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Si ha democrazia quando il popolo può controllare l’operato del governo: accetterò il controllo del popolo, ho bisogno dell’energia del popolo, voglio ascoltare la voce del popolo.
Aung San Suu Kyi, 14 novembre

Colazione nel Carso sloveno col professor Boris Pahor

Boris Pahor 97 anni, eleganza e sobrietà fatta persona, cultura approfondita d’altri tempi, ci aspetta puntuale alle 12.00 nella sua casa di Trieste per un’uscita in compagnia, che con lui si trasforma in una lezione di storia, straordinaria ed incontrovertibile.

carso triestinoIl professore, che “Il Fiume” ha ospitato ormai più volte a presentare i suoi libri, ha accettato di buon grado la proposta di una colazione in terra slovena, dove difronte ad una iota carsica e ad un buon bicchiere di terrano, il pasto si prolunga fino al tardo pomeriggio in virtù del soffiare della bora mista a neve che flagella il Carso e della bontà della conversazione. 

Certo lo scrittore sloveno non è simpatico a tutti, la ricerca su internet mette subito in risalto come gruppi di detrattori si sentano titolari di una verità opposta a quella vissuta sulla sua pelle dallo scrittore, oggi famoso per il suo capolavoro “Necropoli”, e  molti altri libri meno noti ma altrettanto pieni di valore letterario.

Quello che non va giù a molti ri-scrittori della storia, è che l’anziano esponente della cultura slovena denunci la fascistizzazione della Venezia Giulia negli anni 20, fatta di persecuzioni ben descritte nei suoi libri, volta ad italianizzare un territorio che aveva molto di sloveno, molto di asburgico e poco di italiano. 

Boris Pahor dall’alto della ricchezza della sua vita vissuta, non può soffermarsi sulle critiche, le percosse subite al suo arresto come attivista sloveno dai fascisti, sono un ricordo vivo nonostante siano trascorsi molti anni e molti colpi di spugna alla memoria collettiva. 

Il professore spezza piccoli bocconi di pane e li spalma di una punta di patè di fegato, non disdegna un po’ di vino, ma ama soprattutto le trattorie in cui si può avere del brodo!

il monte stena

Prende volentieri del brodo caldo e vista la giornata ne ha tutte le ragioni, così tra un cucchiaio e l’altro ci racconta cose note, come dopo gli studi e la maturità in seminario a Capodistria, a 26 anni venga inviato in Libia da soldato italiano, come in Africa debba cogliere l’occasione di rifare la maturità, invalidata dalla sua uscita dal seminario, in una Bengasi bombardata dagli inglesi ogni giorno alla stessa ora.    Le vicende sono note ai suoi lettori e si trovano soprattutto nell’ultimo libro “Piazza Oberdan”, ma delle parole del professore,  ci piace cogliere i dettagli e le notazioni più intime.

Ci piace gustare la comicità amara delle descrizioni dell’esercito italiano e del suo equipaggiamento “…mi capitò di vedere dei cannoni con la canna storta da chissà quali esplosioni, e mi chiedevo a chi avrebbero potuto sparare!

Per non parlare delle divise, “..inglesi e tedeschi in pantaloni corti di cotone e noi in pantaloni lunghi di panno che, quando qualche alto in grado veniva a passar in rassegna le truppe, poi si tornava alle tende zuppi di sudore!”

Orgoglioso di aver rifatto la maturità classica discutendo con il superiore esaminatore della commissione, da pari “come due uomini di cultura”, ricorda il ritorno in Italia con una nave ospedale dopo la vittoria degli inglesi in Nordafrica, e poi l’impegno a continuare gli studi di letteratura italiana all’università di Padova, nonostante la guerra e fino quasi alla laurea.

Racconta di come dovette liberarsi della valigetta coi libri di testo, greco e latino, gettandola in mare, obbligato da un superiore, ma svelto a salvarne una parte riempiendosi le tasche. 

I camerieri sloveni servono senza metter fretta il minuto signore di 97 anni che, con un po’ di disagio, deve pranzare con la testa coperta dalla coppola, alla sua età un alito di vento può essere fatale e, consapevoli che è una gloria letteraria nazionale, lo trattano con riguardo particolare ma non appiccicoso.

Nel racconto del professore c’è l’amarezza di chi ha dovuto sostituire la propria cultura con un’altra e ha vissuto la ribellione del popolo sloveno, dopo i crimini commessi dagli italiani e dai nazisti, ma senza odio e senza quel sentimento anti italiano temuto da chi non presta attenzione all’umanità comune dei popoli, ma ne strumentalizza i tratti nazionali.

Ne è riprova la sua pietà per i commilitoni fascisti che considera poveri diavoli, come lui costretti ad un’impresa inutile, e che nell’arida solitudine del deserto, gli fanno venire in mente i lanzichenecchi della poesia Sant’Ambrogio del Giusti!

Il tempo passa e scende il buio tra le colline, la neve si tramuta in pioggia sferzante ma c’è ancora spazio per un po’ di dolce, la cui scelta da il là al ricordo della “putizza” che la moglie Radoslava gli preparava in maniera difficilmente imitabile.

Pahor non si atteggia a giudice dei comportamenti degli altri anzi, si biasima per non aver avuto il coraggio di andar da subito con i partigiani, non  ha mai pensato di essere un eroe, era ed è un uomo comune con la facoltà di pensare e chiedersi il perché dell’odio che genera odio, della violenza su inermi, donne e bambini.

Gli piace raccontare che lo studio delle lingue ( oltre allo sloveno e al croato, l’italiano da triestino, il tedesco al seminario di Capodistria ed il francese all’università di Padova con Diego Valeri), in fondo gli ha salvato la vita, garantendogli un posto da interprete nel suo reggimento, poi nel campo di concentramento in cui aiutò il medico norvegese a “curare” gli stremati schiavi di Hitler.

Un caffè, un po’ d’acqua, due biscotti secchi, ancora si potrebbe continuare ma il professore è preoccupato del rientro a casa nella ripida salita di Contovello, così ci si muove e si raggiunge Trieste attraversando una frontiera che ancora non è stata smantellata e fa da filtro, tra un di qua ed un di la che oggi non è chiaro, ma nella storia delle terre di confine forse non lo è mai stato! 

Lo accompagnamo fin sulla porta di casa, accomiatandoci con gratitudine per la bella giornata, tra il vento e la pioggia che non hanno spaventato un grande signore, in doppiopetto grigio, con un paletot elegante ma forse un po’ leggero per l’inverno ormai giunto.

La “politica” dell’Associazione il Fiume

        il saluto del sindaco Fenzi

“L’Associazione Il Fiume fa politica…”ha detto il suo presidente introducendo la serata di ieri sera e rispondendo a quelle che, dalla stampa locale, sono state lanciate quasi come accuse, quasi che i politici stessi ritenessero titolo di demerito fare politica, oppure un loro esclusivo appannaggio.

La politica come interesse ai bisogni della società, anche se questi bisogni sono la conoscenza, il sapere dai testimoni diretti, l’informazione su quello che i cittadini si chiedono e che non trova risposta nei telegiornali, nelle parole dei politici, nei giornali, questa è la politica dell’Associazione Il Fiume. 

fabio bonaseraL’intervento del giornalista Fabio Bonasera, pacato e ben argomentato, ha espresso un concetto fondamentale, la Lega vive di slogan a cui non corrisponde una realtà di azione politica, anzi, le riforme che ne stanno alla base vengono continuamente rinviate per poter tenere sempre alta la tensione e mantenere il potere acquisito nel mezzo della grande crisi in cui versa l’Italia dalla fine della Prima Repubblica.

Se per l’opposizione l’avversario è sempre stato Berlusconi, questo ha distratto l’attenzione su chi invece monopolizzava i bisogni degli italiani, esaltandone i difetti e non le qualità parlando “alla pancia”.   La Lega governa l’Italia, e che sia un buon governo o no è una conclusione che ognuno può trarre da sé dalle proprie esperienze quotidiane.

Il libro è a disposizione nelle librerie e la presentazione serve a stimolare la voglia di informarsi delle persone che vi troveranno le opinioni degli autori, ma la bellezza della serata è stato il mettere insieme più di 70 persone, in una sera di tardo autunno, in un piccolissimo paese e in una saletta poco capiente per il numero di persone  giunte all’incontro.

70 persone, alcune delle quali fuori dalla sala, persone comuni ma speciali allo stesso tempo, persone che vogliono discutere pacatamente, esprimere opinioni diverse, aiutarsi l’un l’altra a capire le ragioni di scelte anche opposte.
I cittadini di simpatie leghiste hanno espresso le loro opinioni, non intaccate neppure davanti al racconto di certi fatti, il giovane comunista ha fatto l’analisi di un percorso storico politico, senza timore di venire zittito, l’ex senatrice ha messo in luce fatti di una storia recente che pochi sanno o non ricordano, donne sensibili e timorose del ripetersi del passato hanno espresso le loro paure per il clima di odio e separazione che il nostro paese sta vivendo.

Ecco tutto questo, senza urli, senza offese, è la politica che fa l’Associazione il Fiume, rispettosa delle persone, delle idee altrui, delle sedi istituzionali…

fabio bonasera e luciano bombarda    scorcio dei partecipanti alla serata   

 

 

19 novembre 2010 – INGANNO PADANO

copertina del libro di Bonasera e Romano
 L’appuntamento di venerdì 19 novembre in Sala Consigliare a Stienta (Ro), ore 20.45, prevede la presentazione dell’ultimo libro di Fabio Bonasera e Davide Romano, due giovani giornalisti che hanno scritto per “Il Corriere del Mezzogiorno”, “il Corriere del Veneto”, per “il Gazzettino” oltre che aver pubblicato libri di approfondimento di temi politici sul Mezzogiorno.

Il libro “Inganno Padano”, con prefazione di Furio Colombo, racconta attraverso le testimonianze di coloro che hanno creduto, all’inizio, alle idee moralizzatrici di Umberto Bossi,  come queste possano oggi sposarsi con le pratiche  di governo dei molti ministri leghisti e col sostegno incondizionato a Berlusconi, giustificato dal “federalismo”, ammesso che questo obiettivo possa, da solo, spiegare l’adesione a  tutti i provvedimenti e  i comportamenti che il Governo ha fatto passare dal momento del suo insediamento.

L’analisi si propone come “la vera storia della Lega Nord” e se la storia è sempre materia complessa che richiede approfondimento, documenti, riscontri, sarà certamente interessante sentire, da uno degli autori, come questo lavoro ha preso corpo e come la raccolta dei dati sia stata condotta per arrivare alle conclusioni del libro.

SI INFORMA CHE LA PRESENTAZIONE E’ STATA SPOSTATA PRESSO LA SALA CIVICA (DIETRO IL PALAZZO COMUNALE) ALLA STESSA ORA

13 novembre 2010 – Aung è libera!

 Aung San Suu Kyi (foto Repubblica)

Due righe oggi, sul sito de “il Fiume” per festeggiare con la Birmania, e col resto del mondo civile, la liberazione di Aung San Suu Kyi avvenuta ieri da parte del governo militare del paese che ha riconosciuto la “buona condotta” della coraggiosa leader.

Da subito Aung ha salutato la folla dei sostenitori che, per la prima volta, non sono stati allontanati con la forza delle armi.

Che stia iniziando una nuova stagione della forza delle idee? 

Ci piacerebbe pensarlo per tutti i paesi, e sicuramente la presenza e la determinazione di tante figure femminili che governano o combattono per un mondo migliore non è casuale.

Ben tornata Aung!

7 novembre 2010 – In Birmania elezioni dopo 20 anni

aung san suu kyi

Nella fascia in testa al nostro sito compaiono alcune personalità che consideriamo vere e proprie “guide” all’agire per aver dedicato la loro vita alla pace ed alla crescita sociale ed umana del mondo.

La scelta non poteva essere esaustiva di tutti gli esempi positivi e quindi, oltre ad alcune figure del passato prossimo, il presente è rappresentato da Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991.

Non vogliamo fare del giornalismo, ma visto che i telegiornali non danno notizie ormai e quel che resta è la rete, invitiamo chi ci segue a cercare su giornali e rete le notizie delle prime elezioni in Birmania dopo 20 anni, da quando il regime dei militari ha preso il potere e lo detiene con la forza.

Così Aung San Suu Kyi è una donna che fa opposizione dagli arresti domiciliari ed dall’isolamento da 15 anni!

La sua lotta, e quella delle opposizioni, in un paese che con tutti i mezzi limita le libertà, dovrebbe farci capire che la libertà e difficile conquistarla, e per questo, quando la si ha, bisogna fare di tutto per non perderla.

Tenere il potere con la forza è una tentazione per tutti coloro che lo hanno conquistato in un modo o nell’altro, e la forza può essere quella dei carri armati, ma anche quella di un’informazione imbavagliata, di leggi fatte per limitare la democrazia e quella di slogan costruiti ad arte su paure altrettanto costruite.

E su questo vogliamo far riflettere oggi.