16 ottobre 2013 – 70 anni dal rastrellamento degli ebrei di Roma

via resella roma

Volevamo parlare della terribile data del 16 ottobre 1943 quando gli ebrei romani, dopo l’estremo tentativo di salvezza con la consegna di 50 kg di oro a tedeschi occupanti, vennero catturati e raccolti per essere inviati ad Auschwitz dove vennero sterminati.

Siamo costretti, invece, a ricordare come ignoranza e superficialità della stampa e della pubblica opinione e forse anche della giurisdizione, hanno consentito di accettare che Erik Priebke, l’assassino di 356 giovani di estrazione diversa uccisi alle Fosse Ardeatine dopo l’azione partigiana di via Rasella, trascorresse gli ultimi anni, dei 100 vissuti, a Roma fianco a fianco con i discendenti delle sue vittime.

Le vittime hanno dimostrato fino in fondo cosa differenzia i giusti dagli ingiusti. 
I primi hanno lasciato vivere senza attuare vendette postume, i secondi hanno ucciso senza pentimento e senza ritrattazione e lo farebbero ancora proprio per il loro status di ingiusti. 
Non possiamo però stupirci che, alla fine, la società civile si opponga ai suoi funerali a Roma e alla sua sepoltura nel nostro paese.

L’Italia non ha voluto conoscere una parte della sua storia contemporanea, non ha fatto i conti con il suo passato fascista che si è mescolato con la ricostruzione postbellica ed è stato alimentato fino ad oggi, trovando anche un posto in parlamento.

Non a caso le autorità fasciste furono i diretti collaboratori dello sterminio degli ebrei italiani e stranieri. Furono i Prefetti e i Questori del regime fascista a raccogliere gli elenchi con i nomi di tutti gli ebrei presenti in Italia e a preparare la strada, se non a collaborare direttamente con le SS, alla consegna di tutti gli ebrei che non capirono e non scapparono in tempo.

Da Roma a Costa di Rovigo, tutti erano schedati e tutti vennero presi uno ad uno.

1023 persone da Roma,  ma dai nostri paesi della provincia di Rovigo gli Shloss, i Buchaster, gli Haas e molti altri.
Pochissimi tornarono da quella che viene fatta passare anche oggi come una “disinfestazione dai pidocchi”, peccato che pidocchi fossero considerati gli ebrei, diventati numeri ad opera di una precisa , insistente e continua opera di propagand16 ottobre 43a e disinformazione nazista.   
In questo giorno a Roma le manifestazioni in memoria della razzia del ghetto ricorderanno anche l’anniversario della scomparsa, il 1 ottobre dello scorso anno, di Shlomo Venezia, uno degli ultimi che aveva visto con i suoi occhi quello che gli i “sommersi” , come li chiamava Primo Levi, non potranno mai raccontare.

Per fortuna esistono documenti, lettere, ordini scritti, testimonianze incrociate, registrazioni e filmati che potremo mostrare e spiegare ai giovani delle scuole.

A loro andranno la nostra attenzione e il nostro lavoro.

 

1 ottobre 2013 – A un anno dalla scomparsa di Shlomo Venezia

Ho conosciuto Shlomo Venezia grazie a Luciano Bombarda.

Per mia natura sono troppo schiva per avvicinarmi a persone che ammiro, ma con Luciano era facile avvicinarsi a chi gli aveva aperto già la propria anima e messo in mano la propria vita interiore. Quando mi propose di andare con lui a sentire Shlomo a Rimini, in uno degli incontri organizzati dall’ufficio Memoria e dalla sua direttrice Laura Fontana, era il 2006 e non ci ho pensato un attimo. 

Da quella sera gli incontri con Shlomo si sono moltiplicati e così, dietro Luciano “caterpillar”, io e molti altri amici de Il Fiume abbiamo approfondito la conoscenza di Shlomo, siamo entrati nella sua vita degli ultimi anni riuscendo a capire forse qualcosa il più del “mestiere del testimone”.

Non “mestiere” nel senso che i negazionisti danno a questo compito, ma nel significato che Cesare Pavese dava della sofferenza della vita in cui il vivere pratico deve convivere con la poesia o, nel caso di Shlomo, con  il compito difficile del testimone.

“Non si esce mai dal campo” diceva Shlomo e posso testimoniarlo per averlo sentito più volte, nel mezzo di una normale conversazione, passare, su sollecitazione di un’immagine, un dettaglio di quel che stava vivendo in quel momento al ricordo della tragica esperienza.

La sua vita di uomo non era distinguibile da quella di Marika, la giovane moglie incontrata nel tempo della riabilitazione, e con la quale aveva diviso il carico di una tragedia come la sua esperienza al Sonderkommando.

Senza di lei sarebbe stato difficile, se non impossibile, sopportare quel carico anche se Shlomo aveva una personalità forte e facilità di interazione col mondo che lo circondava.

Mi ricordava tanto mio nonno, dal quale, come internato IMI, avevo appreso le prime storie sulla guerra e i campi di concentramento e inconsciamente ero entrata, seppur con l’approccio italiano, dentro questa parte della storia.

Il viaggio più bello con Shlomo Venezia è stato quello a Salonicco, con e grazie alla provincia di Rovigo e al progetto europeo “Forget us not”, propostoci dalla Presidente Tiziana Virgili. Il ritorno a casa di Shlomo in veste ufficiale di testimone è stato emozionante, così come vedere come si aggirava con sicurezza nelle stradine della città vecchia a ridosso del fronte del porto, come si intratteneva in greco nel piccolo ristorante in cui ordinò piatti semplici della tradizione che se fossimo stati noi da semplici turisti non avremmo saputo come chiedere!    La sua testimonianza fu importante e significativa e portata per la prima volta nella sua città natale.

Shlomo diventò come un padre per noi e con lui Marika, inseparabile. Con il Fiume ci furono altre memorabili occasioni di testimonianza come quella del febbraio del 2010 all’Ateneo Veneto a Venezia, altra città fondamentale per lui, quella da cui i suoi avi erano passati dopo la cacciata dalla Spagna e che aveva dato il nome alla sua famiglia.

Shlomo era forte, era anche un uomo di spirito anche se il suo riso non era mai aperto e pienamente felice, c’era sempre un’ombra in lui e il discorso, prima o poi finiva nel campo.

Non sappiamo cosa sia stato essere i figli di Shlomo Venezia, ma se la sua volontà di parlare spentasi alle prime esperienze in cui le persone dimostravano di non voler sapere, non ha turbato l’infanzia dei suoi ragazzi, di sicuro la successiva ansia di lasciare traccia e raccontare ha segnato la vita di tutti quelli che lo conoscevano e amavano.

Così come ha segnato la nostra e speriamo quella di coloro che lo hanno ascoltato con attenzione nel suo peregrinare.

M.Chiara Fabian

8 settembre 2013- La Patria è mobile…da La Stampa

internati militari in campo di concentramento

Quando al G20 sulla Siria hanno fatto la conta delle nazioni schierate con Obama e di quelle che concordavano con la posizione opposta sostenuta da Putin, un solo Paese si è ritrovato inserito in entrambi gli elenchi. Inutile scriverne il nome. Lo conoscete dai tempi della scuola, dai libri di storia dove leggevate di questo popolo di mercanti e mediatori apparentemente astutissimi che non aveva mai finito una guerra, un conflitto, un litigio per il parcheggio dalla stessa parte in cui lo aveva iniziato. La terza guerra di indipendenza, per dirne una, fu un tripudio di equilibrismi e giravolte come non se ne vedono neanche al Cirque du Soleil. Alla fine, pur perdendo tutte le battaglie, riuscimmo nell’impresa di riportare a casa il Veneto. L’imperatore francese Napoleone III commentò sprezzante: «Ah, gli italiani, ancora una sconfitta e mi avrebbero chiesto Parigi!» Dopo Caporetto e la «vittoria mutilata» che ne seguì, saltò su un dittatore smanioso di trasformarci in antichi romani. Ci trascinò in una catastrofe e non trasformò un bel nulla. La mattina di settant’anni fa, il re che da poco lo aveva fatto arrestare ricevette l’ambasciatore nazista per rassicurarlo sulla fedeltà all’alleanza con la Germania: il giorno seguente sarebbe stato l’Otto Settembre.  Considerati i precedenti, la partita doppia sulla Siria rappresenta una bazzecola. Siamo d’accordo con Obama nel ritenere Assad un criminale di guerra e siamo d’accordo con Putin nel non volerlo bombardare. È così complicato? A me sembra di una chiarezza cristallina. Ma non faccio testo: sono un italiano.   M.G.

Non ce ne voglia Massimo Gramellini se riportiamo integralmente il suo breve pezzo su La Stampa che, riferito all’odierno clima di guerra, riporta l’attenzione sulla data dell’8 Settembre, una data emblematica che ricorda come l’Italia entri ed esca dalle guerre senza che chi la guida abbia la giusta capacità di valutarne le conseguenze.

L’Italia entra in Guerra nel giugno del 1940 perché Mussolini illude un popolo che una guerra è salvifica e corroborante del carattere italico (quale?), sa che gli italiani hanno bisogno di sentirsi forti, specie con i deboli e specie dietro le corazze di qualcun altro.   Sa che gli Italiani seguono qualunque bugiardo, strafottente che rubi, ma alla grande, e si presenti bene. E’ storia vecchia e ricorrente a parte qualche parentesi in epoca romana di qualche tribuno che aveva a cuore il buon governo, per il resto sono i più strafottenti ad avere la meglio sui giusti e corretti.

L’Italia esce dalla guerra l’8 settembre del 1943 dopo che il Fascismo era imploso dall’interno per incapacità di sostenere ancora il peso di una guerra che stava massacrando il paese, ma lo fa con un voltafaccia verso gli alleati tedeschi che porta a conseguenze disastrose.  Dopo l’armistizio firmato da Badoglio con le Forze Alleate, la guerra continua altri due anni ma contro i tedeschi che compiono ogni sorta di nefandezze tra le quali quella di intensificare lo sterminio degli ebrei italiani e di quelli stranieri che in Italia avevano trovato provvisorio e “precario rifugio”.

Da qui inizia la ricerca de “Il Fiume” sull’Internamento libero, perché da questo momento le storie delle famiglie internate in Polesine prendono vie diverse con esiti opposti. C’è chi si salva per fortuna, coraggio e sostegno degli italiani onesti, c’è chi soccombe, arrestato da tedeschi e fascisti per essere condotto ai campi di sterminio.

Non solo gli ebrei vedono cambiare il loro destino, una pagina dolorosa è quella che racconta degli IMI ovvero gli Internati Militari Italiani che dopo l’armistizio rifiutarono di combattere con la Germania, lasciati soli e confusi nelle isole della Grecia o nelle steppe dell’Est e vennero uccisi sul posto o deportati nei campi di prigionia.

Celebrare i 70 anni da quell’8 settembre, oggi per noi significa contrastare tutti coloro che cercano di far rivivere quei miti e ideologie che si nutrono  menti deboli, confuse da birre e alcol ed educate all’odio dalla crisi economica dell’occidente industrializzato.

Chi pagò le conseguenze di quell’8 settembre ha sofferto inutilmente, senza riuscire ad insegnare che la guerra è una cosa orribile per tutti, che la patria e la ragione sono mobili, non stanno mai in un posto fisso e combattere, armi alla mano, per l’una o l’altra parte è una sconfitta per l’umanità.

28 agosto 2013 – C’E’ COMPLEANNO E COMPLEANNO

luciano bombarda e boris pahor

Un mese fa  Roma l’ex ufficiale nazista Erik Priebke ha compiuto 100 anni. Il “boia delle fosse Ardeatine” autore dell’eccidio che sterminò 335 uomini di età ed appartenenze diverse come rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella, del marzo 1944, vive a Roma, agli arresti domiciliari per ragioni di età, dopo la condanna all’ergastolo.

I suoi 100 anni sono stati festeggiati da organizzazioni filonaziste e simpatizzanti della destra italiana, un nipote lo ha raggiunto con una bottiglia di spumante che assieme avranno stappato con la badante, rappresentanti dell’AMPi e dell’ANED hanno protestato ricordando le vittime di quegli ultimi mesi del “

“Tra ville e Giardini” la rassegna di musica e spettacoli del Polesine nel segno de Il Fiume

         stienta

Era l’estate del 2010 e con Luciano Bombarda e gli amici del Fiume ci radunammo per la 1° festa del Fiume nel suggestivo imbarcadero sul Po, a Stienta, un’occasione creata apposta per stare insieme e raccogliere qualche fondo per le attività della nostra ricerca.

Il successo di quella prima festa ci spinse a ripetere l’esperienza e seguirono così le altre due feste del Fiume sul “grande fiume Po”, ultima quella del luglio 2012 per la quale, lo scorso anno, eravamo nel pieno dei preparativi con l’entusiasmo che dà il lavorare in compagnia e in buona armonia per uno scopo comune.

A guardare i post di quei mesi si rimane attoniti, avevamo anticipato il contatto con Laura Boldrini, allora responsabile ONU per i rifugiati, avevamo prospettato la presenza di Josefa Idem, allora in preparazione per la sua ennesima Olimpiade al servizio dell’Italia.

A leggere a posteriori e pensare quel che è successo dopo sembra quasi di essere autori di letteratura di fantascienza e come Jules Verne aver anticipato i viaggi sulla luna!

Oggi ci troviamo a fare i conti con Laura Boldrini Presidente della Camera, ruolo in cui ha riversato tutta la sua esperienza e sensibilità di esperta delle sofferenze del mondo e dei diritti negati, alla quale ogni giorno si chiede di risolvere i problemi del Parlamento, luogo e istituzione in cui, nel frattempo accade di tutto!

Per non allontanarci dal Fiume, l’anno trascorso ha visto la stessa Josefa Idem nominata Ministra delle Pari Opportunità, un ruolo che meglio di lei nessuno poteva interpretare per la sua vita donna e atleta di uno sport minore, disparità nella disparità!

E subito dopo, la stessa Idem, dopo aver gareggiato per decenni per il nostro paese, con sacrifici enormi che, solo chi ha fatto canoa conosce, l’abbiamo vista immolata sull’altare dell’onestà macchiata, a causa di un accatastamento fatto per pagare meno ICI!    

Paradossi di un paese senza macchia e senza paura in cui da un ventennio scorazzano plurindagati, condannati per frodi fiscali, corruttori di minori, banchieri senza scrupoli, faccendieri, corrieri della droga, papponi, ecc ecc

A posteriori ripensare a quelle giornate di preparativi e di fiducia nella possibilità di contare qualcosa nel rinnovamento del Paese, quanto fanno male!   Anche Luciano oggi manca e lo sguardo indietro non può non tornare alla sua energia e alla sua instancabile voglia di fare e aggregare, mettendo insieme mondi, età, paesi e storie diverse. 

appuntamento 9 agostoNon sarà possibile ritrovare lo spirito di quei momenti, ma ritrovarsi nell’atmosfera del Fiume e nel ricordo di Luciano sarà un tentativo che faremo grazie alla voce e alla cultura di Miriam Meghnagi.

Miriam venne alla prima festa del Fiume nel 2010, ospite di un’amica e di passaggio in Polesine tra uno dei suoi viaggi e l’altro a testimoniare l’incontro tra culture diverse, e da quella sera è rimasta in contatto con noi. Con Luciano avevamo cullato il progetto di chiamarla a cantare in qualche occasione, ci spiace che l’occasione sia arrivata solo quest’estate, grazie alla collaborazione con l’Ente Rovigo Festival e nella bella cornice di “Tra ville e giardini”.

Miriam Meghnagi verrà a Ficarolo, il 9 agosto nel parco di Villa Giglioli a cantare le musiche ebraiche che hanno unito il Mediterraneo e i Balcani al seguito delle peregrinazioni degli ebrei inquieti e perseguitati, e sarà come far parte di una cultura e di una atmosfera che attraversa i secoli e porta le voci di generazioni di uomini e donne scomparsi  lasciando  il segno.