Fra pochi giorni sarà per il mondo occidentale la Pasqua di Resurrezione. Per il mondo cristiano il trionfo della vita sulla morte e il messaggio di speranza che quel che non si è realizzato in questa vita si potrà realizzare nell’altra. Per il mondo ebraico la celebrazione del viaggio, dell’erranza da una terra di sofferenza ad una di libertà.
In entrambi i casi non possiamo non pensare alla Pasqua come a una speranza per una vita migliore. La Pasqua del viaggio verso un futuro che, pur ricordando la sofferenza da cui si parte, nutre in sé la speranza.
Pasqua ha l’immagine dei viaggi della speranza che siamo costretti a vedere anche oggi. Pasqua è la delusione verso un mondo che non ha ancora elaborato un modo diverso di concepire le relazioni tra uomini. Ancora oggi dopo millenni, una parte dell’umanità deve liberarsi dalla schiavitù che le impone un’altra parte di umanità.
L’immagine della Pasqua di quest’anno per noi è quella dei barconi che attraversano il Mediterraneo pieni di uomini, donne e bambini che cercano almeno una vita … fuggendo dalla violenza degli uomini e tuttavia confidando nella misericordia di altri uomini.
Pasqua è anche l’immagine di passate migrazioni, forse diverse o forse sempre uguali.
Pasqua è la speranza che la voce dell’umanità migliore sovrasti quella dell’umanità peggiore
È molto difficile aggiungere parole dopo la strage di Charlie Hebdo, in primo luogo perché il fenomeno politico e culturale che sta al fondo richiede una competenza e una profondità intellettuale di cui non dispongo. In secondo luogo, perché dopo ogni orrore, in mancanza di una parola piena, è certamente preferibile il silenzio. Tuttavia, mi è stata richiesta in amicizia un’impressione e, per amicizia, rispondo, senza concepire altro se non un personalissimo e parziale punto di vista.
Il 7 gennaio sono rientrata a casa verso le 10:30, venivo dall’ università, dove sarei tornata nel pomeriggio. Ho appreso la notizia da internet e subito ho acceso la televisione. Dodici persone erano state uccise durante la riunione di redazione del settimanale Charlie Hebdo. Quando sono tornata a lezione – era il giorno dell’esame – ho avuto voglia di sospenderlo e di cercare conforto nei miei studenti. Ma non l’ho fatto, e sono rimasta come imbambolata a guardarli riempire il foglio.
Il 9 gennaio ho seguito incredula i due sequestri paralleli nel supermercato di Porte de Vincennes e nella tipografia di Dammartin-en-Goële. Questo sentimento di attonimento l’ho ritrovato per diversi giorni anche nelle strade della città e nei volti delle persone. Attonimento e paura, tanto che alcuni dei siti normalmente più frequentati erano diventati surreali e vuoti. Le persone, da subito, si sono però riversate spontaneamente in Place de la République, silenziosamente, certo per solidarietà e rabbia, ma credo anche per l’impossibilità di vivere nella solitudine delle proprie case un’angoscia di tale portata. La società civile, a pensarci bene, ha anche questo ruolo.
Ciò che mi ha colpito è prima di tutto la dignità e il contegno con cui i cittadini si sono uniti attorno al dolore. Non ci sono state, nemmeno durante l’enorme manifestazione dell’11 gennaio, agitazioni e urlatori di slogan, ma soltanto un’aria densa, che raccoglieva tutti in un unico cerchio. Di tanto in tanto, un canto, un applauso spontaneo e collettivo.
Un altro aspetto di cui sono rimasta stupita è appunto quello dell’unità. I francesi, a quanto pare, hanno una concezione della civiltà molto diversa dalla nostra. Mentre sui giornali e sui blog italiani leggevo sfrenate teorie del complotto (idea che lo stesso Charlie Hebdo si è divertito a prendere in giro nel numero ‘postumo’), attacchi incrociati e polemiche sterili, i francesi davano prova di superare le proprie divisioni interne in nome di qualcosa di superiore. (Se qualcuno dubitasse sull’esclusione di Marine Le Pen dalla manifestazione, pare proprio sia stata lei ad autoescludersi.) Ebbene, questo ‘qualcosa di superiore’, questo ‘valore comune’, che si respira ancora oltralpe, nonostante i problemi, la crisi, le pecche del governo di turno, non può non meravigliare un italiano emigrato che, diciamocelo, non ci è abituato. Lo si chiami senso civile, senso di responsabilità, interesse per il bene della propria comunità.
Mi riferisco, ad esempio, anche alle parole durissime con le quali Manuel Valls, il primo ministro francese, ha denunciato l’intollerabile e banale antisemitismo di ritorno che imperversa in Europa: “Come possiamo accettare?!”
Da noi, non siamo abituati a considerare la laicità come un valore, una risorsa, un’àncora forse di salvezza. A un paio di settimane dagli attentati, il governo lavora per introdurre nelle scuole (le scuole!) l’educazione alla laicità e una giornata nazionale vi sarà d’ora in poi consacrata.
Infine, il razzismo e il problema dell’integrazione, che in Francia è molto complesso e problematico. No, non sto parlando della becera discussione che alcuni fondano sull’associazione di fondamentalismo islamico, immigrazione, religione musulmana e terrorismo. Sto parlando di quella situazione di apartheid territoriale, sociale ed etnico che si cela nei luoghi oscuri di un paese solo apparentemente all’avanguardia sull’integrazione e che è stata richiamata dallo stesso primo ministro, all’attenzione dei suoi concittadini. Nel male, un altro aspetto positivo: nessuno qui fa finta di essere perfetto.
Nel preparare gli auguri di Buon Natale e Buone Feste per gli amici del Fiume ci siamo imbattuti in queste riflessioni di Zigmund Baumann[1] forse uno dei più importanti filosofi contemporanei che analizza il concetto di modernità e le dinamiche della società contemporanea.
“Un’idea vetusta e contraddittoria di assimilazione, che ancor oggi pretende dall’immigrato un’accettazione della cultura ospite talmente integrale e “chimicamente pura” da implicare una rinuncia alla sua cultura d’origine. Non c’è futuro per questo orientamento: la storia raccontata in questo libro mostra, una volta di più, che l’assimilazione ha fatto il suo tempo (e ha fallito). La via d’uscita – per delle società globali e multiformi come le nostre – è l’interculturalità, armonizzazione nelle differenze: forse la cosa più difficile che esista, ma anche la più bella”
Ci sembra molto vero quanto dice Baumann ma altrettanto difficile da mettere in pratica. Accettare l’altro senza pensare di sottometterlo ma anche senza la paura di essere sottomessi da lui è un atto di grande intelligenza. Non so se la nostra società ha gli strumenti per farlo, accettare gli altri significa essere in pace con se stessi e questo non è dato alla maggioranza in questo momento storico. Il disagio che attanaglia i nostri cuori per la difficoltà di accettare il destrutturarsi di una società che pensavamo ben organizzata, non è la base migliore per aprirsi verso l’altro. Come possiamo accogliere i migranti se non abbiamo di che mantenere il nostro tenore di consumo alto? Come possiamo allargare la nostra società se anche la nostra famiglie spesso è un peso e non una risorsa?
Le domande restano aperte e solo una grande fabbrica culturale può provare a rispondere nei prossimi anni. Rispetto al Natale ad esempio, noi pensiamo che in Italia la tradizione prevede che la maggioranza delle famiglie celebra la nascita di Gesù con la riproposizione della rappresentazione simbolica del Presepe, nel tempo poi ha accettato una diversa tradizione nordica dell’abete addobbato, in futuro dovremmo poter accettare che nelle scuole ormai miste anche le altre comunità possano rappresentare le loro tradizioni senza “ urtare sensibilità” ma anzi aggiungendo conoscenze e motivi di festa a quelli che già abbiamo.
Buon Natale, Felice Channukka e Buon Ramadan a tutti … con buona pace di chi pensa che togliere è meglio che aggiungere.
[1] Z. Baumann, “Visti di uscita e biglietti di entrata” , casa ed. Giuntina
Abbiamo scelto di pubblicare il libro sulla storia della famiglia dei Buchaster, ebrei polacchi internati a Costa di Rovigo durante gli anni dal ’41 al 44 perché è una storia epica ed esemplificativa.
Epica perché è l’epos di una famiglia ebrea perseguitata dai nazifascisti che ha avuto un fine tragica ma anche la capacità di sopravvivere gettando il proprio seme in una terra nuova nella quale è fiorito e ha dato nuova vita.
Esemplificativa perché attraverso le sue peregrinazioni ci ha consentito di ripercorrere le tappe e approfondire la storia della persecuzione degli ebrei di matrice fascista prima che nazista.
Scrivere è stato il momento finale di un lavoro che ha appassionato un gruppo di amici ma che, attraverso l’Associazione il Fiume, ha collegato tre continenti, Europa, Asia e Nord America.
Pubblicare ha significato allargare ancor più il cerchio e mettersi in gioco coinvolgendo oltre agli amici anche gli amici degli amici.
Questo coinvolgimento a cerchi come dal sasso gettato in acqua è avvenuto utilizzando la raccolta fondi allargata cosiddetta del crowdfunding (finanziamwento collettivo) attaverso un sito (kapipal) ed una pubblicizzazione con social media ed una pagina dedicata su facebook chiamata “Aiuta il Fiume raccontare la storia dei Buchaster”.
Fra pochi giorni abbandoneremo la pagina perché abbiamo stabilito di terminare la raccolta il 16 dicembre 2014 una data importante per gli amici del Fiume.
Vogliamo rendere significativa la chiusura di questa raccolta fondi che ha messo in gioco tutti noi e ci ha avvicinato a tantissime persone conosciute ma a moltissime sconosciute.
Al termine della raccolta pubblicheremo in una sezione speciale del sito tutti i nomi dei donatori ai quali andranno le ricompense previste ma la nostra grande riconoscenza.
Doppio appuntamento con i cento anni dallo scoppio del primo conflitto mondiale per gli amici del Fiume, venerdì 5 dicembre ore 20.30 a Stienta presso l’Aula Magna delle Scuole Medie ( in attesa che terminino i lavori di consolidamento del Municipio), e sabato 6 dicembre alle ore 10.30 ad Adria all’ Auditorium Saccenti in via Aldo Moro.
A Stienta in collaborazione con la Biblioteca Comunale Eric Gobetti, storico ed esperto dei Balcani, ripercorrerà il viaggio fino a Sarajevo di Gavrilo Princip, studente bosniaco, e Franz Ferdinad, erede al trono degli Asburgo .
Con il supporto di alcuni importanti documenti filmati e fotografici verrà tracciata una mappa delle pulsioni e dei contrasti etnici e politici che hanno fatto da sfondo all’assassionio del 28 giugno 1914 che diede fuoco alla miccia della “polveriera balcanica”. La 1a Guerra Mondiale ha determinato il superamento dei limiti dell’umana sopportazione dell’orrore e del sangue che hanno reso tutto possibile nei decenni successivi.
Una grande trincea rosso sangue ha scavato nelle viscere dell’Europa da Sarajevo a Verdun sconvolgendo le vite e la psiche di milioni di uomini che non si sono più liberati dagli incubi della più grande carneficina mai realizzata dall’uomo fino ad allora. Con lo storico vedremo le condizioni in cui si sono svolti i fatti e che hanno determinato la deflagrazione e le conseguenze che ne sono derivate anche alla luce degli ultimi conflitti e della dissoluzione dell’Ex-Jugoslavia.