La cotogna di Istanbul

rumiz e bombarda

“Ho una ammirazione sconfinata per chi riesce a scrivere delle storie come quella, soprattutto in quel modo. Ma nutro una vera e propria invidia per le donne che sanno ispirare delle opere così portentose!! “

Non c’è incipit migliore di questo commento fatto da una delle giovani donne presenti alla serata in cui Paolo Rumiz ha narrato di viaggi, di struggente malinconia, dell’anima cupa dei Balcani, ma anche di Mediterraneo, di Grecia e di sole che sostanzia un amore.

Il giornalista e scrittore triestino famoso per i suoi reportage di viaggi a tema per il giornale Repubblica, ha spiegato com’è nato il progetto di raccontare una storia di amore tragico nello sfondo dei Balcani, sotto forma di ballata e attraverso la metrica dell’endecasillabo.

Il ritmo del cammino, il passo regolare del viaggiatore, la tradizione nordica del “Wanderer” è mezzo straordinario per trasformare in racconto il respiro della vita.

E così, recuperando immagini, schizzi e frammenti di tanti viaggi, Paolo Rumiz narra della bella e intrigante Masha Dizdarevic’ che ha avuto tre uomini nella sua vita e ha percorso tanta storia, prima di terminare il suo cammino con struggente malinconia.

La storia d’amore è di quelle che conquistano, ma non va scordato lo sfondo in cui si svolge, quello del ventre dell’Europa che ancora una volta è protagonista della disgregazione di un mondo, quello dell’ex Jugoslavia, nello specifico, che si dissolve e mette a nudo la sacralità dei popoli  contro il sacrilegio dei governi.

Il viaggio che fa da filo rosso nella storia, è anche una lezione sul legame tra culture e luoghi che è bello distinguere ma anche tenere uniti nelle analogie di suoni, sentimenti e profumi.

L’incontro con Rumiz è stato una conferma, che il viaggio migliore è accompagnato dai “fiumi nomadi, cavalli e battellieri”, dal loro scorrere e confluire con affluenti e rigagnoli in quel grande mare dell’esistenza.

Il Fiume ha intuito questo e si è fatto corrente, per accompagnare le tante voci che hanno ancora qualcosa da dire al nostro mondo assopito.

rumiz

                                      Il sindaco di Stienta Fenzi presenta Paolo Rumiz, con Luciano Bombarda

sala consiglio a stienta 

Paolo Rumiz e Luciano Bombarda

26 febbraio 2011 – La cotogna di Istanbul – Sala Consigliare Stienta (Ro) ore 20.30

C’era qualcuno, si, che lo guidava:

lui non era più Max, era già Abramo,

e quella donna era soltanto un tramite,

per questo con in più tutti quegli anni

passò sulla battigia come un’onda,

meravigliato dalla propria forza, spingendo la

lentezza ad un tal limite

che la turca annegò senza parole.

“Che stai cercando tu dentro di me

tu che sei più vecchio di mio padre?”

domandavano gli occhi della bella

ch’era ancora affamata di racconto.

E intanto lui scese al fondo più oscuro

e più triste della felicità, da cui riemerse

tenendo tra i denti,

ansimando, il frutto dell’assenza:

esattamente quello che cercava.

la cotogna di istambul 

 

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Adesso che ho concluso questa storia prigioniera di sillabe contate, mi son pentito già di averlo fatto perché nient’altro voi potrete aggiungere a questa cosa destinata a crescere come il Danubio che scende al Mar Nero gonfiato dal Tibisco, dalla Morava e dai fiumi gemelli di Slavonia.

Non da me (lo sapete) è stata scritta, ma da coloro che l’hanno ascoltata: e il solo modo perché non si fermi questa corrente che si è messa in moto è che voi nascondiate il manoscritto in uno sgabuzzino o in una cantina per recitarlo poi ad alta voce a quelli che ascoltare vi vorranno; soltanto così, vi prego di credermi, voi lo ripescherete dal ricordo proprio com’era, libero e leggero.

Nove mesi ci ho messo a costruirlo, il tempo necessario ad una creatura, e dunque è tempo che senza zavorre, con le sue gambe, anche lui se ne vada, questo racconto nato dal cammino, dal battito del cuore e dal respiro.

Paolo Rumiz

 

16 febbraio 2011- Venezia accoglie uno dei più lucidi testimoni della shoah

amos luzzato e shlomo venezia


Salomone Venezia figlio di Isacco
Venezia e Angel Doudoun, nato a Salonicco ma ebreo italiano con origine a Venezia, dove i suoi documenti sono conservati all’anagrafe del Comune, è tornato nella città che ha dato il nome alla sua famiglia, non come turista ma come membro della sua comunità grazie all’invito del prof. Shaul Bassi, e del Consiglio dell’Ateneo Veneto.

Dopo che il libro “Sonderkommando Auschwitz”, scritto con la giornalista Béatrice Prasquier, è stato tradotto in 23 lingue e dopo che l’Unesco ha celebrato la giornata della memoria 2011, invitando Shlomo Venezia come testimonial di eccellenza, finalmente anche la città di Venezia ha accolto la sua straordinaria voce nell’incontro di mercoledì 16 febbraio.

La sala dell’Ateneo nel Campo San Fantin, si è riempita di persone giovani e meno giovani, molti i membri della comunità ebraica di Venezia e tra tutti Amos Luzzato, attuale presidente della comunità.

Dal tavolo dei relatori Michele Gottardi, presidente dell’Ateneo, e Simon Levis Sullam, giovane storico di Cà Foscari, hanno introdotto la serata con i saluti e i ringraziamenti da parte del Sindaco e dell’assessore alla Cultura della città, oltre che con una presentazione molto precisa che ha sottolineato l’unicità della testimonianza di Shlomo Venezia.

i coniugi Venezia con luciano bombardaGli amici de “Il Fiume” sanno con quanta lucidità e forza instancabile Shlomo racconti le vicende della sua vita altrimenti oscura, se non fosse stato per l’accanimento nazista a sterminare metodo industriale facendolo diventare uno degli ingranaggi del sistema.

Il suo racconto è sempre il più scarno possibile, perché è difficile trovare le parole per dire quel che ha vissuto, e quando parla del compito cui era destinato deve usare la parola “lavoro” perché la più neutra da emozione e la più vicina a quello che i nazisti avevano creato. Una catena di montaggio dell’orrore in cui i membri del “sonderkommando” svolgevano un lavoro a “tempo determinato”, fino alla loro stessa uccisione perché testimoni scomodi.

Più volte abbiamo sentito la sua testimonianza ma questa volta la sua forza viene ravvivata dal luogo e dall’occasione. Per merito dei membri del Consiglio dell’Ateneo Veneto, prestigiosa istituzione culturale della città di Venezia, la testimonianza così unica ha avuto una cornice degna che nemmeno il tempo inclemente è riuscito a scalfire.

Così l’incontro ha tenuto incollati alla voce di Shlomo i molti presenti, attenti e partecipi fino alla fine, quando, dopo l’abbraccio di Amos Luzzato, tutti hanno avuto il tempo di salutare e avvicinare Shlomo per avere la sua firma sul libro, a suggello di una giornata particolare.

La pioggia insistente ha impedito ai coniugi Venezia, nel corso della giornata, di uscire e fare una visita alla città, in compenso l’instancabile Marika si è avventurata all’anagrafe di Cà Farsetti, dove un funzionario ha confermato che lo stato di famiglia di Shlomo Venezia è presente e annovera, accanto ai genitori Isacco e Angel, i figli Mosche (Moisè – Moritz, il fratello sopravvissuto ad Auschwitz), Salomone-Shlomo, Rachel (la sorella maggiore anche lei sopravvissuta al campo), le piccole Maria e Marta (uccise con la madre all’arrivo al campo).

Confermata dall’anagrafe veneziana, l’appartenenza alla città ora resterebbe da scoprire attraverso gli archivi storici o della comunità ebraica, quando dalla Spagna arrivò la famiglia dei perseguitati, senza cognome, che come altri cercò scampo e lo trovò, anche se provvisorio, nella Serenissima.    Chissà che questo ritorno non sia anche un riavvicinamento al lontano passato e non possa, col tempo, aggiungere un tassello alla storia di Shlomo Venezia.

PROSSIMI APPUNTAMENTI

  ateneo veneto

 

 

16 febbraio 2011
Shlomo Venezia all’Ateneo Veneto in campo San Fantin, Venezia

Grazie alla collaborazione tra l’Associazione Il Fiume, l’ Ateneo Veneto ed il Centro Veneziano di Studi Ebraici Internazionali, in occasione della ricorrenza della Giornata della Memoria, Shlomo Venezia sarà ospite, mercoledì 16 febbraio 2011, alle 18.00, all’Ateneo Veneto, in campo San Fantin, a Venezia, per presentare la sua Testimonianza.

Dopo essere stato l’ospite principale alla cerimonia tenutasi il 26 gennaio presso la sede dell’UNESCO a Parigi, Shlomo Venezia per la prima volta presenterà il suo libro-testimonianza ( tradotto ormai in 23 lingue), nella città in cui i suoi antenati, in fuga dalla Spagna, si fermarono il tempo di prenderne il nome.

Lo storico Simon Levis Sullam, introdurrà la storia di uno tra gli ultimi sopravvissuti del “Sonderkommando”, il gruppo di prigionieri   di Auschwitz  destinati ai lavori alle camere a gas, prima  di essere a loro volta uccisi.  Shlomo Venezia avrà il compito faticoso di  contrastare chi nega la shoah.

 la cotogna di istambul

26 febbraio 2011 – ore 20.45
Paolo Rumiz a Stienta in sala Consiliare

Sarà a Stienta la prima presentazione nella provincia di Rovigo del libro “La cotogna di Istanbul” straordinaria ed epica storia di un amore vero tra uomini e donne vere.

Paolo Rumiz, triestino scrittore e giornalista erede della grande tradizione letteraria mitteleuropea, parlerà, attraverso il suo libro, dei fili rossi che legano e annodano le vite delle persone, nonostante le differenze delle nazioni, sullo sfondo dei Balcani e dell’Impero Austro-Ungarico.

Grande attesa per un autore che ha rappresentato tanto bene il mondo dell’est europa, quanto l’Italia frammentata e complessa dopo 150 anni di “unità”.

 

1 febbraio 2011 – Badia Polesine incontra la “shoah”

 

l'abazia benedettina

L’istituto Tecnico “L.Einaudi” di Badia Polesine in provincia di Rovigo,  grazie al lavoro della prof. Chiara Mora, del corpo docenti e della dirigenza, sta svolgendo da tempo un percorso di approfondimento sul tema della “shoah” in collaborazione con  l’Associazione Il Fiume, che ha portato quest’anno a due appuntamenti di grande rilievo.

Prima tappa martedì 25 gennaio. Maria Pia Bernicchia, autrice del libro “Chi vuol vedere la mamma faccia un passo avanti…” (Proedi editore, 2009) ha raccontato ai ragazzi la storia dei 20 bambini selezionati ad Auschwitz da Joseph Mengele “l’angelo della morte” per esperimenti sulla tubercolosi. I bambini, trasferiti al campo di concentramento di Neuengamme, vicino ad Amburgo, furono tenuti in vita fino all’aprile del 45 quando, avvicinandosi l’arrivo degli inglesi, i nazisti decisero di ucciderli per far sparire le prove delle loro pratiche assassine.

Il libro di Maria Pia Bernicchia e la mostra, allestita nell’aula magna dell’Istituto, parlano anche dell’unico bambino italiano presente tra i 20 di tutta Europa, il piccolo Sergio de Simone, che con la madre, la zia e le cuginette Andra e Tatiana Bucci era stato deportato ad Auschwitz, dalla risiera di San Sabba a Trieste, nell’aprile del 1944.

A Sergio de Simone e alle  cugine è dedicato un altro bel libro della scrittrice e giornalista del “Mattino” di Napoli, Titti Marrone che in “Meglio non sapere” (Editori Laterza,  2009), ha ricostruito le vicende delle famiglie nel campo e dopo la liberazione, fino al ricongiungimento delle bambine sopravvissute, con la madre.

La seconda tappa del percorso è stato l’appuntamento del 1 febbraio. Nell’aula magna dell’Istituto si affacciano assieme a Maria Pia Bernicchia, la scrittrice Titti Marrone e le due sorelle Bucci, e allora la storia si fa concreta e tangibile, passando dalla pagina del libro alla voce commossa di Tatiana e Andra, 6 e 4 anni al momento della deportazione.

Il miracolo della loro vicenda rivive accompagnato dal racconto di Titti Marrone che, con l’amore che prova solo chi riesce a condividere un’esperienza, porta per mano le due donne a ripercorrere l’orrore del campo ed il dolore delle vicende che seguirono la liberazione.

le relatrici

                                 Da sinistra M.Pia Bernicchia, Tatiana, Andra Bucci e Titti Marrone

La storia sta tutta nel libro che consigliamo agli amici, ma la straordinarietà della mattinata trascorsa dai ragazzi della scuola di Badia, sta nell’aver assistito a come, con amore, si può parlare e far rivivere anche l’orrore in modo che questo si traduca in conoscenza per chi non sa, e non semplicemente  in odio, disperazione o rabbia.

“Non possiamo perdonare” ha detto Andra rispondendo ad una domanda che spesso ricorre negli incontri di questo genere, e giustamente si perdona chi si ravvede e chi ammette i propri torti, ma, troppo spesso, le difese di criminali nazisti e di collaboratori fascisti si sono nascoste dietro l’obbedienza agli ordini.

Un uomo che sia veramente un uomo,  non può obbedire ad un ordine se questo è ingiusto. Così da Titti Marrone è venuto l’invito ai ragazzi a “non obbedire” senza passare al vaglio della ragione e della coscienza l’ordine che si riceve.

Daniela Padoan, un’altra scrittrice che ha raccolto testimonianze di donne sopravvissute al campo di sterminio, ha parlato del “pudore” che si prova a chiedere a una persona di ricordare cose tanto tragiche, in effetti si ha quasi vergogna a far rivivere il dolore, ma il modo in cui Titti Marrone ha condotto piano piano le straordinarie sorelle Bucci a parlare, è senz’altro una lezione di umanità oltre che di capacità di una grande giornalista.

Il tempo lenisce il dolore ma la memoria è un dovere difficile e necessario, perché deve cancellare il tempo e riportare tutto a galla, in modo da poter dire, assieme agli storici, che “questo è stato”. 
Grazie Andra, e grazie Tati.

 Bernicchia, tatti e andra bucci

M.Pia Bernicchia, Tati e Andra Bucci con Titti Marrone 

tat

la mostraIl pannello della mostra su Sergio de Simone