Questa notte nella sua casa di Roma, accanto alla moglie Marika, che lo ha assistito fino all’ultimo faticoso respiro, è mancato, all’affetto dei suoi figli, ma anche al disperato bisogno che tutti noi abbiamo di lui, Shlomo Venezia.
Shlomo Venezia era nato a Salonicco il 29 dicembre 1923, da famiglia di ebrei di origine italiana che era transitata dalla città di Venezia prendendone il nome. Brutti anni per nascere e crescere, ma quali sono le epoche felici per il popolo ebraico che, con cadenza periodica e costante pervicacia, viene perseguitato dal tiranno di turno?
La famiglia Venezia composta da Shlomo, la madre Angel, il fratello Moshe – Moritz, le sorelle Rachel, Maria e Marta, viene deportata da Salonicco nell’aprile del 44, destinazione Auschwitz.
Dall’inferno del campo e del “lavoro” al Sonderkommando, Shlomo e Moritz si salvano e con loro Rachel ritrovata dopo la guerra. Shlomo vive l’angoscia e la colpa dell’essere sopravvissuto mentre milioni di altri sono morti e da subito si scontra con un mondo che chiude occhi e orecchie per non sapere quello che è accaduto.
Per lui inizia “il male di vivere” seppur mitigato dall’incontro con la moglie Marika, giovane ungherese che lo accompagna nella sua ricostruzione fisica e morale verso l’inizio difficile della sua seconda vita. “Non si esce mai dal campo” ripeteva con ossessione Shlomo, e in questo campo ha vissuto fino alla fine, specie dopo la sua terza vita, quella iniziata quando Marcello Pezzetti, storico della “shoah”, lo scoprì tra l’esiguo numero di sopravvissuti che piano piano, dagli anni ’70, aveva iniziato a raccontare.
Ben nascosto in mezzo ai testimoni che il tempo cominciava a decimare, Shlomo faticò a tirar fuori il suo ricordo fino a quando, grazie alla giovane scrittrice francese Béatrice Prasquier trovò la forza e l’occasione per raccontare tutto il suo calvario nel libro-intervista, che venne poi tradotto in italiano e divenne “Sonderkommando Auschwitz”.
Dagli anni ’90 Shlomo ha percorso l’Italia e l’Europa in una serie di viaggi della memoria, accompagnando moltissimi studenti ad Auschwitz, testimoniando nei luoghi più prestigiosi ma anche nei posti più sperduti del paese e dandosi completamente a questo compito di trasmissione della memoria da protagonista diretto, una memoria contro la quale nessun negazionismo è possibile.
L’incontro con l’Associazione Il Fiume” avvenne durante un “viaggio della memoria” ad Auschwitz, in seguito durante una conferenza a Rimini, città in cui, grazie al prezioso lavoro di Laura Fontana, responsabile italiana del Mèmoriale de la Shoah di Parigi, Shlomo andava a testimoniare con passione.
Iniziò così un rapporto quasi filiale che legò Il Fiume e le sue iniziative a Shlomo e Marika, l’uno imprescindibile dall’altro. Ne nacquerò incontri memorabili, a Stienta con Valter Veltroni e Andra Bucci, ad Auschwitz più volte, a Salonicco, dove il Fiume collaborando con la Provincia di Rovigo ad un progetto europeo, portò Shlomo per una straordinaria testimonianza nel luogo da cui la sua storia aveva avuto inizio.
Ultimo incontro organizzato da Il Fiume, con e per, Shlomo Venezia, è stato la testimonianza all’Ateneo Veneto, nella città di Venezia, a febbraio del 2011. Grazie ad un gruppo di giovani storici e studiosi veneziani tra cui Shaul Bassi e Simon Levi Sullam Shlomo, che già faticava a camminare, venne ospitato nella città da cui la sua famiglia errante prese il nome e il successo dell’incontro fu testimoniato dall’affetto che la platea a il presidente della comunità ebraica, Amos Luzzato, gli tributarono.
Da un anno Shlomo aveva gravi problemi di salute e aveva smesso di viaggiare, ma la scorsa settimana l’abbiamo sentito al telefono e, dopo le notizie sulla salute e le condizioni del momento, ci ha detto quasi di slancio…” a proposito, se avete qualsiasi cosa da chiedermi, non abbiate problemi, chiamatemi, che anche da qua voglio aiutarvi…”. Strano messaggio.
Il contatto telefonico con Marika era quotidiano e, per non affaticarlo, solo ogni tanto chiamavamo direttamente Shlomo, ma mai, fino a quel momento, ci aveva sollecitato a chiedere, a interrogare! Sapendo la fatica e il dolore che gli costava, negli incontri in privato o tra una testimonianza e l’altra, non eravamo mai noi a chiedere ma il ricordo del campo veniva da lui, spontaneamente, e noi bevevamo grati la sua memoria. Leggere, ora che non è più con noi, quel messaggio estremo di voglia di raccontare, di testimoniare, ci da un brivido. Forse Shlomo aveva capito e voleva dirci che passava il testimone ma con il sostegno della sua presenza invisibile, silenziosa e costante. Grazie.
