26 01 2011 – Costa di Rovigo – “I beni e la memoria”

volantino

La competenza e la preparazione di una trattazione storica sono l’unico modo per rendere la “Giornata della Memoria” della shoah (istituita con legge dello stato nel 2000)  un reale momento di crescita per le giovani generazioni.

Non celebrazione di un “rito” con le conseguenze negative che questo ha in molti casi, ma indagine di cause e contesti per capire, con dati oggettivi, dove stà il bene e dove stà il male.

Non è vero che bianco e nero si fondono in un grigio indistinto. E’ vero, invece, che il bianco e il nero sono affiancati da un grigio in cui si collocano gli spettatori dei tragici eventi.

Grazie alla preparazione di Ilaria Pavan, docente di storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa, alla biblioteca “Manfred Buchaster”[1] di Costa di Rovigo, si è potuto approfondire un aspetto poco noto della shoah, ovvero la spoliazione degli ebrei e la fine fatta dai loro beni requisiti.

La ricorrenza del “Giorno della Memoria”, per l’associazione “Il Fiume” è occasione di approfondimento delle moltissime facce della persecuzione nazi-fascista tra gli anni 30 e 40, ed una di queste riguarda le vicende legali e le conseguenze delle leggi emanate negli anni ’38  e ’44 che privarono i perseguitati razziali dapprima dei beni immobili, e poi di tutto il denaro che essi avevano depositato in conti correnti, libretti, assicurazioni.

Il tema è interessante perché su questo si gioca un’altra differenza tra il nostro paese e le principali nazioni europee.

In sintesi, l’Italia spogliò con le leggi razziali del 1938 i suoi cittadini di “razza” ebraica di tutto quel che poteva garantire loro la vita civile, ma la situazione si fece più drammatica nei 19 mesi della Repubblica Sociale Italiana da quando, il 4 gennaio 44, venne emanato il Decreto legge n.2 che disponeva il blocco e l’incameramento di tutti i beni, le ditte, i depositi bancari e i titoli assicurativi degli ebrei .

E fin qui Ilaria Pavan dà conto di un fatto di guerra e di requisizione che si può capire, anche se non giustificare, ma la parte interessante della storia ben documentata nel libro “Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze economiche delle leggi razziali in Italia 1938-1970”, è quel che accade alla fine della guerra.

Se, infatti, in Francia, Svizzera, Germania (attraverso l’amministrazione delle Forze Alleate), Romania ecc. alla fine della guerra vi sono leggi che sanciscono o la restituzione dei beni, o il conferimento di risarcimenti per i danni subiti, o il rientro al posto di lavoro perduto, in Italia niente di tutto questo.

Vergognosamente l’Italia salvaguarda i diritti di chi era entrato in possesso di beni immobili e posizioni di lavoro a seguito depredazione dei legittimi detentori!

Col pretesto della crisi grave del paese nel dopoguerra non si rimettono le cose a posto ma si preferisce congelare lo status quo e i pochi beni che verranno restituiti ai legittimi proprietari, ossia quelli non alienati ma rimasti nelle mani dell’Egeli (l’Ente preposto, prima alle requisizioni, poi alle restituzioni, senza soluzione di continuità), lo saranno a prezzo addirittura del pagamento delle spese di custodia.

Il paradosso vedrà ebrei tornare da Auschwitz, dover lottare per il riconoscimenti di elementari diritti in mezzo all’indifferenza ed alla mala fede dei più che non vollero rinunciare a quanto carpito con la persecuzione.

La bella serata nella biblioteca di Costa ha segnato purtroppo un momento di  consapevolezza di come nel nostro paese il “diritto” da molto tempo sia in forte crisi e non solo oggi si confondano diritto e politica.

Con stupore il pubblico presente ha appreso che già allora la politica ha dettato l’agenda al diritto favorendo l’insabbiamento e il congelamento della situazione a prezzo della negazione dei diritti dei legittimi proprietari, e questo per uno stato libero democratico e fondato sulla proprietà come diritto è alquanto contraddittorio.

 ilaria pavan

il pubblico della serata alla biblioteca di costa


[1] La biblioteca di Costa di Rovigo è stata intitolata a Manfred Buchaster lo scorso anno in occasione della Giornata della Memoria 2009, per ricordare il piccolo Manfred internato con la famiglia di ebrei polacchi a Costa nel ’41 e da qui deportato verso ignoto destino

LE ALTRE DONNE – di Concita de Gregorio

concita de gregorio

Esistono anche altre donne. Esiste San Suu Kyi, che dice: «Un’esistenza significativa va al di là della mera gratificazione di necessità materiali. Non tutto si può comprare col denaro, non tutti sono disposti ad essere comprati. Quando penso a un paese più ricco non penso alla ricchezza in denaro, penso alle minori sofferenze per le persone, al rispetto delle leggi, alla sicurezza di ciascuno, all’istruzione incoraggiata e capace di ampliare gli orizzonti. Questo è il sollievo di un popolo».

Osservo le ragazze che entrano ed escono dalla Questura, in questi giorni: portano borse firmate grandi come valige, scarpe di Manolo Blanick, occhiali giganti che costano quanto un appartamento in affitto. È per avere questo che passano le notti travestite da infermiere a fingere di fare iniezioni e farsele fare da un vecchio miliardario ossessionato dalla sua virilità. E’ perché pensano che avere fortuna sia questo: una valigia di Luis Vuitton al braccio e un autista come Lele Mora. Lo pensano perché questo hanno visto e sentito, questo propone l’esempio al potere, la sua tv e le sue leader, le politiche fatte eleggere per le loro doti di maitresse, le starlette televisive che diventano titolari di ministeri.
Ancora una volta, il baratro non è politico: è culturale. E’ l’assenza di istruzione, di cultura, di consapevolezza, di dignità. L’assenza di un’alternativa altrettanto convincente. E’ questo il danno prodotto dal quindicennio che abbiamo attraversato, è questo il delitto politico compiuto: il vuoto, il volo in caduta libera verso il medioevo catodico, infine l’Italia ridotta a un bordello.

Sono sicura, so con certezza che la maggior parte delle donne italiane non è in fila per il bunga bunga. Sono certa che la prostituzione consapevole come forma di emancipazione dal bisogno e persino come strumento di accesso ai desideri effimeri sia la scelta, se scelta a queste condizioni si può chiamare, di una minima minoranza. È dunque alle altre, a tutte le altre donne che mi rivolgo. Sono due anni che lo faccio, ma oggi è il momento di rispondere forte: dove siete, ragazze? Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete. Di destra o di sinistra che siate, povere o ricche, del Nord o del Sud, donne figlie di un tempo che altre donne prima di voi hanno reso ricco di possibilità uguale e libero, dove siete? Davvero pensate di poter alzare le spalle, di poter dire non mi riguarda? Il grande interrogativo che grava sull’Italia, oggi, non è cosa faccia Silvio B. e perché.

La vera domanda è perché gli italiani e le italiane gli consentano di rappresentarli. Il problema non è lui, siete voi. Quel che il mondo ci domanda è: perché lo votate? Non può essere un’inchiesta della magistratura a decretare la fine del berlusconismo, dobbiamo essere noi. E non può essere la censura dei suoi vizi senili a condannarlo, né l’accertamento dei reati che ha commesso: dei reati lasciate che si occupi la magistratura, i vizi lasciate che restino miserie private.

Quel che non possiamo, che non potete consentire è che questo delirio senile di impotenza declinato da un uomo che ha i soldi – e come li ha fatti, a danno di chi, non ve lo domandate mai? – per pagare e per comprare cose e persone, prestazioni e silenzi, isole e leggi, deputati e puttane portate a domicilio come pizze continui ad essere il primo fra gli italiani, il modello, l’esempio, la guida, il padrone.

Lo sconcerto, lo sgomento non sono le carte che mostrano – al di là dei reati, oltre i vizi – un potere decadente fatto di una corte bolsa e ottuagenaria di lacchè che lucrano alle spalle del despota malato. Lo sgomento sono i padri, i fratelli che rispondono, alla domanda è sua figlia, sua sorella la fidanzata del presidente: «Magari». Un popolo di mantenuti, che manda le sue donne a fare sesso con un vecchio perché portino i soldi a casa, magari li portassero. Siete questo, tutti?   Non penso, non credo che la maggioranza lo sia.Allora, però, è il momento di dirlo.  (Concita de Gregorio)

E il Fiume non si sottrae a questo imperativo, lo dobbiamo dire forte che noi siamo continuamente a contatto con donne diverse e vogliamo che siano queste a essere in primo piano!

DIJANA PAVLOVIC E “PORRAJMOS”

dijana pavlovic

Con grande dedizione e passione per la causa del popolo Rom-Sinti che da anni difende, la giornalista, attrice, mediatrice culturale jugoslava Dijana Pavlovic si è messa a disposizione del Fiume per parlare di shoah, o meglio di “porrajmos”, che è la parola in lingua romanes per indicare la distruzione degli “zingari” (circa 500.000 le vittime) che i Nazisti  misero in atto accanto a quella degli ebrei e delle altre categorie pericolose per l’ordine costituito.

E’ stato bello mettere a confronto una donna giovane, madre, e rom con ragazzi del Liceo Artistico “Munari” di Castelmassa (Rovigo) , che dopo aver ascoltato attentamente la storia della persecuzione, le hanno sciorinato tutti i luoghi comuni sugli zingari che tanto piacciono alla nostra società semplificatrice.

Dijana vi ha contrapposto l’umanità di un popolo che non chiede terra, non si bea di un qualche nazionalismo, non vive per il denaro ma per i saldi rapporti familiari, e i bambini li fa non li ruba.con i ragazzi del liceo artistico di castelmassa

Le domande sulla realtà rom sono uscite a margine del racconto dello sterminio degli zingari che ad Auschwitz avevano uno statuto speciale in quanto “ariani” (originari del ceppo indiano e quindi indoeuropei come gli arii) e vennero tenuti uniti nello “zigeuner lager” fino alla notte tra il 2 e il 3 agosto del 1944.

Al mattino del 3 agosto i prigionieri di Auschwitz, sorpresi del silenzio che regnava,  videro il campo degli zingari deserto. Nella notte tutte le famiglie erano state gasate.

Molto bello è stato l’incontro nella Casa Circondariale di Rovigo con un buon numero di detenuti che ogni anno partecipano al programma che l’Uisp propone per l’apertura alla riflessione su questo tema e che, da quattro anni, porta “Il Fiume” a raccontare di quel che è accaduto anche in Italia.

Gli anni scorsi si è parlato di shoah in Polesine con la visita di Sandy Speyer, da New York, nel carcere dove sua madre era stata imprigionata nel ’44 prima del trasferimento ad Auschwitz, quest’anno con Dijana Pavlovic si è parlato di zingari.

Così in mezzo a detenuti magrebini, egiziani, italiani, slavi, si è scoperto che molti erano di origini rom e sinti, a addirittura “caminanti”, mentre un ragazzo italiano ha rivendicato con orgoglio di avere sposato una rom.

Nella drammaticità della situazione abbiamo capito che i presenti si sono sentiti coinvolti, sia dalla storia del “porrajmos”, sia dalla presenza tra di loro di una che ce l’ha fatta, che ha studiato e si batte per dei diritti che vengono negati oggi, non meno che 60 anni fa.

Non sono mancati gli screzi tra gli ospiti che avevano voglia di dire la loro, alcuni a sproposito, altri con cognizione di causa e vera partecipazione, Mohamed dal Marocco che in patria viveva vicino ad un campo di zingari, ne ha elogiato le virtù augurandosi di rinascere zingaro!

Silenziose e poche le donne. Tra di loro una ragazza di colore attenta più ai segni dell’amico nella parte degli uomini (bello che anche a questo sia servito l’incontro, a vedersi e rompere l’isolamento) e una mamma rom di 11 figli, in carcere per chi sa quale grave furto, che alla fine si è avvicinata a Dijana e l’ha salutata in romanes.

Quel che abbiamo capito alla fine è che abbiamo molto da conoscere e da imparare, prima di tutto a dare i nomi alle persone ed alle culture perché se non si conosce, non si rispetta e se non si rispetta è l’inizio dell’odio.

Le radici giudaico-cristiane dell’Europa…

simbolo

 “Ancora oggi in Europa, purtroppo, c’è qualcuno che non vuole fare i conti con quella ferita e si ostina a manipolare la Storia. Se è autentica la banalità del male, è vero anche che il pericolo non passa mai, e quel veleno può ancora trovare spazio sugli scaffali delle librerie o, peggio ancora, sulle cattedre di una università.”

Contro questo pericolo, scrive ancora Zaia, “bisogna “

13-14 Gennaio 2011 – IL RABBINO DI FERRARA INCONTRA GLI STUDENTI

Alle scuole medie di Ficarolo e di Costa la “giornata della memoria” è stata introdotta da un ospite d’eccezione, il rabbino di Ferrara, Luciano Meir Caro che, in accordo con le insegnanti delle due scuole, ha incontrato i ragazzi nei giorni 13 e 14 per portare la sua personale testimonianza.

Originario di Torino, negli anni della guerra e a seguito delle leggi razziali, si nascose in toscana tra le colline vagando con la famiglia da un posto all’altro, finchè nel ’44 con la madre e la sorella tornò a Torino, mentre il padre, rimasto a sistemare i bagagli, venne denunciato e deportato.

Da Fossoli ad Auschwitz la sorte del padre fu segnata e ricostruita, molto dopo la fine della guerra, grazie agli archivi e ai documenti ritrovati, ma la famiglia rimase a lungo in attesa del suo ritorno inconsapevole del dramma e del rischio sfiorato.

Il rabbino, che svolge il suo ministero a Ferrara da 20 anni, ha insistito sull’eguaglianza delle fedi nel monoteismo che accomuna ebraismo, cristianesimo ed islam e ha invitato i giovani a conoscere e farsi una propria opinione.

A Ficarolo l’incontro è proseguito con la deposizione di una corona di fiori alla lapide dei caduti e di Bruno Levi, ebreo ficarolese ucciso ad Auschwitz, che viene ricordato, ogni anno, alla presenza del figlio Franco Levi.

l’incontro a Ficarolo
il rabbino a ficarolo    
rav caro con i ragazzi a costa

                                                                           il rav Luciano Caro con i ragazzi di Costa