“Oggi la terra di nessuno è proprio dietro l’angolo, a pochi passi da qui. Tra la frontiera tedesca e quella ceca – mio Dio, che frontiera infame – un pezzetto di filo metallico tra i campi, una sbarra sulla strada, una fune tirata da un albero all’altro, basterebbe un bambino a smantellare tutto, è una frontiera che fa piangere … E in alcuni punti hanno lasciato tra le linee di confine un lembo di terra di nessuno. Dapprima l’esercito ceco si è ritirato da qui; poi sono arrivati gli eroi tedeschi (o ungheresi o polacchi ) che in questa striscia di terra di nessuno hanno spedito gli ebrei cacciati dai territori occupati. A costoro si sono aggiunti altri ebrei fuggiti da altri territori occupati della Cecoslovacchia. Alcuni sono arrivati perché era stata ordinata la loro espulsione, o perché temevano per i loro beni, altri perché avevano paura per i loro cari che ancora si trovavano nel territorio occupato. A costoro è stato concesso di attraversare il filo spinato cecoslovacco; ma non hanno potuto superare quello tedesco. E neanche gli è stato concesso di riattraversare il filo spinato per far ritorno in Cecoslovacchia. Sì, i fili spinati del 1938 sono robusti e resistenti.”
Da un articolo di Milena Jesenskà, la Milena di Franz Kafka, giornalista che l’amica e storica Anna Pizzuti ha postato su internet e ricordato a noi tutti che abbiamo la memoria corta.
Buona Pasqua a tutti gli amici del Fiume…
“Milena l’amica di Kafka” di Margarete Buber-Neumann, Adelphi 1986
Nessuna pretesa di celebrazione, i morti, da qualsiasi parte, non devono essere oggetto di celebrazione, semmai di cordoglio. Come associazione culturale, Il Fiume ha sempre provato a diradare le ombre e fare luce, fioca magari, ma pur sempre luce su fatti della storia più o meno vicina.
Non è facile parlare in modo obiettivo di certi temi. Temi che coinvolgono la storia delle persone e spesso vengono trattati in modo soggettivo. La lezione di Luciano è stata quella di provare in tutti i modi a capire e come amici e soci del Fiume abbiamo proseguito su questa strada. Piuttosto che celebrare o fare sensazione cerchiamo sempre di capire, e così è stato nella serata che abbiamo dedicato all’approfondimento del Giorno del Ricordo, e quindi delle“foibe”, grazie all’apporto di Federico Tenca Montini.
Da alcuni anni ci occupiamo di conoscere questo tema, e lo abbiamo fatto con la punta di diamante del professor Boris Pahor, con la studiosa Alessandra Kersevan, con il bravissimo Alessandro Cattunar e ora con un giovane storico Federico Tenca Montini che ha il merito, data la giovanissima età, di avvicinarsi al tema senza pregiudizi ideologici ma con la voglia di entrare nelle parti, da osservatore esterno quasi. Il suo lavoro di tesi, oggetto del libro che ha presentato, ha avuto il merito di analizzare l’uso delle foibe da parte di chi ne ha fatto di volta in volta, oltre che un metodo di eliminazione del nemico, anche un mezzo di propaganda delle proprie ragioni.
L’assessore Moira Ferrari con Chiara fabian e Federico Tenca Montini
Il pubblico presente, molto attento, ha però rivelato oltre ai pregi anche i difetti di quello che l’informazione è abituata a confezionare. Alla fine la domanda di rito è stata “quante sono le vittime delle foibe?” A questa Tenca Montini ha risposto sornione con un’altra domanda “quali vittime vi interessano?” Il desiderio di misurare e dare un’ordine alla grandezza di un evento in termini di vittime, rivela come alla fin fine non interessino i processi “che hanno portato a” , ma il numero che solo sembra dare la cifra dell’orrore. Il relativismo dell’approccio, non vuole assolutamente sminuire la portata ma proprio nell’analisi della specificità di momenti e protagonisti rendere giustizia ad un evento tanto tragico nella storia di quelle terre.
Abbiamo dovuto ribadire con forza che “capire” non è sinonimo di “giustificare”, ma il dubbio che abbiamo letto nei nostri interlocutori ci ha fatto capire che la strada della conoscenza è ancora lunga.
Immaginate di vedere una foto in cui si contrappone la bambina col cappottino rosso del film Schindlerlist e una foto dei profughi in grecia in cui una bambina tenuta per mano da un adulto viene evidenziata perchè a colori rispetto al bianco e nero. Cosa possiamo dedurne? Quale effetto e riflessione vuole suscitare il grafico?
Cercherò di spiegare in breve quello che una brava e giovane studiosa, Fiorenza Loiacono, ha espresso in un lungo e circostanziato articolo in un blog riprendendo, alcuni giorni fa, un precedente blog dalla pagina facebook dell’Internazionale (una rivista pregevole per impostazione ed intenti). Il blog della testata “Internazionale” faceva un parallelo tra due foto per creare emozione accostando alla Shoah la tragedia dei profughi che attualmente fuggono dalla Siria e tentano di raggiungere un’Europa che alza dei muri e circonda i paesi di filo spinato (http://www.tpi.it/mondo/italia/pop-shoah-tragedia-profughi ).
La puntualizzazione di Fiorenza Loiacono è volta a stabilire le differenze tra le due immagini e, in primis, l’accostamento di una immagine filmica, creata apposta, nella parte superiore con una reale nella parte sottostante.
Altra critica della studiosa è all’errore secondo cui la prima immagine tratta dal film “Shindler’s list”, è riferita alla Germania mentre narra del ghetto di Cracovia in Polonia. Sembrano sottigliezze ma sono in realtà un modo superficiale di trattare argomenti molto delicati e complessi. La Shoah è diventata in questi anni di grande diffusione di studi, ma soprattutto di film e romanzi, un paradigma per spiegare tutto quello che di terribile compie l’umanità.
In realtà l’umanità ha commesso innumerevoli atti di crudeltà contro soggetti tra i più diversi e accanirsi a usare la Shoah per spiegare tutto il male, non fa che abbassare l’attenzione per la specificità che l’ha invece caratterizzata.
In sintesi Fiorenza Loiacono sostiene che “porre a confronto gli eventi e farlo con i mezzi appropriati non è in assoluto sbagliato, anzi può rivelarsi utile a comprenderli, purché se ne riconoscano le specificità e le differenze.
Se anche i profughi siriani non sono condotti alle camere a gas, non per questo la questione va liquidata brutalmente. Da un certo punto di vista, tale reazione di rifiuto potrebbe essere considerata un altro effetto collaterale di una memoria del genocidio ebraico condotta malamente, secondo un automatismo privo di pensiero ed elaborazione.
A furia di mostrare immagini di camere a gas, forni crematori e cataste di cadaveri, senza contestualizzarle e senza soffermarsi sui fattori che hanno portato a questo sterminio, si è contribuitoforse ad innalzare la soglia di accettazione della disumanità: se i camini non si stagliano all’orizzonte non si fa nulla, non è pericoloso, non è quello”.
Con i ragazzi a Melara
La accurata disamina di tanto approccio alla Shoah ci è servita per interrogaci sullo scopo e i modi in cui abbiamo condotto il nostro intervento nelle scuole e presso le istituzioni in occasione della giornata della Memoria e in quella del Ricordo. Quando abbiamo presentato il nostro studio “…Siamo qui solo di passaggio” a Melara, a Castelmassa, a Ficarolo e recentemente a Stienta, lo abbiamo fatto parlando di storia e di vicende precise, mai slegate dalla documentazione e dalla testimonianza. Abbiamo parlato di quello che è accaduto in quegli anni nella provincia di Rovigo, come in molte altre del Nord Italia, ma siamo anche stati pronti a rispondere a tutte le domande di bambini che volevano sapere, che erano curiosi di capire “perché” agli ebrei e in quel modo.
Non ci siamo mai sognati di dire che conoscere sia “evitare che accada ancora”, abbiamo spiegato che la violenza è anche oggi sotto gli occhi di tutti ma quello che dobbiamo evitare è che si ripetano i meccanismi che portano l’individuo a farsi massa non pensante. Speriamo di aver seminato e di aver fatto della Shoah uno specifico momento di riflessione sul sé e non solo sull’altro.
Complice la fretta nell’organizzare un incontro da tempo cercato, non siamo riusciti a dare la giusta evidenza alla relazione che Francesco Lotoro, musicista e studioso pugliese conosciuto in tutto il mondo, ha regalato a noi e al Conservatorio Venezze di Rovigo la mattina del 3 febbraio scorso.
Su invito dell’Associazione il Fiume, il prof. Francesco Lotoro è riuscito a far tappa nel Polesine in mezzo ai suoi numerosi appuntamenti nazionali e internazionali. Reduce da un bel concerto a Tel Aviv ha potuto solo far intuire la mole di conoscenze musicali e storiche che ha accumulato in lunghi anni di lavoro appassionato sulla raccolta delle musiche della deportazione e dello sterminio.
Fortunati testimoni di una narrazione che avrebbe potuto durare giorni, sono stati i ragazzi delle terze della scuola media annessa al Conservatorio Venezze. Hanno presentato l’ospite il Presidente del Conservatorio prof. Fausto Merchiori e il prof. Giuseppe Fagnocchi. Il grande lavoro archivistico del maestro di Barletta, fondatore dell’ Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, lo ha portato alla raccolta di oltre 5.000 brani prodotti nelle condizioni di reclusione più diverse. Il lavoro iniziato con la raccolta delle musiche dei lager nazisti si è, negli anni esteso a tutte le espressioni musicali prodotte in cattività nei campi e lager dei fronti della II Guerra Mondiale e non sembra aver fine.
Giuseppe Fagnocco, Francesco Lotoro e Fausto Merchiori
Al pubblico, reso attento anche dalle esecuzioni di alcuni brani effettuata dal musicista grazie alla presenza degli strumenti nel salone del Conservatorio, Francesco Lotoro ha raccontato di come la musica poteva essere un mezzo per avere salva la vita entrando nelle orchestre che caratterizzarono la vita nei lager, ma poteva anche garantire solo un prolungamento di una vita destinata comunque a finire tragicamente. Era il caso che stabiliva se si doveva vivere o morire in quelle condizioni ma di sicuro la musica serviva per una sorta di consolazione e per rendere la vita meno drammatica.
L’incontro è terminato troppo presto lasciando in tutti i presenti la voglia di ascoltare ancora le tante storie di sommersi e di salvati che lo studioso aveva da raccontare e che speriamo saranno preservati per il futuro ritorno di un ospite tanto importante.
Non abbiamo mai smesso di considerare la shoah nella sua specificità di sterminio voluto e organizzato del popolo ebraico, ma abbiamo sempre diffuso la conoscenza di tutte le altre vittime dello sterminio e la nostra serie di appuntamenti degli anni scorsi lo può testimoniare. Col professor Pahor abbiamo parlato dei campi in cui venivano rinchiusi i politici e gli slavi, con Luca Bravi e Djana Pavlovic abbiamo fatto conoscere il “Porrajmos” che ha decimato i popoli Rom e Sinti. Abbiamo diffuso il film documentario “Pharagraph 175” sulla persecuzione degli omosessuali, abbiamo parlato di molte vicende prima che la maggioranza di chi si occupa di conoscenza ne facesse ampio dibattito.
Quest’anno il nostro impegno si è concentrato soprattutto nel divulgare il frutto della ricerca del Fiume, ossia il libro “…Siamo qui solo di passaggio. La persecuzione antiebraica in Polesine 1941-1945” e i diversi incontri a Papozze, a Taglio di Po, in Provincia di Rovigo in cui le nostre storie sono state le protagoniste, hanno avuto un seguito molto bello. Presentare il libro a diverse fasce di età e con scopi diversi, ci ha dato e darà prossimamente, l’occasione per approfondire le parti della ricerca che per motivi di tempo e relazioni non abbiamo sviluppato abbastanza.
A Papozze in biblioteca con Amalia Modonesi
A Papozze, ad esempio, non avevamo fino ad oggi notizie su Ivone Pivanti il Podestà che con le carte d’identità in bianco salvò la maggior parte degli ebrei internati in Polesine. Oggi sappiamo che la sua famiglia è sepolta nella cappella di famiglia del paese e che il figlio Giorgio, salvato da Eduard Kopp da annegamento in Po, è deceduto e riposa nella stessa cappella dei famigliari dopo aver trascorso parte della sua vita a Padova. Ad Occhiobello abbiamo parlato ai ragazzi delle medie ma anche agli anziani del paese e ci aspettiamo di scoprire, dal passa parola, che qualcuno si ricorda della famiglia Wonsch anche se è rimasta per pochi mesi in paese.
Il Sindaco Antonio Bombonato e Sandy Speier KleinGunter Demnig posa le pietre difronte ai ragazzi
Il momento più significativo è stata la posa delle pietre d’inciampo in memoria della famiglia Buchaster e di Carl Gruen a Costa di Rovigo. Le scuole medie hanno presenziato alla cerimonia vera e propria in una fredda ma soleggiata mattina di gennaio, nella quale hanno potuto vedere un artista all’opera. Un artista un po’ strano , armato di cazzuola, secchio e martello più che di pennelli e tavolozza, ma oggi l’opera d’arte è soprattutto “istallazione” e per i ragazzi è stata un’esperienza nell’esperienza.
Alunni e insegnanti sono stati molto bravi ad interpretare la cerimonia. Hanno preparato canti accompagnati dalle chitarre ed una composizione breve ma molto toccante che si è accompagnata ai ricordi dei famigliari letti in inglese dagli ospiti presenti da tutto il mondo. In ebraico il cugino di Manni da Israele ha recitato il kaddish ossia la preghiera che accompagna i defunti nelle cerimonie funebri. In questo caso per i familiari rimane solo il ricordo, affettuoso e sentito, a distanza di decenni, verso persone che Auschwitz ha accolto tra le sue braccia mortali.
Le celebrazioni ufficiali tenutesi a Rovigo nella sede della Provincia hanno fatto perno sulla presentazione del nostro libro alla presenza del Rabbino di Padova Locci e del Vescovo Mons. Soravito, oltre che del Prefetto dott. Frucillo. Alta l’attenzione degli studenti alle parole dei relatori e conseguente visita alla lapide sul muro del cimitero ebraico di Rovigo con i nomi degli ebrei deportati e uccisi dal nostro territorio.
A seguire abbiamo parlato a Castelmassa dell’internamento libero con l’aiuto di uno storico giovane e bravo il prof. Paolo Tagini di Vicenza che ha inquadrato storicamente le vicende e poi ha parlato del nostro libro e della vicenda dei fratelli Hass.
Come ogni anno, siamo stati a Ficarolo nel nuovo e bel Teatro Parrocchiale dove, assieme a Franco Levi e con le insegnanti, che da sempre si appoggiano al Fiume per integrare l’ ottimo lavoro che fanno, abbiamo parlato di Luciano Bombarda e della sua ricerca. Vogliamo chiudere questo primo report con la poesia particolarmente toccante che una giovane studentessa di Costa ha scritto per l’occasione.
Ci sono molte pietre lungo il sentiero della nostra vita,
dalla nascita fino alla morte:
pietre su cui inciampiamo…
pietre che bloccano il nostro cammino…
pietre che usiamo per costruire muri attorno a noi e soffocare i nostri sogni…
…ma ci sono anche pietre speciali…
Lastricano i pensieri che portano al cuore…
aprono le porte del nostro spirito e costruiscono porti sicuri per i nostri sogni…
A te che mi hai insegnato a scegliere le pietre colorate della vita e dei ricordi…
che mi hai insegnato come metterle insieme in un variopinto arcobaleno…
a te il dono di queste pietre…
che ormai sono tutto ciò che mi rimane del mio spirito bambino…
assieme ai frammenti del mio cuore
che pur divisi
continuano a battere*
* poesia di Giulia Begio alunna della scuola media “A. Frank” di Costa di Rovigo