31 maggio 2011 – Annullato l’incontro con Antonio Ingroia

La vita in trincea dei magistrati italiani e la loro attività intensa e senza tregua, li costringe a ritmi che non sono quelli delle persone normali così, l’incontro che la nostra Associazione aveva concordato e organizzato per il 31 maggio al Teatro Jubilaeum di Stienta, viene annullato per sopraggiunti impegni in tribunale di Antonio Ingroia.

Unico appuntamento che viene confermato è l’incontro con gli studenti dell’Università di Ferrara che si terrà il 31 maggio presso l'”Aula Magna” dell’ateneo ferrarese, in via Savonarola 9,  alle ore 11.15.

L’incontro serale a Stienta ha dovuto essere annullato perché il giudice dovrà essere in aula il mattino dopo ad un’udienza straordinaria e non sono stati trovati mezzi in grado di fargli rispettare i tempi.

Con rammarico comunichiamo la cancellazione dell’appuntamento ai numerosi amici che già avevano annunciato la loro presenza .

31 maggio 2011 – Spostato a questa data l’incontro con Antonio Ingroia

Spostato per impegni di lavoro del magistrato, l’incontro del 25 maggio a Stienta.
Antonio Ingroia sarà, invece, a presentare il proprio libro sulla mafia e i suoi condizionamenti il martedì successivo.

La mafia è dappertutto e, soprattutto, fa scuola e rete nel mondo intero. Le forze dell’ordine mettono a segno colpi importanti all’organizzazione che , però, si rigenera continuamente e tenta di incidere sulle strutture stesse della nostra democrazia per avere sempre più  campo libero.

Per questo il magistrato è sceso in piazza a difesa della Costituzione e alle polemiche che ne sono seguite il dott. Ingroia ha risposto con un’intervista a Repubblica nella quale ha affermato:

“Non vedo nulla di strano che un magistrato partecipi ad una manifestazione e dica la sua su un progetto di riforma costituzionale della giustizia. La magistratura non vuole sostituirsi al potere legislativo ma nel rispetto del potere legislativo un magistrato può esprimere il suo punto di vista tecnico su scelte che rischiano di essere uno strappo rispetto ai principi fondanti dell’assetto costituzionale della giustizia e ai diritti fondamentali dei cittadini».

Per il magistrato siciliano, molti italiani sono «vittime di una disinformazione massiccia», simile a quella che vent’anni fa «attaccò Paolo Borsellino quando fece una denuncia pubblica sul calo di tensione nella lotta alla mafia». Secondo Ingroia, in quel caso, si trattava di «una denuncia che investiva contemporaneamente la politica e la magistratura. L’attacco fu non sui contenuti ma direttamente alla sua persona. Oggi vedo la stessa intolleranza, con uno spiegamento di uomini e mezzi molto piu’ massiccio».

 

25 maggio 2011 – Nel labirinto degli Dei

Nel labirinto degli dei è l’ultimo libro scritto dal Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, che “Il Fiume” avrà il piacere di presentare, con l’aiuto dell’autore, mercoledì 25 maggio al teatro Jubilaeum a Stienta.

Si tratta, non di un “libro di storia” ma di un libro “di storie”, tratte dalla sua esperienza personale e professionale come magistrato. Nel primo capitolo del libro, intitolato Il caso e la necessità, Antonio Ingroia racconta della sua formazione e di come sia nato in lui l’interesse per la mafia, in giovanissima età, leggendo alcuni scritti di Leonardo Sciascia e guardando i film tratti dalle sue opere.

Nel libro  il magistrato racconta dei suoi studi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo e del suo interesse per l’antimafia, che lo mette in contatto con il Centro siciliano di documentazione dedicato a Peppino Impastato. Qui, poi, l’incontro con alcuni magistrati, lo spinge a dedicarsi all’antimafia in modo professionale, decisione che, qualche anno dopo, lo porta sulla strada dei due grandi magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: il primo, in particolare, al momento del suo tirocinio come uditore giudiziario; il secondo quando, al momento della scelta del suo primo incarico, decide di affiancare Paolo Borsellino, come sostituto procuratore a Marsala.

Antonio Ingroia si racconta e attraverso se stesso parla della nostra storia, approfondendo alcuni eventi legati alla sua vita professionale.

Il libro, quindi, parla di uno dei periodi più oscuri dell’Italia in generale, e della Sicilia, narrando eventi che affondano le loro radici nel passato più o meno recente e nei fatti di cronaca che hanno per protagonisti pentiti, mafiosi e politici. Scopo del libro, come spiega lo stesso autore, è quello di svolgere un esercizio di memoria insieme ai lettori, al fine di andare oltre le “chiacchiere urlate” in tv, per riappropriarci del nostro passato e per “ritornare ai fatti, richiamare al terreno concreto della realtà”.

A proposito dell’assassinio di Vittorio Arrigoni attivista per i diritti della Palestina

bologna

L’associazione Il Fiume ha legami profondi con le tematiche della pace, della legalità, dei diritti dei più deboli, della shoah e della questione Mediorientale.

La vicenda dell’assassinio di Vittorio Arrigoni, attivista pro Palestina, ha scosso noi come tutto il mondo del pacifismo e abbiamo letto tante opinioni e tante posizioni, pro o contro la sua persona ma anche pro o contro Israele e la Palestina.

Premesso che la semplificazione non giova alla complessità della situazione, ci è sembrato molto bello il pensiero di Edgar Keret, uno dei giovani scrittori israeliani più promettenti che nei suoi romanzi e racconti ben esprime il senso di incertezza del futuro che rende la vita in Israele e in Palestina quasi surreale, senz’altro drammatica.

Keret era a Venezia in occasione del festival letterario “Incontri di civiltà” e ha rilasciato al Corriere della Sera la dichiarazione che riportiamo integralmente perchè ci sembra degna di essere divulgata.


 

 

La notizia dell’ omicidio di Vittorio Arrigoni mi è giunta improvvisamente mentre mi trovo impegnato nel festival letterario a Venezia, che verte sul tema a dir poco ambizioso degli «incontri di civiltà».

Riguardo agli esecutori materiali del delitto, è impossibile penetrare nella mente di un gruppo di persone capaci di uccidere a sangue freddo un pacifista che era venuto ad aiutare il loro stesso popolo.

Ancor più difficile farlo, quando ci si trova nella splendida cornice di Venezia.

La madre di Vittorio Arrigoni ha chiesto che il corpo del figlio venga riportato in Italia senza passare da Israele, perché l’ attivista aveva combattuto tutta la vita contro lo Stato ebraico.

Il suo gesto, è stato detto, è simbolico. E difatti incarna un simbolo potente.

È il simbolo della deprimente radicalizzazione della regione in cui vivo e si traduce nell’ intransigenza di Israele, che occupa da più di quarant’ anni i territori palestinesi; nell’ intransigenza degli assassini fondamentalisti islamici che le hanno ucciso il figlio e nell’ intransigenza del gesto della madre.

Un gesto che, nel voler distinguere il bene dal male, nega completamente la possibilità di qualsiasi ambiguità e di ogni sfumatura di grigio.

La terra di Israele è forse tanto empia da non poter essere attraversata da un morto? E i suoi abitanti sono forse tanto abbietti che il loro semplice contatto rischia di profanare quel corpo?

Sarà forse la negazione dell’ esistenza di Israele e dei sette milioni di ebrei e musulmani che vi abitano ad accelerare quel processo di pace e quella liberazione per la quale il figlio aveva varcato i mari e combattuto per tutta la sua vita?

Mi auguro che Vittorio Arrigoni sia stato più pro palestinese che anti israeliano. Eppure, anziché incarnare un gesto di compassione e di umanità verso il popolo che aveva voluto aiutare, il suo ultimo viaggio diventa simbolo dell’ odio e del rifiuto verso coloro che considerava nemici.

E se questo è quanto la mia regione sa offrire in memoria di un pacifista assassinato, quali possono essere le speranze per una pace futura? 
Keret Etgar
(Traduzione di Rita Baldassarre)  “corriere della sera” 17/04/2011


 

BUONA PASQUA 2011


Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah”. Passare.

Non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al viaggio. Da non credente vedo le persone di fede così, non impiantate in un centro della loro certezza ma continuamente in movimento sulle piste.

Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere, scruta perciò ogni segno di presenza.
Chi crede, insegue, perseguita il creatore costringendolo a manifestarsi.

Perciò vedo chi crede come uno che sta sempre su un suo “pèsah”, passaggio.

Mentre con generosità si attribuisce al non credente un suo cammino di ricerca, è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai, chi non s’azzarda nell’altrove assetato del credente.

Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle scritture sacre, l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme.
Sono due scatti verso l’ignoto. Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un’altra terra e una nuova libertà. Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa, verso la più integrale resurrezione.

Pasqua/pèsah è sbaraglio prescritto, unico azzardo sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere. Inciampo e resto fermo, il Sinai e il Golgota non sono scalabili da uno come me, che pure in vita sua ha salito e sale cime celebri e immense. Restano inaccessibili le alture della fede.

Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri a ogni costo, atleti della parola pace.

Erri de Luca