Per il paese di Due Carrare martedì 28 marzo è stata una data importante. La storia del salvataggio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale era nota ad alcuni dei suoi cittadini e agli appassionati di storia che avevano letto qualcosa sul ruolo di Don Torresin nel salvataggio dalla fucilazione degli uomini del paese a guerra finita. Non c’era stata ancora l’occasione, però, di presentare al pubblico più vasto una delle storie più belle che la ricerca di Luciano Bombarda aveva portato alla luce. La cerimonia di martedì ha dato questa opportunità e ha consentito alla famiglia dei “salvati” di esprimere la loro gratitudine con una delle onorificenze più alte che siano state istituite nel ‘900. Grazie alla perseveranza di Reuma Ayalon e dei suoi fratelli, figli di Esther Danon rinchiusa per un anno e mezzo nella soffitta di Pontemanco, lo Yad Vashem ha valutato tutte le prove e i documenti arrivando alla cerimonia ufficiale dei giorni scorsi.
Si è trattato di una cerimonia molto “israeliana”, formale quanto necessario ma priva di retorica. Con grande sensibilità il Sindaco di Due Carrare, Davide Moro e l’Associazione il Fiume hanno introdotto brevemente i fatti e i protagonisti lasciando poi al Ministro consigliere dell’Ambasciata d’Israele la lettura della motivazione e la consegna della medaglia a Claudio Brunazzo, figlio di Isidoro e nipote di Guerrino Brunazzo.
Non essendo presenti per motivi di lavoro i figli di Esther Danon è toccato a Chiara Fabian leggere il testo di una lettere di Reuma Ayalon che traccia la storia del ritorno a Pontemanco della terza generazione dei salvati e di come si è arrivati alla cerimonia da parte di Israele. Di seguito quanto letto per conto di Reuma Ayalon.
“Per noi cominciò tutto nel 2000, quando (mia figlia) Gilly riuscì a convincere la nonna Estica a testimoniare allo Yad Vashem a Gerusalemme. Vi andammo insieme con la mamma ma non ci aspettavamo il viaggio comune che da lì sarebbe iniziato.
Durante la mia infanzia avevo sentito dai miei genitori solo piccoli pezzi della loro storia, ma soprattutto tante calde parole sul popolo italiano. Non capivo cosa c’entrassero gli italiani perché sapevo che i miei erano nati a Zagabria in Jugoslavia… Non vollero mai parlare della loro infanzia dicendo soltanto che durante la guerra erano fuggiti da Zagabria in Italia ed erano arrivati in Israele da adolescenti. Da giovane avevo saputo solo che mia nonna Sarina Danon era stata uccisa ad Auschwitz. I miei genitori non vollero mai essere considerati “sopravvissuti dell’olocausto” erano giovani e volevano ricominciare la loro vita lasciandosi alle spalle il passato. In più negli anni del loro arrivo in Israele attorno a loro c’erano tantissime persone sopravvissute alla guerra, ai campi di sterminio e a tante altre difficilissime esperienze, o che avevano perso le loro famiglie. Così mia mamma non pensava che la sua storia fosse degna di essere raccontata. … Quando insistevo mi raccontava solo piccoli episodi, fuori contesto. Prima di partire per la Polonia (in un viaggio della memoria), Gilly chiese alla nonna di raccontarle qualcosa in più sui suoi genitori e sulla storia della sua famiglia e finalmente la mamma sui convinse che la terza generazione aveva il diritto di sapere cosa era accaduto. Passarono però ancora due anni prima della testimonianza allo Yad Vashem. Quando poi vedemmo il video della testimonianza della mamma scoprimmo una storia ammaliante, di una bambina separata dai genitori a soli 12 anni, che non vide più la mamma e visse in un paese straniero per cinque anni, una bambina che fu salvata con gli zii dalle persone gentili incontrate per caso e che , infine, arrivò in Palestina.
Dopo aver visto quel video non potevo più aspettare e così con mio marito Zohar, decidemmo di fare un viaggio in Italia e provare a vedere se restavano ancora delle persone che ricordavano la storia dei sette ebrei nascosti nella soffitta. Volevo provare a trovare il partigiano Isidoro Brunazzo ma da Israele non avevo idea di dove viveva e se era ancora vivo. …. La mamma pensava che tutto era cambiato, che non avremmo trovato niente. Ci fornì dei nomi e delle foto e solo allora capimmo che teneva ancora gelosamente quelle foto che non aveva mai fatte vedere in tanti anni per non turbarci col peso dei ricordi.
Non eravamo riusciti a trovare Pontemanco sulla carta e quindi fuori dall’autostrada chiedemmo a delle persone che ci mandarono a Due Carrare, finchè arrivammo a Pontemanco dove trovammo la stessa identica vista della cartolina che avevamo con noi e che la mamma conservava dal 1947. Fu commovente fino alla lacrime!
Poi incontrammo Antonio e Dina, Paola la nipote di Emilio Bertin, il mugnaio, e poi il partigiano Isidoro Brunazzo. Quando incontrai quest’ultimo e gli feci vedere la foto che lui stesso aveva dato alla mamma alla sua partenza esclamo subito “Estika!” Erano passati 56 anni ma si ricordò tutto immediatamente quando confrontò la foto con me. Poi mi disse “Perché avete aspettato tanto tempo prima di venire?” Lo mettemmo subito in contatto telefonico con la mamma in Israele e tutto l’ italiano che lei era sicura di aver dimenticato, tornò fuori in un attimo! Con esso tornarono anche i ricordi chiusi in lei, quelli della mamma Sarina e della casa che aveva lasciato 60 anni prima. Non fu per lei un periodo facile.
Cinque anni dopo riuscimmo a convincere mamma a venire con noi in Italia a vedere i luoghi e a incontrare le persone. Tornammo a Pontemanco e a Zagabria dove era nata. Con mio marito e le nostre due figlie abbiamo rivisto Cesarina Bertin e i suoi figli Anna e Guglielmo che nella loro infanzia avevano sentito raccontare la storia dal nonno Emilio Bertin, mentre Isidoro purtroppo, nel frattempo, era mancato. Incontrammo Ida la nipote del farmacista con suo marito e condividemmo una stupenda cena in casa di Dina e Antonio. Capimmo allora sempre più che mia madre era stata salvata in Italia e che ancora oggi esistono persone gentilissime che continuano ad ospitare e dare con tutto il loro cuore, senza limiti, così che anche il nostro cuore si è quasi fermato dalla gioia e per la gratitudine di aver avuto la possibilità di conoscere le persone meravigliose che salvarono la vita di mia mamma e che anche allora erano felici di incontrarci aprendo le loro case e i loro cuori per noi. Furono loro a ringraziarci per essere venuti..
Sono crescita con la frase “Sono sopravvissuta grazie al popolo italiano!” Oggi più che mai sento il calore e il vero amore umano della frase che mi ripetevano spesso i miei genitori nell’infanzia”. Con tantissima gratitudine.