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Gli internati a Fiesso Umbertiano

Il nucleo familiare degli SCHLOSS proviene dalla Germania, è di nazionalità tedesca ed è composto dal padre, Hermann, figlio di Bernard e di Teresa Hirschberg, nato a Norimberga, in Baviera, il 19 agosto 1884; dalla madre, Lilli Sander detta Babette, figlia di Alfredo e di Emma Kahn, nata ad Augusta, in Baviera, il 13 marzo 1892; e da un unico figlio, Hans Werner, nato a Francoforte sul Meno, in Assia, il 26 novembre 1921. 

herman schlossFuggono dalla Germania nel 1938, probabilmente usufruendo degli ultimi permessi di emigrazione di cui possono ancora avvalersi gli ebrei sotto il nazismo.

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, gli Schloss subiscono le conseguenze delle Leggi razziali promulgate dal fascismo nel 1938 e da Milano, loro prima tappa in Italia, vengono internati nel più grande campo di concentramento italiano, a Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, il 9 agosto 1941.

Dal campo di concentramento calabrese vengono trasferiti al domicilio coatto presso il Comune di Fiesso Umbertiano il 28 novembre del 1941, dopo che il Podestà aveva tentato di dissuadere la Prefettura lamentando la mancanza di alloggi.

La famiglia Schloss è in condizioni di indigenza, il padre ha diversi problemi fisici e richiede spese mediche che assorbono il modesto sussidio concesso dal ministero, così vivono in un appartamento in cui anche gli arredi sono forniti dal Comune.

Nel 1942 gli Schloss iniziano a percepire la diaria, quel sussidio giornaliero che lo Stato paga agli internati per la sopravvivenza, 8 lire per ogni uomo adulto, 5 lire per ogni donna, 3 per ogni bambino e 4 per ogni figlio adulto che conviva con il nucleo familiare di appartenenza, anche se Werner, diventato maggiorenne il 26 novembre 1941, avendo compiuto i 21 anni, dovrebbe avere diritto al sussidio da adulto, la diaria così modificata non arriva, nonostante la richiesta venga ripresentata più volte, il 4 dicembre 1942 e ancora il 21 gennaio 1943.lily sander schloss

Fortunatamente, Werner riesce a ottenere il permesso di poter lavorare, richiesta inoltrata il 23 luglio 1942 ed esaudita il giorno dopo. Così dal 24 luglio 1942 inizia a fare il levigatore di piastrelle in una ditta del paese. L’autorizzazione al lavoro rispetta le disposizioni emanate dal questore Lazio che il 14 luglio 1942 comunica a tutte le Province di autorizzare che gli internati ebrei lavorino “purché ciò non danneggi la mano d’opera locale” e senza superarne il salario, “onde evitare che i predetti trascorrano nell’ozio il periodo di confino o dell’internamento…“.

Intanto gli Schloss si sono trasferiti dalle due stanze in centro di Fiesso Umbertiano alla campagna circostante, e sono alloggiati presso la casa colonica della famiglia Bombonati.

Il nucleo familiare dei Bombonati è composto da due fratelli, Mario e Aldo, e dalla moglie di uno dei due. Gli Schloss e i Bombonati diventano amici e quei mesi trascorsi insieme sono di serenità per gli Schloss, che nel frattempo cercano di far avere loro notizie e chiedere aiuto a qualche parente lontano.

Attraverso la Croce Rossa, Lilli Sander riceve una lettera del fratello dall’Ohio, ma riesce solo a comunicare che sono in buone condizioni e nient’altro (settembre del 1942).

Dopo il fatidico 8 settembre la famiglia non fugge, non ha evidentemente la percezione del pericolo e così, un paio di mesi dopo, ‘8 dicembre 1943, Hermann, Lilli e Werner Schloss vengono arrestati e portati nelle carceri di Rovigo, dove rimangono fino al 22 giugno del ’44.
In carcere, Werner si presta a fare da scrivano per i compagni che non sanno scrivere in italiano, e la sua calligrafia dà voce alle parole di tutti. Lui stesso intraprende una corrispondenza con Mario Bombonati, e nelle sue lettere leggiamo che domanda i sandali, del cibo semplice, pagnotte, cipolline, formaggio, qualche indumento, le poche cose che i fratelli Bombonati potevano racimolare per aiutare quanto possibile l’amico incarcerato e anche gli altri.

werner schlossIl 25 giugno 1944 Werner scrive per l’ultima volta ai Bombonati: la lettera arriva dal campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, in Emilia: “Tra poco partiremo per ignota destinazione…” ,  Werner e i suoi genitori sono arrivati a Fossoli il giorno prima, il 24 giugno 1944, e partono per Auschwitz il giorno dopo, il 26 giugno 1944, con il convoglio 13 (secondo la convenzione numerica dell’ordine dei convogli stabilita dalla professoressa Liliana Picciotto della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea).

Ad Auschwitz, Hermann, il padre, molto debilitato, viene ucciso subito; della madre Lilli non si conosce la sorte ma si può presumere.

Werner, il figlio, supera la prima selezione e gli viene assegnato il numero di matricola A15812. Sopravvive tre mesi. Viene ucciso il 30 settembre 1944; probabilmente durante una specie di decimazione che le SS compiono sugli internati, contando i prigionieri fino a cinque e sparando al quinto.

Fiesso Umbertiano viene liberato dai nazifascisti dalle truppe inglesi nell’aprile del 1945. 

Le famiglie di Taglio di Po

Anche a Taglio di Po vi sono famiglie di ebrei stranieri costretti all’internamento libero ed in particolare due famiglie di ebrei turchi imparentate tra loro.

La famiglia Razon, composta da  Nissim, la moglie Regina Afnaim, con le figlie Sultana e Vittoria, e la famiglia Afnaim composta da Salomone Afnaim, fratello di Regina, sua moglie Lea Dana e i figli Leone e Vittoria, con loro era anche la madre di Regina e Salomone, Vittoria Ciprut vedova Afnaim.

I Razon e gli Afnaim vivono in Italia ormai da molti anni, tutti e quattro i bambini sono infatti nati a Milano, dove le due famiglie si sono stabilite dopo aver lasciato la Turchia in seguito alla crisi economica del 1929. Hanno conservato comunque i loro passaporti turchi.
La Turchia era  nazione ufficialmente neutrale, ma in realtà impegnata in un doppio gioco di rapporti con la Germania da un lato e l’Inghilterra e la Russia dall’altro, per aver mire espansionistiche sui territori controllati dai contendenti.

Nel ’41 Nissim Razon viene catturato in uno dei rastrellamenti di Milano ed inviato al campo di Ferramonti di Tarsia in Calabria,  senza poter avvertire la famiglia.

Per mesi la moglie e le figlie non hanno notizie, poi, appena Regina viene a sapere che il marito è nel campo di concentramento in Calabria, prende le due figlie e lo raggiunge in treno il 24 agosto del ’41.  Nel campo la famiglia riunita rimane un anno per essere poi trasferita a Rovigo e di lì a Taglio di Po, in una casetta con giardino che consentirà l’allevamento di qualche gallina.

A Taglio di Po nel frattempo sono stati internati anche gli Afnaim, le due famiglie sono state accolte con benevolenza dalla popolazione locale e la loro vita, seppur isolata a causa delle norme che impediscono loro contatti troppo ravvicinati, è comunque accettabile (Leone Afnaim e Susanna Razon frequentano le scuole elementari). Qui sono raggiunti dalla notizia dell’armistizio, vedono i cittadini di Taglio di Po esultare alla notizia e si illudono di poter tornare ad una vita normale.

Per loro, come per molti altri internati, si apre, invece, la parentesi drammatica della persecuzione dei Nazisti alleati alla Repubblica Sociale Italiana, a dicembre 1943, tutta la famiglia viene arrestata e tradotta in carcere a Rovigo.
I bambini non possono rimanere in carcere e quindi, dopo una drammatica notte trascorsa soli  fuori dal carcere, vengono riportati da una guardia a Taglio di Po.

Il Podestà del paese, nel corso di una assemblea pubblica, chiede se qualcuno tra la popolazione vuole accogliere i bambini.

Quattro bambini da accudire in età compresa fra i 7 e gli 11 anni, in “tempo di guerra” sono un compito gravoso di cui nessuno vuole farsi carico, salvo  una contadina il cui marito era in guerra, e che viveva in una casa isolata. Questa donna divide con i bambini i sacchi di paglia per dormire e le poche cose che costituiscono i suoi arredi.
I bambini rimangono soli tutto il giorno, mentre la donna è in campagna a lavorare, e devono procurarsi da mangiare, così Susanna, la maggiore, va in giro ad elemosinare cibo e vestiti.
Le suore del vicino orfanotrofio, le danno una minestra al giorno da dividere in quattro.
Un giorno il Parroco convoca Sultana e le propone la conversione al cattolicesimo, Sultana rifiuta ma… niente conversione, niente minestra, e ricomincia la ricerca di ogni cosa commestibile, oltre alla lotta contro i parassiti che proliferavano nella miseria e nella sporcizia.

A giugno del ’44 i bambini vengono prelevati, riportati ai genitori nel carcere di Rovigo e con loro trasferiti a Fossoli, campo di transito per la Germania. Tutta la famiglia viene deportata a Bergen Belsen il 2 agosto del ’44 passando da Verona.

Nel campo situato nel nord della Germania, la famiglia vive tutte le traversie dei deportati ma riesce a sopravvivere grazie ai passaporti turchi e al fatto che la Turchia continua a mantenersi neutrale fin quasi  alla fine della guerra. Il timore di ritorsioni turche in caso di danni a suoi cittadini, fa sì che la Germania non proceda allo sterminio degli ebrei turchi. La Turchia dichiarerà guerra alla Germania solo nel febbraio ’45. Prima della liberazione del campo i Razon e gli Afnaim vengono ripuliti e caricati su un treno con viveri sufficienti per raggiungere Goteborg in Svezia a seguito di uno scambio di prigionieri con la Turchia.

La vicenda delle famiglie Razon e Afnaim non sono frutto di ricerca in archivio di Taglio di Po che, fortemente danneggiato dall’alluvione del ’51, ma sono ricavate da un’intervista a Susanna (Sultana) Razon, oggi moglie del professor Umberto Veronesi, raccolta dalla storica Sara Valentina Di Palma nel libro “Bambini ed adolescenti nella shoah. Storia e memoria della persecuzione in Italia”, ediz. Unicopli.
Delle famiglie si ricorda però un testimone di Taglio di Po che frequentò un anno le elementari con Leone Afnaim e che ha conservato la foto della classe in cui il giovane Leone, lo spilungone al centro della foto nella seconda fila, posa con gli altri in divisa da “balilla”.

la classe delle elementari di taglio di po del '43

La condizione degli ebrei in Polesine durante il fascismo

Nel marzo 1939 risiedevano nella provincia di Rovigo 40 ebrei italiani e 3 stranieri. Le leggi razziali emanate dal fascismo nel novembre 1938, esclusero alcuni di loro dalle professioni e dagli impieghi statali, due medici e un ingegnere polesani non poterono più esercitare e un’insegnante perse il lavoro. In seguito furono sequestrati anche i beni di proprietà di ebrei con conseguenze disastrose per la famiglia ( vedi i casi di Luigia Modena Colorni di Rovigo e della famiglia Ravenna di Adria).

fronte del ghetto di Rovigo

Intanto nel corso degli anni 30, molti ebrei stranieri provenienti dai paesi sotto occupazione nazista, trovarono rifugio in Italia, per lo più in attesa di espatrio dai porti della penisola, ma l’introduzione delle leggi razziali nel novembre “