Anche a Canaro, uno dei 20 paesi del Polesine interessati dall'”Internamento libero” degli ebrei stranieri nei primi anni ’40, c’è una storia da raccontare. Assieme a Il Fiume si sono prestati gentilmente la signora Cosetta Ferrante e il Marito Sergio Maestri per una serata che è stata descritta dal signor Mario Tosatti, come segue.
“Si può perdonare, ma non dimenticare”. In queste semplici, ma profonde parole del consiglio comunale dei ragazzi, c’è la sintesi della serata organizzata in occasione della “
01 febbraio 2012 – Rinasceva una piccola speranza
Nell’incontro al Liceo “L. Ariosto” di Ferrara lo storico tedesco Klaus Voigt ha presentato un libro di recente pubblicazione, su quello che viene definito l'”esilio” degli intellettuali di area tedesca in Italia.
“Rinasceva una piccola speranza. L’esilio austriaco in Italia (1938 – 1945)” (Forum Editrice Universitaria Udine, 2010), è una raccolta di saggi di autori e autrici italiani e austriaci, curata insieme alla storica Christine Koestner, in cui vengono analizzate le testimonianze e i diari di alcuni intellettuali costretti a fuggire per la loro ebraicità.
Una ebraicità più forzata dall’emanazione delle leggi razziali, che reale, molti , infatti, provenivano da famiglie assimilate, ormai parte della borghesia tedesca o mitteleuropea, e si sentivano pienamente tedeschi.
In particolare viene analizzata la vicenda di Herman Hakel, poeta e scrittore viennese, morto nel 1987, che percorse tutti i gradi dell’internamento in Italia, dal carcere di San Vittore al campo di Ferramonti di Tarsia in Calabria, all’internamento nel campo più piccolo di Campagna, nel Salernitano, fino al domicilio forzato nel comune di Rotonda in Basilicata.
Un caso, quello di Hakel, studiato dalla dottoressa Renate Lunzer, emblematico delle condizioni in cui si trovarono circa 7000 ebrei stranieri transitanti per l’Italia mussoliniana durante la II guerra mondiale, ma utile soprattutto per i dati che fornisce, a caldo, sulle condizioni del nostro paese e sulle caratteristiche del fenomeno, ancora allo studio, dell'”internamento libero”.
Nonostante la specificità dell’argomento i ragazzi del Liceo Classico ferrarese hanno dimostrato una grande attenzione e capacità di comprendere i passaggi storici che ne erano sottintesi, e questo fa ben sperare sull’uso della “Giornata della Memoria”.
KLAUS VOIGT ha conseguito un dottorato presso la Freie Universität di Berlino. Da diversi anni ricerca sul tema dell’esilio verso Francia e Italia. Tra le altre cose è stato docente presso le Università di Bologna, Trento e Parigi. Vive a Berlino dove lavora come storico.
CHRISTINA KÖSTNER ha studiato germanistica e romanistica presso le Università di Vienna e Torino completando gli studi con una tesi di dottorato sulla storia della Biblioteca Nazionale Austriaca ai tempi del nazionalsocialismo. Ha collaborato con numerose case editrici e lavora tuttora come bibliotecaria e ricercatrice nell’ambito degli studi di provenienza presso la Biblioteca Universitaria di Vienna (sezione romanistica).
31 gennaio 2012 – Carlo Spartaco Capogreco e Klaus Voigt parlano dell’ internamento civile in Italia dal 1940 al 1943
Per fare nuova luce sull’internamento civile nell’Italia degli anni ’40, oggetto della ricerca de “Il Fiume” ancora in corso, si deve partire dalla conoscenza dell’istituto del “confino politico” e della pratica del domicilio coatto, sperimentata dal fascismo già ai suoi albori.
Per far questo l’Associazione Culturale “Il Fiume”, ha organizzato uno straordinario appuntamento con Carlo Spartaco Capogreco e Klaus Voigt, i due maggiori esperti in campo storiografico dell’internamento civile, dalla fine degli anni ’30 al 1945.
Il professor Voigt, della Technische Universitat Berlin, è stato l’antesignano degli studi sull’esilio degli ebrei tedeschi in Italia dopo le leggi razziali di Norimberga, per primo ha scandagliato l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, aprendo le porte a tutti gli studiosi che, in momenti successivi, hanno indagato e portato alla luce questa storia dimenticata.
Carlo Spartaco Capogreco, presidente della “Fondazione Internazionale Ferramonti”, docente all’Università di Napoli, in origine medico pediatra, ma con una grandissima passione per la storia, ha percorso l’Italia in lungo e in largo per apporre sulla cartina geografica le tante bandierine dei campi di concentramento fascisti e delle località di internamento, fino alla realizzazione del suo libro “I campi del Duce- L’internamento civile nell’Italia Fascista (1940-1943)”, in cui fa una mappatura dei campi ed in particolare del principale di Ferramonti di Tarsia (CS).
Grazie alla collaborazione in atto da anni con l’Archivio Storico di Rovigo, il suo direttore Luigi Contegiacomo e gli storici che lo supportano, quest’anno l’incontro clou con i due esperti, legato alla “Giornata della Memoria”, si è tenuto martedì 31 gennaio 2012 alle ore 17.00 nella bella Sala Sichirollo dell’Archivio.
I due storici hanno illustrato le condizioni dell’internamento nei campi e le disposizioni che colpivano i reclusi, la diversità degli invii “al confino” nel corso degli anni, col passaggio dagli oppositori politici, agli esuli dalla Germania e per finire ai profughi ebrei dei paesi dell’est e dell’Ex-Jugoslavia.
In particolare il prof. Voigt ha fatto un dettagliato excursus sulla storiografia in materia, dal suo libro ormai introvabile “Il rifugio precario”, fino agli ultimi saggi di recente pubblicazione sull’internamento civile nelle provincie di Vicenza e di Treviso, oltre che di San Donato Val Cimino della prof. Annamaria Pizzuti.
Un’occasione davvero unica nella provincia di Rovigo, salutata anche dall’assessore provinciale Leonardo Raito, egli stesso uno storico.
Il prof. Voigt è poi rimasto con “Il Fiume” per il secondo appuntamento che lo ha portato al Liceo Classico “L. Ariosto” di Ferrara, nella mattinata di mercoledì 1 febbraio, grazie al supporto organizzativo dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara e della sua direttrice Prof. Anna Quarzi.
Giornata memorabile anche per l’accoglienza che Ferrara ha fatto al professore, avvolta nella tormenta di neve che ha dato l’inizio alle perturbazioni dell’ultima settimana. Da vero “Ost-Deutsch” il professore imperturbabile ha affrontato la nevicata con disinvoltura e ha raccontato agli attenti studenti del prestigioso Liceo Classico, la storia della vera e propria diaspora dell’intellighentia ebraica, dalla Germania nazista verso l’Italia, ben descritta nel libro “Rinasceva una piccola speranza – L’esilio austriaco in Italia (1938-1945)” (co-autrice Christina Koestner).
All’incontro prestigioso, sono seguiti nei giorni successivi gli appuntamenti dell’Associazione con il Circolo Auser di Castelguglielmo e con il Comune di Canaro, in cui è stata presentata la ricerca in atto e alcuni casi emblematici di famiglie ebree internate nei comuni della provincia di Rovigo.
Giornata della Memoria 2012 – Il calendario degli appuntamenti in Veneto ed Emilia Romagna
Organizzare gli appuntamenti e le visite di storici, scrittori e testimoni è un compito lungo e impegnativo che occupa “Il Fiume” per un intero anno e, per questo, si pone grande cura nella proposta di relatori, luoghi e pubblico a cui rivolgere gli interventi.
Dopo che ogni incontro ha avuto luogo, è bene analizzarlo per capire se questo ha avuto efficacia o se poteva essere condotto in modo diverso, generalmente, però, i riscontri sono positivi e questo incoraggia a continuare lungo la strada tracciata.
Il 28 gennaio, Nella Roveri, direttrice della Fondazione Ragazzi di villa Emma, ha parlato ai ragazzi dell’Istituto Comprensivo di Costa di Rovigo, della straordinaria vicenda dei ragazzi che dalla Germania e dall’ex Jugoslavia, raggiunsero Nonantola per essere nascosti e salvati dalla popolazione dopo l’8 settembre del ’43.
La vicenda è stata raccolta in un documentario di Rai3 trasmesso da Gianni Minoli in una puntata de “La storia siamo noi” ed è un esempio grande valore educativo proprio per le implicazioni psicologiche e didattiche che ebbe per i protagonisti, al di là dell’importanza storica, ed è un esempio che ai ragazzi è sempre molto utile. I ragazzi salvati sono oggi sparsi per il mondo e alcuni di questi sono stati intervistati e compaiono nel documentario della Rai, uno di loro Joseph Papo, oggi Joseph Ben Zion è grande amico de “Il Fiume” e attentissimo conoscitore della realtà italiana, che segue attraverso la tv.
Più contrastato è l’approccio che i temi dell’olocausto, applicato alle altre minoranze, provocano nei ragazzi, specie quando la minoranza è quella rom- sinta.
Luca Bravi storico dell’Università di Chieti, ha parlato ai ragazzi del liceo “L.Einaudi” di Badia Polesine, della persecuzione dei Rom e Sinti alla luce anche del presente, così che è emersa una punta di insofferenza verso questa parte della popolazione che non suscita le simpatie della totalità del pubblico, prontamente utilizzata dal relatore a scopo didattico.
Facile è additare gli altri come razzisti, ma spesso sottili impulsi covano all’interno di persone che pensano di esserne immuni e che possono infiammarsi nuovamente all’occorrenza, cosi che “mai più…” diventa una formula vuota e subito superata dalla realtà di fatti visti, anche recentemente, nei telegiornali.
Il Fiume ha oltrepassato il Po e, grazie alla collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea diretto dalla dott.ssa Anna Quarzi, a Cento (FE), nella Sala Zarri, del Palazzo del Governatore, Ilaria Pavan, docente alla Scuola Normale di Pisa, ha parlato ai ragazzi degli Istituti superiori del tema “L’antisemitismo fascista e le leggi razziali”.
Lo stesso intervento è stato proposto agli studenti dell’Istituto d’Arte “Munari” di Castelmassa (Ro) in cui, grazie all’interesse delle docenti in primis la prof. Daniela Turatti, ogni anno si propone un intervento di grande spessore. I ragazzi hanno ascoltato con attenzione e sono anche intervenuti dopo le sollecitazioni della prof. Ilaria Pavan che, con la sua trattazione serrata e la puntualissima preparazione, ha elencato la sequenza dei maggiori provvedimenti legislativi del fascismo in materia razziale, dai quali non poteva che discendere una persecuzione finale, con spoliazione dei beni, e perdita delle vite.
Castelmassa – La dottoressa Ilaria Pavan e la prof.ssa Daniela Turatti con gli studenti dell’Istituto d’Arte
Metti in piazza la Memoria. Napoli, il vagone dei deportati e la fiera dei dolciumi
Mi occupo di memoria della Shoah da 22 anni. Un periodo sufficientemente lungo da consentirmi di leggere, studiare e meditare molto.
Sono stati anni entusiasmanti e faticosi, fatti di tantissimi incontri, visite, esperienze di lavoro ed emozioni, alla ricerca di una verità che pare sfuggire alla nostra ragione, (di quale natura è il male politico che ha prodotto Auschwitz nella nostra civiltà?), ma che pervicacemente mi sono ostinata a cercare nella convinzione che sia nostro compito e nostro dovere cercare una ricostruzione dei fatti e soprattutto un senso all’orrore. Anche per poterlo trasmettere alle giovani generazioni in un’ottica educativa, cioè capace di interrogare il passato alla luce del nostro presente.
Da alcuni anni assisto con sempre maggiore preoccupazione e sgomento a una pericolosa deriva della memoria della Shoah, inesorabilmente piegata verso una generica apologia dei diritti umani e sempre meno ancorata a un bisogno di conoscenza storica e di riflessione politica. Il che significa, in estrema sintesi, una contraddizione di cui pochi paiono consapevoli: una commemorazione smisurata e ridondante che pone la Shoah ossessivamente al centro del discorso pubblico e una pericolosa ignoranza di fondo appena mascherata dalla convinzione di sapere tutto dei lager e delle camere a gas.
Soprattutto, assisto a un livello tale di banalizzazione da vedere la specificità storica e politica del genocidio degli ebrei annegare in un mare di melassa, di buonismo o di generico, quanto inutile, moralismo. Tutti oggi, siano politici, insegnanti o privati cittadini, sentono il dovere di andare a visitare Auschwitz in virtù di un dogma che rende il verbo vedere sinonimo del verbo conoscere e capire, nonché per pronunciare sulle rovine dei crematori quel grido accorato “mai più!” che teoricamente dovrebbe vaccinarci dal razzismo e dalla violenza.
Siamo l’unico Paese europeo ad aver organizzato lo scorso anno 9 treni per Auschwitz, con uno sforzo organizzativo ed economico incalcolabile allo scopo di condurre in Polonia migliaia di giovani studenti. Siamo anche in cima alla classifica mondiale per il numero di visitatori del campo. Eppure non esiste nelle università italiane alcun seminario permanente di storia della Shoah. Commemoriamo tanto e ci impegniamo attivamente per tener viva la memoria con mille lodevoli iniziative, alcune ben fatte altre meno, eppure non dedichiamo un uguale sforzo a rafforzare l’insegnamento della storia, disciplina in netto declino nella scuola italiana, tanto che i nostri figli ignorano quasi tutto del fascismo e del nazismo.
Ma ciò che mi indigna è vedere la memoria della Shoah utilizzata dalla politica e dalle istituzioni per scopi che spesso non hanno nulla a che fare con l’esigenza di verità storica. Come se ricordare enfaticamente Auschwitz fosse la garanzia di una coscienza etica e democratica inattaccabile, una sorta di passaporto diplomatico per proteggersi da eventuali critiche di insensibilità o, peggio, di razzismo e di antisemitismo.
Ed ecco, allora, che da Nord a Sud assistiamo a performance pubbliche sulle quali la decenza impone di stendere un velo pietoso, tanto sono vuoti e ridondanti i discorsi.
Ma che dire infine di iniziative come quella recentemente organizzata a Napoli per il 27 gennaio scorso, con la sistemazione in Piazza Plebiscito di un vagone presentato come originale dell’epoca della guerra e utilizzato per il trasporto dei deportati ad Auschwitz?
Iniziativa lodevole, certo, se lo scopo era quello di ricordare pubblicamente che cosa è stata la Shoah degli ebrei italiani.
Peccato che le buone intenzioni non siano sempre suffragate da obiettivi chiari e da metodi di realizzazione corretti. Innanzitutto il vagone è stato posto in un angolo della piazza, messo quasi a caso, senza alcuna illuminazione, indicazione o allestimento idoneo per una corretta visualizzazione. Inoltre, l’unica informazione di cui dispone l’ignaro passante è un foglio di carta attaccato con il nastro adesivo sulla porta, in cui chi legge non capisce da dove provenga esattamente il vagone, né a quali deportati esattamente si riferisca, mentre chi scrive pare confondere il destino degli ebrei e degli altri deportati, ma soprattutto ignorare che dall’Italia non ci fu nessuna deportazione di massa di sinti e rom, né di omosessuali. Infine, l’area in cui è posto il convoglio, testimone muto e quasi illeggibile della sofferenza di migliaia di innocenti, è animata da stand gastronomici e musicali all’insegna della migliore festa di paese, con zucchero filato, bomboloni, giostre e canzonette e persino la preparazione di una gara podistica con tanto di striscioni e bandierine.
Mancanza di rispetto? Indecenza? Miopia dell’amministrazione comunale? Confusione storica da parte degli organizzatori?
Direi che c’è di più, purtroppo. Quello di Napoli è l’esempio di uno spettacolo da fiera che mette a nudo il re e l’ipocrisia benpensante di chi pensa a mettere in prima pagina (nella piazza principale) la memoria della Shoah senza rispettarla e senza curarsi di fare i conti con la storia a cui rimanda tale memoria.
Meglio niente, allora, che un povero vagone buttato in mezzo ai venditori di lupini.
Laura Fontana, responsabile per l’Italia del Mémorial de la Shoah