Abbiamo bisogno di esempi, abbiamo bisogno narrazioni positive, abbiamo bisogno di resistenza a tutto il negativo del mondo, abbiamo bisogno di qualcuno che insegni al nostro paese le cose che contano. Abbiamo bisogno che i giovani imparino quel che è importante e quello che non lo è e dobbiamo usare tutti i mezzi per insegnarglielo. Credo che l’addio al calcio di Francesco Totti abbia insegnato molto a tanti giovani. Una cerimonia retorica ma solo poco poco, in compenso tanto ricca di momenti epici.
Il giro del campo in silenzio, retorica del gesto, forse, ma di sicuro disponibilità e offerta di sé a tutti i presenti per i quali c’è stato un saluto, una foto, un abbraccio, la firma di un pallone. La giusta lentezza a cui oggi non siamo più abituati. Tutto va veloce, lo spettacolo ha i suoi ritmi. Il giro di campo di Totti è stato giustamente un momento lento e solenne.
La musica, tanta e riconoscibile, dall’inno della Roma alla colonna sonora de “il Gladiatore” a “La vita è bella”. Musica che a tutti parlava in modo personale ma anche universale.
La famiglia accanto a sé. Bella, importante, quasi all’antica. Certo il campione ha sposato una soubrette (un tempo si chiamavano così) come tanti calciatori ma, a differenza di molti altri, con lei sola ha messo al mondo tre figli e li sta allevando tra uno strafalcione e l’altro nel suo italiano imperfetto, spesso sfruttato dalla pubblicità, ma genuino.
La lettera scritta in modo molto semplice che parte dall’umiltà del campione che confessa la sua unica abilità, “dare calci ad un pallone”, il lavoro che è anche un gioco, una delle cose bella della vita. La confessione di chi non sa fare molte cose, ma quelle poche le fa bene e soprattutto le fa per un pubblico, per una società, per una città ma anche per il resto del mondo che assiste allo spettacolo.
Parole semplici, ammissione di paura di un futuro in cui non è semplice reinventarsi per chi sa far bene quelle poche cose. Ringraziamento a tutti, familiari, società, compagni di squadra. Ventotto anni sono un quarto della vita di una persona, e spesi nel mondo del calcio professionistico di alto livello significano tantissimi soldi. Ventotto anni in parte spesi a surfare tra una squadra e l’altra, a passare dall’Europa al mondo emergente del calcio, come fanno in molti, avrebbero significato ancor più soldi, tanti più soldi!
La fedeltà: ma quanti soldi servono ad un uomo per vivere bene con una moglie e tre figli? Evidentemente quelli che Totti ha guadagnato senza tradire un pubblico, una città, una maglia, senza passare in un’altra squadra e segnare ai suoi ex-tifosi, sono abbastanza per far vivere tutti loro e per riuscire anche a distribuirne in beneficenza aiutando gli altri.
Riuscire a incidere per le sue tante doti positive nell’animo dei ragazzi che lo hanno ammirato da tifosi ma anche da tifosi della altre squadre, sarà un altro contributo che quest’uomo darà al nostro paese. Certo uomini così ce ne sono tanti e la maggior parte restano oscuri ma non è un motivo per denigrare questa uscita dal calcio e far finta che sia una delle tante passerelle che il calcio propone da parte di uno dei suoi “eroi” viziati. Non fosse altro per la misura delle parole e dei gesti. Niente interviste prima, niente urla sataniche di commentatori stupidi, niente discorsi lunghi. Già questo basterebbe se servisse da esempio anche a certa tv. Possiamo criticare tutto e tutti, del resto Falcone, Borsellino e gli altri “eroi” loro malgrado non sono immuni da critiche, ma se anche solo un ragazzino sarà ispirato da quel che di buono ha fatto Totti, sarà un bene per tutti noi, genitori, insegnanti, politici, ecc ecc Esser d’esempio finalmente, senza per forza dover morire, mi sembra una buona cosa.
Un doppio incontro con Eric Gobetti, si terrà nello stile del Fiume nelle serate di mercoledì 10 a Guarda Veneta e giovedì 11 maggio ad Adria.
Nel complesso si parlerà di Balcani un’area affascinante per il mix di culture che da ricchezza si trasforma spesso in occasione di violenze e conflitti , non a caso nelle definizioni più ricorrenti si parla di “polveriera del Balcani”!
Nella serata di mercoledì 10 maggio, alle ore 21.00, presso la biblioteca di Guarda Veneta (Ro) si terrà il primo di una serie di incontri letterari che la nuova Amministrazione Comunale ha voluto organizzare per dare ai cittadini occasioni di riflessione e di incontro. Eric Gobetti, storico free-lance che si è sempre occupato della storia moderna dell’Ex-Jugoslavia, presenterà il suo libro “Sarajevo Rewind” (Miraggi edizioni) che ripercorre le strade di Franz Ferdinand, l’imperatore della “Kakania” di Musil, e del suo antagonista sconosciuto Gavrilo Princip, giovane irredentista che manderà in frantumi un Impero ed una intera civiltà.
Quella che lo storico e viaggiatore torinese ci presenterà è una storia reale più avvincente di qualsiasi invenzione letteraria, che verrà calata nella realtà post-bellica dei paesi dell’Ex-Jugoslavia, teatro dell’ultima guerra europea.
A seguire, giovedì 11 maggio, sempre alle ore 21.00 presso il cinema Politeama di Adria, in collaborazione con l’ANPI di Rovigo sarà lo stesso storico a presentare il film che ha realizzato assieme a diversi Istituti storici, mettendo assieme testimonianze di reduci e immagini inedite di archivi cinematografici fino ad oggi chiusi al pubblico.
PARTIZANI è la storia di una divisione dell’esercito di Mussolini di stanza in Montenegro che dopo l’8 settembre non si arrende ai tedeschi ma si prende la responsabilità di combattere contro gli ex-alleati per abbreviare la guerra folle che stava distruggendo le nazioni europee frutto della I Guerra Mondiale. La visione di un documento unico che ricostruisce una vicenda importante nel panorama resistenziale italiano ed europeo è arricchita da un montaggio accurato eseguito con l’aiuto dell’Istituto Cervi e dalla colonna sonora scritta da Massimo Zamboni chitarrista dei CSI.
Il 25 aprile è anche la ricerca di valori diversi da attribuire a questa data.
Grazie alla volontà dell’Amministrazione di Costa di Rovigo, sindaco Bombonato e assessore Ferrari in testa e con la giornalista Serena Uccello, presentando il libro “Corruzione” (l’intervista a Piergiorgio Baita ingegnere e testimone del sistema del malaffare che ha ruotato attorno al MOSE) abbiamo provato ad interrogarci sul senso di essere cittadini di un paese che è oppresso dalla corruzione. La corruzione è uno dei mali maggiori dei paesi sottosviluppati ma anche di quelli come l’Italia che non si possono certo definire sottosviluppati.
Nel nostro incontro orchestrato dal Luca Gigli del Gazzettino di Rovigo, abbiamo parlato di corruzione dei governi regionali, quelli che paradossalmente dovrebbero essere più vicini ai cittadini e lontani da “Roma ladrona”, ed invece rubano di più e meglio. Il paradosso a nostro avviso è che si vuole l’autonomia da uno Stato centrale che è la vacca da mungere dei governatori e dei piccoli e grandi funzionari degli uffici regionali oltre che dei partiti regionali!
Sarebbe bello capire cosa porterà di buono l’autonomia regionale tanto decantata, forse un minore controllo? Minori trasferimenti allo Stato? E allora chi fornirà i congrui mucchi di denaro che servono al sistema della corruzione?
Luca Gigli e Serena Uccello hanno conversato sul merito della mala-gestione delle opere pubbliche che anzichè farci onore, come un tempo, sono ricettacolo dei nostri peggiori difetti.
Eppure la giornalista è partita dal senso di grandiosità di un’opera come il MOSE ( MOdulo Sperimentale Elettromeccanico ossia il sistema di dighe mobili a protezione di Venezia dall’acqua alta) , frutto dell’intelligenza e dell’applicazione di tecnici convinti della bontà del loro lavoro a partire proprio da quell’ingegner Baita che ha fornito tutti i dati per il libro-intervista.
Dagli interventi del pubblico presente è emersa la stanchezza per un sistema che ha contagiato la coscienza nazionale e si ritrova in tutti i gangli della vita civile, dal piccolo artigiano che ricarica sul prezzo di tutti i materiali, al funzionario che deve dare un’autorizzazione, al tecnico che assicura di poter far avere un’autorizzazioni altrimenti impossibile, al Governatore della Regione. Come Associazione il Fiume abbiamo formulato la domanda retorica, se fosse stato tanto difficile realizzare un’opera grandiosa, spendendo il giusto in remunerazioni delle ditte e dei lavoratori coinvolti, con l’attenzione ad un bene ineguagliabile come la Laguna Veneta e con grande profitto dei veneziani e di tutto il paese? Evidentemente per l’Italia sarebbe stato ed è difficile lavorare in questi termini.
Un quadro sconsolante ed un terreno di battaglia per cittadini e comitati.
Moira Ferrari, Chiara Fabian, il sindaco Antonio Bombonato, Serena Uccello e Luca Gigli
Sono stata invitata dagli amici dell’ANPI di Stienta (Ro) ad intervenire in qualità di presidente dell’Associazione il Fiume per ricordare il 72° anniversario della fine della guerra e della liberazione, una guerra lunga e tragica per i milioni di morti in tutto il mondo.
L’Associazione il Fiume è entrata nella grande storia per raccontarne aspetti in apparenza minori ed estranei ma in realtà strettamente intrecciati con il vissuto di questi luoghi. Attraverso una lunga ricerca durata dieci anni abbiamo documentato come il fascismo abbia supportato prima con l’ideologia e poi con atti concreti, la persecuzione degli ebrei stranieri, giunti come profughi anche nei piccoli paesi della provincia italiana dalle nazioni europee in guerra. Accanto ai persecutori, abbiamo scoperto anche le storie di molti italiani solidali che hanno salvato e protetto ebrei, senza chiedere in cambio nulla, in un puro e semplice esercizio di umanità. Abbiamo svelato lati ancora oscuri di una storia che gli italiani hanno liquidato velocemente per paura di doverci fare i conti, ma che è molto utile per spiegare alcuni concetti fondamentali.
Cippi e lapidi punteggiano la campagna del Polesine a ricordo delle uccisioni perpetrate dai nazisti in ritirata alla fine della guerra
Oggi celebriamo il 25 aprile, una delle più importanti ma anche sofferte date del calendario civile, mai condivisa da tutte le parti politiche perché il nostro paese è giunto all’atto finale lacerato da una guerra fratricida. Proprio per la difficoltà di vivere fino in fondo la “com-mozione” in quanto “muovere insieme” di emozioni da parte di un popolo, abbiamo maturato l’importanza di segnare con cerimonie ma soprattutto con la conoscenza la memoria di questa data. Senza conoscenza si cade nella polemica come quando negli ultimi anni si è tentato di metter sullo stesso piano vittime e carnefici. Solo la conoscenza della storia può salvare dalla confusione che si può fare della storia. Tuttavia non è tra adulti e ultrasessantenni che dobbiamo raccontarci da quali atrocità è nata l’Europa moderna e quale è stato il contributo della nostra Resistenza. Nostro dovere è, invece, quello di trasmettere ai ragazzi che sono nati nel secondo millennio, la conoscenza di quanto è successo in queste date e che cosa queste date rappresentano per il nostro paese.
Ho avuto la fortuna di essere stata chiamata ad insegnare in questi ultimi anni e spesso ne approfitto per far domande ai ragazzi. Quando chiedo “ma voi sapete cosa si celebra il 25 aprile?” le risposte sono le più diverse. Alcuni non hanno la minima idea di cosa si celebri ma sono contenti di avere un giorno libero da scuola. Qualcuno ricorda vagamente che si festeggia la “liberazione” ma poi non sa da chi o da che cosa. Altri rispondono che “ci siamo liberati dai tedeschi” ed è la mezza verità di chi, almeno, ha avuto dei maestri oppure proviene da una famiglia che ha vissuto la storia sulla propria pelle.
Moltissimi ragazzi provengono da nazioni e culture diverse, e sono stati sradicati fin da piccoli dai loro paesi, ma saranno nostri concittadini adulti fra qualche anno e a loro stiamo insegnando la nostra storia … per questo dobbiamo farlo bene.
Tutti questi ragazzi entreranno a pieno titolo in una società europea in cui avranno molti doveri e anche molti diritti, ma se sapranno come li abbiamo ottenuti forse sarà più facile per loro esserne dei garanti. Per tutti loro dobbiamo ribadire che Il 25 aprile si festeggia la liberazione dell’Italia dalla dittatura nazi-fascista, ma soprattutto dobbiamo spiegare in cosa consiste una dittatura.
Per noi che abbiamo un bagaglio di memoria e abbiamo ascoltato dalla voce di chi ha vissuto in prima persona le vicende del secondo conflitto mondiale, è facile capire la gioia e l’orgoglio di questa ricorrenza, ma sono i ragazzi di oggi, i nativi digitali, che vanno portati in piazza e ai quali bisogna spiegare perché il nostro paese e il resto dell’Europa avevano il cuore pieno di gioia il 25 aprile del 1945!
Non ci sono quasi più i giovani partigiani di allora a raccontarlo, così come si stanno spegnendo i testimoni della shoah e stiamo perdendo la memoria col rischio che, senza testimoni, una storia, anche se scritta, venga travisata o addirittura negata.
Per questo dovremo attrezzarci molto bene per il futuro e trovare mille modi per spiegare ai ragazzi, ad esempio, che a Stienta e nel Polesine, nonostante i fascisti e i nazisti controllassero il territorio con migliaia di soldati, c’erano uomini, donne e ragazzi che nel silenzio e nella paura ma con coraggio, preparavano azioni, si coordinavano con le truppe alleate, nascondevano soldati paracadutati, raccoglievano armi e , certo, perdevano anche le loro giovani vite per contribuire a cambiare lo stato delle cose.
Primo Levi, scrittore, ebreo e partigiano
“Il fascismo non era altro che la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza e il nazismo in Germania è stato la metastasi di un tumore che era iniziato in Italia” sono parole di Primo Levi, perseguitato come partigiano e come ebreo e quindi doppiamente titolato a parlare.
Ma come riconoscere, oggi, il germe di una dittatura? Quale “resistenza ” è necessaria oggi che siamo in una democrazia e sembra che i nostri privilegi siano minacciati solo dalla crisi economica e da qualche migliaio di profughi?
A che serve commemorare e ricordare se la memoria non diventa esercizio attivo per riconoscere i mali che se trascurati possono diventare metastasi? Sempre Primo Levi, che era uno scienziato abituato ad analizzare la materia fino al più piccolo degli atomi ma da scrittore riusciva anche ad avere un quadro d’insieme, diceva che “là dove c’è un verbo che dice “non siamo tutti uguali, alcuni hanno diritti e altri no”, alla fine di tutto questo c’è il lager”.
E allora la commemorazione deve essere accompagnata dal mettere in guardia che la libertà non è scontata, che anche un blog si può oscurare, che anche i giornalisti possono essere incarcerati per non scrivere o possono essere comprati per non denunciare.
“La libertà è come l’aria ci si accorge quanto vale quando comincia a mancare” diceva Calamandrei, ma per insegnarne il valore dobbiamo far capire che l’unica garanzia per la libertà è l’esercizio della democrazia attraverso la partecipazione (la più bella liaison inventata da un cantautore!).
Accanto alla posa della corona nei cippi delle stragi dobbiamo spiegare che le scelte sono sempre individuali e ciascuno è libero di scegliere di dire “no” ad un comando ingiusto, “no” ad una menzogna fatta passare per verità, “no” ad una mazzetta per ottenere un favore. Se come ha detto ancora Calamandrei“La libertà è condizione ineliminabile della legalità; dove non vi è libertà non può esservi legalità” allora c’è da chiedersi se non dobbiamo ancora conquistarla la libertà visto che la legalità è ancora uno dei nostri problemi più gravi e forse anche oggi abbiamo dei “partigiani” che spendono la loro vita per garantire la legalità. Non a caso domani sera l’Amministrazione di Costa di Rovigo e l’Associazione il Fiume ospiteranno la giornalista Serena Uccello che presenterà un libro dal titolo “Corruzione” che ricostruisce l’architettura della de-costruzione del nostro paese. Un tema è tra i più importanti nella nostra attualità. Ecco forse il 25 aprile deve essere celebrazione di chi ha combattuto per dire “no” a ingiustizia, privilegi al diritto del più forte, ma anche supporto oggi a chi ancora combatte per dire il proprio “no” alle ingiustizie, alla sopraffazione, alla discriminazione di ogni tipo, alla menzogna passata per verità ed al razzismo. E mi pare che la lotta sia ancora dura
La medaglia di “giusto tra le nazioni” conferita dallo Yad Vashem
A più di 70 anni dalla liberazione dal nazifascismo ci sono ancora molte storie da raccontare. Una è quella di Pontemanco e delle famiglie Brunazzo e Bertin e delle famiglie Hasson e Mevorach che vennero salvate dalla solidarietà dei primi.
A Pontemanco (un borgo ai piedi dei Colli Euganei oggi frazione di Due Carrare) negli anni ’40 erano quasi tutti socialisti, di quelli che si riferivano a Matteotti, l’unico politico che contrastò con forza Mussolini.
Dopo l’8 settembre del 1943 arrivarono in paese alcuni profughi ebrei che fuggivano dall’ internamento libero in provincia di Rovigo. I profughi erano clandestini e ricercati dal ricostituito governo fascista della Repubblica di Salò e dai Nazisti.
Per loro si aprirono le porte di casa Brunazzo; Guerrino, vedovo, la sorella Erminia e due figli maschi, Attilio in seminario e Isidoro ventenne, nascosero dal 31 dicembre 1943 al 27 aprile 1945 a ben sette persone, quattro adulti e tre ragazzi, a rischio della vita.
Tutto il paese che sapeva aiutò e chi non sapeva, ma intuiva, tenne la bocca chiusa.
Nutrire e alloggiare sette persone in più in tempo di guerra col razionamento e la scarsità di viveri non fu facile, per gli acquisti servivano, infatti, le tessere annonarie.
A Pontemanco però il mugnaio Bertin fornì legna, farina e tutto quel che poteva, il farmacista dottor Fortin fornì medicine e assistenza, il parroco don Torresin conforto e notizie sul corso della guerra.
Il 27 aprile ad un soffio dalla ritirata dei tedeschi un episodio rischiò di causare a Pontemanco una delle tante stragi nazifasciste ma la determinazione del parroco rese possibile la salvezza di settanta uomini del paese tra cui i gli ebrei, scambiati per partigiani perché non erano abbronzati come lo erano i contadini del luogo.
Fu così che gli Hasson, Ido, Sida e la figlia Blanka con la nipote EstherDanon e i Mevorach, Israel, Tinka e Isacco in fuga da Jugoslavia e Bosnia Erzegovina riuscirono a salvarsi e continuare a vivere.
Lo Yad Vashem, l’istituzione che si occupa in Israele dello studio e della raccolta del materiale sullo sterminio del popolo ebraico, attraverso l’Ambasciata di Israele in Italia conferirà martedì 28 marzo presso il comune di Due Carrare la medaglia di “giusto tra le nazioni” ai discendenti della famiglia Brunazzo.
La cerimonia si svolgerà martedì 28 marzo alla Casa dei Carraresi in via Roma 33, nel Comune di Due Carrare alla presenza del Sindaco, dell’Ambasciatore di Israele in Italia e dei discendenti delle famiglie Brunazzo e Mevorach e con l’Associazione il Fiume a rappresentare la famiglia di Esther Danon.