

Ci è capitato che qualcuno, interpretando il nome dell’Associazione come un riferimento alla città di Fiume, ci abbia chiamato per avere assistenza in qualità di profugo giuliano-dalmata; in realtà il “Fiume” cui facciamo riferimento è il Po, lungo le cui rive si snoda la nostra modesta attività culturale.

Non è compito del Fiume dare giudizi e sulla storia e voler ribaltarne gli esiti, per noi la quarneriana Fiume oggi è Rijeka, porto importante della Croazia, ma di sicuro ci interessa la conoscenza delle vicende che l’hanno resa un posto decisamente singolare.  Per questo abbiamo organizzato un viaggio destinato a molti ma, alla fine, privilegio di pochi, durante il quale siamo entrati nella storia della città grazie ad un’amica speciale, Rina Brumini, giovane studiosa di letteratura italiana nonché ricercatrice storica e rappresentante della comunità ebraica di Rijeka.

la posizione della sinagoga grandel'immagine della sinagoga grande

Abbiamo percorso un po’ tutti i momenti salienti della storia della città soffermandoci sui luoghi di Palatucci, funzionario a Fiume negli ultimi momenti del governo fascista e protagonista di vicende ancor oggi al vaglio della storiografia, e della comunità ebraica che pagò il suo tributo alla persecuzione nazifascista (le due sorelle Bucci e parte della loro famiglia vennero deportate da Fiume nel 1944).     Di seguito il breve resoconto di uno dei partecipanti.

“La simpatica comitiva   parte da Rovigo di buon mattino, “raccoglie” a Cavarzere gli ultimi tre partecipanti e subito si raggiunge un clima di immediato affiatamento. Emerge infatti la volontà di ciascuno di contribuire attivamente al viaggio, conversando,       in modo piacevole   a mo’ di rassegna stampa.

Giungiamo a Rijeka circa l’ora di pranzo.      Arrivati al porto della città, ci incamminiamo verso il ristorante, inoltrandoci tra bancarelle del mercato: è un ventaglio di colori, profumi e sapori   accarezzato da un mare   cristallino. Il pranzo – carne o pesce – è   eccellente, ma soprattutto occasione per noi commensali di dialogare con serenità e con gioia, a formulare opinioni o considerazioni sulle vicende storiche   di questa straordinaria città:  tutti partecipiamo con interesse ed entusiasmo  alla conversazione.

gli amici a pranzoArriva Rina Brumini, giovane, di origine italiana, appartenente alla comunità ebraica RijeKa che  è   per noi una valida guida per conoscere i monumenti più significativi della città. Accompagnati da Rina percorriamo  le vie principali del centro, facendo così un tuffo nel passato: dal mondo romano, attraverso il medioevo, ad oggi: per esempio l’Arco Romano, il Pomerio, la Torre Civica, il Vittoriale, il Teatro Nazionale.

La nostra eccellente guida sa  intrattenerci  con il racconto di  accadimenti, in cui riesce ad alternare osservazioni sapienti e profonde a battute  ilari.

Ammiriamo   tra  le testimonianze architettoniche:  vicino al porto la casa degli Adamich, un discendente del quali, mercante, la cui vicenda -falsamente accusato di non pagare le tasse e quindi assolto-  ci   viene raccontata, proprio nel momento in cui ci troviamo davanti al Vittoriale nel cui giardino sono esposte le 13 statue dei 14 falsi testimoni. Passiamo acconto alla chiesa consacrata ad uno dei patroni della città, San Vito. Rina a questo punto ci racconta   la leggenda legata al   Crocifisso miracoloso: un giorno, un signore assieme ad altri due amici stava giocando a carte dinanzi alla Chiesa di San Vito dove era stato esposto il Crocifisso. Il gioco non andava   bene  per lui che, accecato dall’ira, scagliò una pietra sulla parte sinistra del costato di Cristo. Con stupore da parte dei presenti, dal costato di Cristo cominciò allora a sgorgare  sangue, mentre   una voragine   si apriva nel terreno  che   inghiottì   interamente il giocatore,  tranne la   mano sacrilega. L’allora governatore  ordinò che la mano venisse pubblicamente bruciata e in ricordo di questo fatto fece collocare ai piedi del Crocifisso una mano di bronzo. Ancor oggi la pietra del sacrilego si trova alla sinistra del Crocifisso.

I fiumani sono legati al rione antico della «Zitavecia», che oggi  conserva quell’intrico di vicoli tortuosi che   vengono chiamati alla veneziana «calli», o androni, se ciechi. Stradicciuole che  portano i nomi degli antichi mestieri e arti.

Ci avviciniamo alla Sinagoga, camminando lungo il Pomerio, sopravissuta alla seconda guerra mondiale, costruita nel 1928.      La sinagoga (con sorpresa di Rina) vista la presenza delle stelle di Davide sulle finestre, di un bassorilievo raffigurante una Menorah, vicino alla porta d’entrata, e  di locali per i bagni purificatori all’esterno, è   con facilità identificata da quasi tutti noi.
Veniamo a conoscenza che questa non fu costruita come sinagoga principale, considerato che   all’epoca  Fiume vantava già una maestosa sinagoga,  costruita alla fine dell’ottocento  (che i nazisti distrussero in pochi attimi il 30 gennaio 1944).        Dal momento che Rina ha la chiave della porta di accesso, entriamo.     All’interno della sinagoga notiamo in particolare il tabernacolo marmoreo contenente i libri della Torah,  lo spazio destinato ai riti e,  sovrastante l’entrata, il balcone già riservato alle donne. Attualmente è una sinagoga riformata ed il matroneo è utilizzato a feste e a mostre. Abbiamo  quindi l’occasione di visitare una mostra riguardante la storia della comunità ebraica di Rijeka. Tale mostra si apre con un’immagine di una Torah che risulta stampata a Rijeka alla fine del “

16 ottobre 2013 – 70 anni dal rastrellamento degli ebrei di Roma

via resella roma

Volevamo parlare della terribile data del 16 ottobre 1943 quando gli ebrei romani, dopo l’estremo tentativo di salvezza con la consegna di 50 kg di oro a tedeschi occupanti, vennero catturati e raccolti per essere inviati ad Auschwitz dove vennero sterminati.

Siamo costretti, invece, a ricordare come ignoranza e superficialità della stampa e della pubblica opinione e forse anche della giurisdizione, hanno consentito di accettare che Erik Priebke, l’assassino di 356 giovani di estrazione diversa uccisi alle Fosse Ardeatine dopo l’azione partigiana di via Rasella, trascorresse gli ultimi anni, dei 100 vissuti, a Roma fianco a fianco con i discendenti delle sue vittime.

Le vittime hanno dimostrato fino in fondo cosa differenzia i giusti dagli ingiusti. 
I primi hanno lasciato vivere senza attuare vendette postume, i secondi hanno ucciso senza pentimento e senza ritrattazione e lo farebbero ancora proprio per il loro status di ingiusti. 
Non possiamo però stupirci che, alla fine, la società civile si opponga ai suoi funerali a Roma e alla sua sepoltura nel nostro paese.

L’Italia non ha voluto conoscere una parte della sua storia contemporanea, non ha fatto i conti con il suo passato fascista che si è mescolato con la ricostruzione postbellica ed è stato alimentato fino ad oggi, trovando anche un posto in parlamento.

Non a caso le autorità fasciste furono i diretti collaboratori dello sterminio degli ebrei italiani e stranieri. Furono i Prefetti e i Questori del regime fascista a raccogliere gli elenchi con i nomi di tutti gli ebrei presenti in Italia e a preparare la strada, se non a collaborare direttamente con le SS, alla consegna di tutti gli ebrei che non capirono e non scapparono in tempo.

Da Roma a Costa di Rovigo, tutti erano schedati e tutti vennero presi uno ad uno.

1023 persone da Roma,  ma dai nostri paesi della provincia di Rovigo gli Shloss, i Buchaster, gli Haas e molti altri.
Pochissimi tornarono da quella che viene fatta passare anche oggi come una “disinfestazione dai pidocchi”, peccato che pidocchi fossero considerati gli ebrei, diventati numeri ad opera di una precisa , insistente e continua opera di propagand16 ottobre 43a e disinformazione nazista.   
In questo giorno a Roma le manifestazioni in memoria della razzia del ghetto ricorderanno anche l’anniversario della scomparsa, il 1 ottobre dello scorso anno, di Shlomo Venezia, uno degli ultimi che aveva visto con i suoi occhi quello che gli i “sommersi” , come li chiamava Primo Levi, non potranno mai raccontare.

Per fortuna esistono documenti, lettere, ordini scritti, testimonianze incrociate, registrazioni e filmati che potremo mostrare e spiegare ai giovani delle scuole.

A loro andranno la nostra attenzione e il nostro lavoro.

 

1 ottobre 2013 – A un anno dalla scomparsa di Shlomo Venezia

Ho conosciuto Shlomo Venezia grazie a Luciano Bombarda.

Per mia natura sono troppo schiva per avvicinarmi a persone che ammiro, ma con Luciano era facile avvicinarsi a chi gli aveva aperto già la propria anima e messo in mano la propria vita interiore. Quando mi propose di andare con lui a sentire Shlomo a Rimini, in uno degli incontri organizzati dall’ufficio Memoria e dalla sua direttrice Laura Fontana, era il 2006 e non ci ho pensato un attimo. 

Da quella sera gli incontri con Shlomo si sono moltiplicati e così, dietro Luciano “caterpillar”, io e molti altri amici de Il Fiume abbiamo approfondito la conoscenza di Shlomo, siamo entrati nella sua vita degli ultimi anni riuscendo a capire forse qualcosa il più del “mestiere del testimone”.

Non “mestiere” nel senso che i negazionisti danno a questo compito, ma nel significato che Cesare Pavese dava della sofferenza della vita in cui il vivere pratico deve convivere con la poesia o, nel caso di Shlomo, con  il compito difficile del testimone.

“Non si esce mai dal campo” diceva Shlomo e posso testimoniarlo per averlo sentito più volte, nel mezzo di una normale conversazione, passare, su sollecitazione di un’immagine, un dettaglio di quel che stava vivendo in quel momento al ricordo della tragica esperienza.

La sua vita di uomo non era distinguibile da quella di Marika, la giovane moglie incontrata nel tempo della riabilitazione, e con la quale aveva diviso il carico di una tragedia come la sua esperienza al Sonderkommando.

Senza di lei sarebbe stato difficile, se non impossibile, sopportare quel carico anche se Shlomo aveva una personalità forte e facilità di interazione col mondo che lo circondava.

Mi ricordava tanto mio nonno, dal quale, come internato IMI, avevo appreso le prime storie sulla guerra e i campi di concentramento e inconsciamente ero entrata, seppur con l’approccio italiano, dentro questa parte della storia.

Il viaggio più bello con Shlomo Venezia è stato quello a Salonicco, con e grazie alla provincia di Rovigo e al progetto europeo “Forget us not”, propostoci dalla Presidente Tiziana Virgili. Il ritorno a casa di Shlomo in veste ufficiale di testimone è stato emozionante, così come vedere come si aggirava con sicurezza nelle stradine della città vecchia a ridosso del fronte del porto, come si intratteneva in greco nel piccolo ristorante in cui ordinò piatti semplici della tradizione che se fossimo stati noi da semplici turisti non avremmo saputo come chiedere!    La sua testimonianza fu importante e significativa e portata per la prima volta nella sua città natale.

Shlomo diventò come un padre per noi e con lui Marika, inseparabile. Con il Fiume ci furono altre memorabili occasioni di testimonianza come quella del febbraio del 2010 all’Ateneo Veneto a Venezia, altra città fondamentale per lui, quella da cui i suoi avi erano passati dopo la cacciata dalla Spagna e che aveva dato il nome alla sua famiglia.

Shlomo era forte, era anche un uomo di spirito anche se il suo riso non era mai aperto e pienamente felice, c’era sempre un’ombra in lui e il discorso, prima o poi finiva nel campo.

Non sappiamo cosa sia stato essere i figli di Shlomo Venezia, ma se la sua volontà di parlare spentasi alle prime esperienze in cui le persone dimostravano di non voler sapere, non ha turbato l’infanzia dei suoi ragazzi, di sicuro la successiva ansia di lasciare traccia e raccontare ha segnato la vita di tutti quelli che lo conoscevano e amavano.

Così come ha segnato la nostra e speriamo quella di coloro che lo hanno ascoltato con attenzione nel suo peregrinare.

M.Chiara Fabian

8 settembre 2013- La Patria è mobile…da La Stampa

internati militari in campo di concentramento

Quando al G20 sulla Siria hanno fatto la conta delle nazioni schierate con Obama e di quelle che concordavano con la posizione opposta sostenuta da Putin, un solo Paese si è ritrovato inserito in entrambi gli elenchi. Inutile scriverne il nome. Lo conoscete dai tempi della scuola, dai libri di storia dove leggevate di questo popolo di mercanti e mediatori apparentemente astutissimi che non aveva mai finito una guerra, un conflitto, un litigio per il parcheggio dalla stessa parte in cui lo aveva iniziato. La terza guerra di indipendenza, per dirne una, fu un tripudio di equilibrismi e giravolte come non se ne vedono neanche al Cirque du Soleil. Alla fine, pur perdendo tutte le battaglie, riuscimmo nell’impresa di riportare a casa il Veneto. L’imperatore francese Napoleone III commentò sprezzante: «Ah, gli italiani, ancora una sconfitta e mi avrebbero chiesto Parigi!» Dopo Caporetto e la «vittoria mutilata» che ne seguì, saltò su un dittatore smanioso di trasformarci in antichi romani. Ci trascinò in una catastrofe e non trasformò un bel nulla. La mattina di settant’anni fa, il re che da poco lo aveva fatto arrestare ricevette l’ambasciatore nazista per rassicurarlo sulla fedeltà all’alleanza con la Germania: il giorno seguente sarebbe stato l’Otto Settembre.  Considerati i precedenti, la partita doppia sulla Siria rappresenta una bazzecola. Siamo d’accordo con Obama nel ritenere Assad un criminale di guerra e siamo d’accordo con Putin nel non volerlo bombardare. È così complicato? A me sembra di una chiarezza cristallina. Ma non faccio testo: sono un italiano.   M.G.

Non ce ne voglia Massimo Gramellini se riportiamo integralmente il suo breve pezzo su La Stampa che, riferito all’odierno clima di guerra, riporta l’attenzione sulla data dell’8 Settembre, una data emblematica che ricorda come l’Italia entri ed esca dalle guerre senza che chi la guida abbia la giusta capacità di valutarne le conseguenze.

L’Italia entra in Guerra nel giugno del 1940 perché Mussolini illude un popolo che una guerra è salvifica e corroborante del carattere italico (quale?), sa che gli italiani hanno bisogno di sentirsi forti, specie con i deboli e specie dietro le corazze di qualcun altro.   Sa che gli Italiani seguono qualunque bugiardo, strafottente che rubi, ma alla grande, e si presenti bene. E’ storia vecchia e ricorrente a parte qualche parentesi in epoca romana di qualche tribuno che aveva a cuore il buon governo, per il resto sono i più strafottenti ad avere la meglio sui giusti e corretti.

L’Italia esce dalla guerra l’8 settembre del 1943 dopo che il Fascismo era imploso dall’interno per incapacità di sostenere ancora il peso di una guerra che stava massacrando il paese, ma lo fa con un voltafaccia verso gli alleati tedeschi che porta a conseguenze disastrose.  Dopo l’armistizio firmato da Badoglio con le Forze Alleate, la guerra continua altri due anni ma contro i tedeschi che compiono ogni sorta di nefandezze tra le quali quella di intensificare lo sterminio degli ebrei italiani e di quelli stranieri che in Italia avevano trovato provvisorio e “precario rifugio”.

Da qui inizia la ricerca de “Il Fiume” sull’Internamento libero, perché da questo momento le storie delle famiglie internate in Polesine prendono vie diverse con esiti opposti. C’è chi si salva per fortuna, coraggio e sostegno degli italiani onesti, c’è chi soccombe, arrestato da tedeschi e fascisti per essere condotto ai campi di sterminio.

Non solo gli ebrei vedono cambiare il loro destino, una pagina dolorosa è quella che racconta degli IMI ovvero gli Internati Militari Italiani che dopo l’armistizio rifiutarono di combattere con la Germania, lasciati soli e confusi nelle isole della Grecia o nelle steppe dell’Est e vennero uccisi sul posto o deportati nei campi di prigionia.

Celebrare i 70 anni da quell’8 settembre, oggi per noi significa contrastare tutti coloro che cercano di far rivivere quei miti e ideologie che si nutrono  menti deboli, confuse da birre e alcol ed educate all’odio dalla crisi economica dell’occidente industrializzato.

Chi pagò le conseguenze di quell’8 settembre ha sofferto inutilmente, senza riuscire ad insegnare che la guerra è una cosa orribile per tutti, che la patria e la ragione sono mobili, non stanno mai in un posto fisso e combattere, armi alla mano, per l’una o l’altra parte è una sconfitta per l’umanità.

28 agosto 2013 – C’E’ COMPLEANNO E COMPLEANNO

luciano bombarda e boris pahor

Un mese fa  Roma l’ex ufficiale nazista Erik Priebke ha compiuto 100 anni. Il “boia delle fosse Ardeatine” autore dell’eccidio che sterminò 335 uomini di età ed appartenenze diverse come rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella, del marzo 1944, vive a Roma, agli arresti domiciliari per ragioni di età, dopo la condanna all’ergastolo.

I suoi 100 anni sono stati festeggiati da organizzazioni filonaziste e simpatizzanti della destra italiana, un nipote lo ha raggiunto con una bottiglia di spumante che assieme avranno stappato con la badante, rappresentanti dell’AMPi e dell’ANED hanno protestato ricordando le vittime di quegli ultimi mesi del “