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29 dicembre 2024 – Auguri

Come messaggio degli ultimi giorni di un anno che ci ha lasciato senza parole, ci sentiamo di augurarvi di svegliarci a gennaio e accorgerci che è stato tutto un brutto sogno…

Siamo stati spettatori di una diatriba tra chi vuole distinguere e puntualizzare i “genoicidi” dai  “crimini di guerra” quando sappiamo tutti che è la guerra stessa ad essere un crimine.

Abbiamo visto lotte per il posto di lavoro di settori considerati in via di estinzione mentre non c’è cassa integrazione per i lavoratori delle industrie belliche.

Abbiamo visto cadere dittatori e assurgere a capi delle più potenti democrazie marionette comandate dal più ricco sulla terra.

Abbiamo visto che le donne e i bambini sono sempre i primi a rimetterci ed in modo intollerabile.

C’è qualcosa di storto nel mondo che andrebbe raddrizzato ma non ci sono abbastanza puntelli.

30 ottobre 2021 – PARLAR DI GUERRA NON E’ MAI ABBASTANZA

Rovigo e Villadose sono stata una bella doppietta di approfondimento della storia del confine orientale. Del resto i nostri affezionati sono abituati a farlo da anni con i migliori storici sulla piazza. Tra i più giovani Alessandro Cattunar, Federico Tenca Montini ed Eric Gobetti, ma con noi ne ha parlato più volte anche il grande professor Boris Pahor (107 e non li dimostra!).

Sentirsi dare del negazionista come è successo ad Eric Gobetti, di questi tempi è facile.

In questi ultimi tragici dieci anni le parti si sono invertite, non è più un tabù dirsi fascisti e invece sembra quasi una vergogna festeggiare la liberazione dal nazi-fascismo.

Gli storici per fortuna vanno oltre, studiano i documenti, raccolgono le testimonianze, le classificano e le confrontano. Gli storici sanno distinguere ciò che accade realmente  dalla partecipazione emotiva mentre  quando si dice “foibe” chi ha interesse a nascondere le vicende, gioca sulla crudeltà e sull’orrore mistificando i fatti e amplificando i numeri.

Le atrocità di una guerra durata vent’anni nelle terre di confine non hanno bisogno di essere amplificate, raccontate sì ed è questo che in sintesi fa il libro “e allora le foibe” tracciando un percorso divulgativo con precisi riferimenti bibliografici.

L’esodo poi va ugualmente raccontato senza mescolarlo con le foibe perché i due fatti non sono strettamente collegati visto che si parla di 1943 e 1945 contro il 1949-54.

La guerra è il male. La guerra rompe tutti i freni alla violenza primordiale dell’uomo e scompagina gli schemi che nei secoli hanno garantito la convivenza civile.

Ne abbiamo parlato con Nico Piro, inviato di guerra di Rai 3 a proposito dell’Afghanistan nella serata interessante e coinvolgente tenutasi al Forum San Martino nella cittadina veneta di San Martino di Venezze con la collaborazione della nuova Amministrazione Comunale e degli amici del gruppo Emergency di Rovigo rappresentati da Gabriele Casarin.

Nico Piro ha presentato il suo documentario “Un ospedale in guerra”, in cui ha raccontato le condizioni in cui si trova ad operare l’ospedale di Emergency a Kabul, mettendo in risalto il prezioso lavoro di Gino Strada, morto il 13 agosto, e del suo staff.

Il documentario è stata l’occasione per conoscere ancor più il grande lavoro dei medici e infermieri di Emergency, per poi riflettere sul ruolo che hanno giocato e giocano tutt’ora gli attori della politica internazionale, a partire dagli americani e dalla loro fallimentare gestione ventennale del paese, ma senza risparmiare critiche al governo italiano e non solo, che ha speso miliardi per impiegare contingenti militari nel paese asiatico senza risolvere i problemi della popolazione.

Una serata quest’ultima che si aggiunge e completa, attualizzandola, quella di Rovigo e Villadose e che getta un a speranza contraddistinta oggi dai tre segni orizzontali rossi, che porta il nome di Emergency.

 

 

28 ottobre 2021- Approfondire la storia del ‘900

Approfondire la storia del ‘900 è il compito che ci siamo dati e che segna l’autunno di risveglio delle attività culturali dell’Associazione il Fiume.

Come tutti abbiamo vissuto in un letargo attendista la fase dello sviluppo e controllo della pandemia.  Non abbiamo partecipato al dibattito “no-vax” “si-vax” perchè siamo convinti che lo spillover del virus Sars Covid ci sia stato, eccome, ma da italiani ogni provvedimento preso non sarebbe stato accettato da una o dall’altra parte della popolazione. Siamo così, individualisti, libertari per noi stessi e moralisti per gli altri, capaci di straordinari eroismi e di deprecabile codardia.

Volendo guardare alla storia del secolo scorso, in attesa che il presente diventi storia e ci consenta uno sguardo sui fatti, abbiamo in programma un ciclo di presentazioni e discussioni  attraverso la collana della casa Editrice Laterza dal titolo Fact chechking ossia “la storia alla prova dei fatti”. La collana è un insieme di lavori su temi che sono stati fondanti nella rinascita del paese nel dopoguerra o, proprio per necessità di rifondazione, sono stati accantonati, ma che, in qualche modo, recentemente sono stati oggetto di discussione  rivista e s-corretta.

La Resistenza, il mito del “buon italiano”, le Foibe, la teoria dell’emigrazione come positiva quando è stata fatta da italiani e negativa se a migrare sono altri popoli che privano gli italiani dei loro diritti o, infine, il mito dell’italianità stessa, questi sono i temi che Eric Gobetti, Carlo Greppi, Chiara Colombini e Francesco Filippi  hanno approfondito e reso accessibili al pubblico più ampio.

Il primo appuntamento è quello con le foibe e con le vicende del confine orientale attraverso una nostra vecchia conoscenza, Eric Gobetti che per noi del Fiume ha parlato di Jugoslavia dal lontano 2011 ed è poi venuto più volte a trattare dei Balcani e della nostra guerra sul quel fronte.

Appuntamento doppio in collaborazione con  l’Anpi di Rovigo  l’ Arci e  grazie al contributo logistico dell’Auser, ore 17.00  a Rovigo , Piazza Tienanmen e  con l’Anpi di Villadose alle ore 21.00 in Biblioteca comunale .

Ovviamente è obbligatorio il Green pass e la mascherina.

 

 

GUERRINO BRUNAZZO GIUSTO TRA LE NAZIONI CON UN INTERO PAESE

Per il paese di Due Carrare martedì 28 marzo è stata una data importante.  La storia del salvataggio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale era nota ad alcuni dei suoi cittadini e agli appassionati di storia che avevano letto qualcosa sul ruolo di Don Torresin nel salvataggio dalla fucilazione degli uomini del paese a guerra finita.  Non c’era stata ancora l’occasione, però, di presentare al pubblico più vasto una delle storie più belle che la ricerca di Luciano Bombarda  aveva portato alla luce.    La cerimonia di martedì ha dato questa opportunità e ha consentito alla famiglia dei “salvati” di esprimere la loro gratitudine con una delle onorificenze più alte che siano state istituite nel ‘900.    Grazie alla perseveranza di Reuma Ayalon e dei suoi fratelli, figli di Esther Danon rinchiusa per un anno e mezzo nella soffitta di Pontemanco, lo Yad Vashem ha valutato tutte le prove e  i documenti arrivando alla cerimonia ufficiale dei giorni scorsi.

Si è trattato di una cerimonia molto “israeliana”, formale quanto necessario  ma priva di retorica.   Con grande sensibilità il Sindaco di Due Carrare, Davide Moro e l’Associazione il Fiume hanno introdotto brevemente i fatti e i protagonisti lasciando poi al Ministro consigliere dell’Ambasciata d’Israele la lettura della motivazione e la consegna della medaglia a Claudio Brunazzo, figlio di Isidoro  e nipote di Guerrino Brunazzo.

Il Sindaco di Due Carrare Davide Moro, Claudio Brunazzo e il Ministro Ambasciatore Raphael Erdreich
Maria Chiara Fabian presidente dell’Associazione il Fiume e Claudio Brunazzo, nipote di Guerrino Brunazzo, con la medaglia e l’attestato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non essendo presenti per motivi di lavoro i figli di Esther Danon è toccato a Chiara Fabian leggere il testo di una  lettere di Reuma  Ayalon che traccia la storia del ritorno a Pontemanco della terza generazione dei salvati e di come si è arrivati alla cerimonia da parte di Israele.  Di seguito quanto letto per conto di Reuma Ayalon.

“Per noi cominciò tutto nel 2000,  quando (mia figlia) Gilly riuscì a convincere la nonna Estica a testimoniare allo Yad Vashem a Gerusalemme. Vi andammo insieme con la mamma ma non ci aspettavamo il viaggio comune che da lì sarebbe iniziato.

Durante la mia infanzia avevo sentito dai miei genitori solo piccoli pezzi della loro storia, ma soprattutto tante calde parole sul popolo italiano. Non capivo cosa c’entrassero gli italiani perché sapevo che i miei erano nati a Zagabria in Jugoslavia… Non vollero mai parlare della loro infanzia dicendo soltanto che durante la guerra erano fuggiti da Zagabria in Italia ed erano arrivati  in Israele da adolescenti. Da giovane avevo saputo solo che mia nonna Sarina Danon era stata uccisa ad Auschwitz.  I miei genitori non vollero mai essere considerati “sopravvissuti dell’olocausto” erano giovani e volevano ricominciare la loro vita lasciandosi alle spalle il passato. In più negli anni del loro arrivo in Israele attorno a loro c’erano tantissime persone sopravvissute alla guerra, ai campi di sterminio e a tante altre difficilissime esperienze, o che avevano perso le loro famiglie. Così mia mamma non pensava che la sua storia fosse degna di essere raccontata. … Quando insistevo mi raccontava solo piccoli episodi, fuori contesto.     Prima di partire per la Polonia (in un viaggio della memoria), Gilly chiese alla nonna di raccontarle qualcosa in più sui suoi genitori e sulla storia della sua famiglia e finalmente la mamma sui convinse che la terza generazione aveva il diritto di sapere cosa era accaduto.  Passarono però ancora due anni prima della testimonianza allo Yad Vashem.  Quando poi vedemmo il video della testimonianza della mamma scoprimmo una storia ammaliante, di una bambina separata dai genitori a soli 12 anni, che non vide più la mamma e visse in un paese straniero per cinque anni, una bambina che fu salvata con gli zii dalle persone gentili incontrate per caso e che , infine,  arrivò in Palestina.

Dopo aver visto quel video non potevo più aspettare e così con mio marito Zohar, decidemmo di fare un viaggio in Italia e provare a vedere se restavano ancora delle persone che ricordavano la storia dei sette ebrei nascosti nella soffitta. Volevo provare a trovare il partigiano Isidoro Brunazzo ma da Israele non avevo idea di dove viveva e se era ancora vivo. …. La mamma pensava che tutto era cambiato, che non avremmo trovato niente. Ci fornì dei nomi e delle foto e solo allora capimmo che teneva ancora gelosamente quelle foto che non aveva mai fatte vedere in tanti anni per non turbarci col peso dei ricordi.

Non eravamo riusciti a trovare Pontemanco sulla carta e quindi fuori dall’autostrada chiedemmo a delle persone che ci mandarono a Due Carrare, finchè arrivammo a Pontemanco dove trovammo la stessa identica vista della cartolina che avevamo con noi e che la mamma conservava dal 1947.  Fu commovente fino alla lacrime!

Poi incontrammo Antonio e Dina, Paola la nipote di Emilio Bertin, il mugnaio, e poi il partigiano Isidoro Brunazzo.  Quando incontrai quest’ultimo e gli feci vedere la foto che lui stesso aveva dato alla mamma alla sua partenza esclamo subito “Estika!”   Erano passati 56 anni ma si ricordò tutto immediatamente quando confrontò la foto con me. Poi mi disse “Perché avete aspettato tanto tempo prima di venire?”      Lo mettemmo subito in contatto telefonico con la mamma in Israele e tutto l’ italiano che lei era sicura di aver dimenticato, tornò fuori in un attimo!   Con esso tornarono anche i ricordi chiusi in lei, quelli della mamma Sarina e della casa che aveva lasciato 60 anni prima. Non fu per lei un periodo facile.

Cinque anni dopo riuscimmo a convincere mamma a venire con noi in Italia a vedere i luoghi e a incontrare le persone.  Tornammo a Pontemanco e a Zagabria dove era nata.  Con mio marito e le nostre due figlie abbiamo rivisto Cesarina Bertin e i suoi figli Anna e Guglielmo che nella loro infanzia avevano sentito raccontare la storia dal nonno Emilio Bertin, mentre Isidoro purtroppo, nel frattempo, era mancato. Incontrammo Ida la nipote del farmacista con suo marito e condividemmo una stupenda cena in casa di Dina e Antonio.  Capimmo allora sempre più che mia madre era stata salvata in Italia e che ancora oggi esistono persone gentilissime che continuano ad ospitare e dare con tutto il loro cuore, senza limiti, così che anche il nostro cuore si è quasi fermato dalla gioia e per la gratitudine di aver avuto la possibilità di conoscere le persone meravigliose che salvarono la vita di mia mamma e che anche allora erano felici di incontrarci aprendo le loro case e i loro cuori per noi.  Furono loro a ringraziarci per essere venuti..

Sono crescita con la frase “Sono sopravvissuta grazie al popolo italiano!”  Oggi più che mai sento il calore e il vero amore umano della frase che mi ripetevano spesso i miei genitori nell’infanzia”.        Con tantissima gratitudine.

Il Ministro Consigliere di Israele Erdreich, il sindaco Davide Moro e Floriana Rizzetto presidente dell’Anpi di Padova
Davide Moro e Antonio Favaro giovanissimo testimone delle vicende

10 giugno 2016 – Wlodek Goldkorn e il suo “Bambino nella neve” a Ferrara e Stienta

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Dopo un inverno trascorso come Associazione il Fiume a presentare il libro che ha condensato la ricerca di Luciano Bombarda sui profughi dell’Europa degli anni ’40, abbiamo ripreso ad invitare ospiti che abbiano qualcosa da dire in un mondo in cui tra libri, giornali, web, molti scrivono, forse troppi e pochi leggono.

A trovarci a Ferrara e Stienta è venuto stavolta lo scrittore Wlodek Goldkorn.    Per chi non lo conoscesse è  “un nomade”, nato in Polonia da genitori salvatisi dallo sterminio perchè fuggiti in Russia prima del ’39, scappato con la famiglia nel ’68 dopo che la Polonia si era schierata contro Israele e l’imperialismo mondiale, ramingo per qualche anno tra Israele e Germania fino alla scelta di stabilirsi in Toscana.

Con lui nel presentare il libro “Il bambino nella neve” ci siamo ritrovati a parlare di dignità, di vergogna, di profughi e del futuro dell’Europa.          Chi meglio di un giornalista internazionale dalla vita così ricca di esperienza e in contatto con le maggiori personalità politiche degli ultimi 60 anni poteva parlare di tanti temi con autorevolezza e cognizione dei fatti?

Nei due appuntamenti, il primo alla libreria Feltrinelli di Ferrara, condotto dal Marco Contini, giornalista di Repubblica, e il secondo a Stienta, la conversazione ha toccato molti dei temi della narrazione. Il libro si divide tra il ricordo dell’adolescenza in una Polonia vuota del “mondo di ieri” quello dell’ebraismo orientale da cui tutti i sopravvissuti provenivano, e un viaggio terribile nei campi dello sterminio di cui, se escludiamo Auschwitz, poco conosce la maggioranza delle persone .

Difficile condensare in poche righe la ricchezza della conversazione che Wlodek Goldkorn ha tenuto con grande passione con Marco e con i numerosi presenti in un giorno in cui in sottofondo aleggiava la notizia della diffusione nelle edicole del “Mein Kampf” di Hitler.

Pur non volendo scrivere un libro sulla Shoah l’esperienza della distruzione di un popolo che semplicemente “esisteva”, è fondamentale nell’architettura del testo.    A Goldkorn è, però, servita per fare un passo in più rispetto alla spettacolarizzazione ed estetizzazione della Shoah cui spesso si assiste.

Fondamentale è il concetto della “memoria” che non deve servire a condensare nel distico “mai più” un successivo disimpegno per tutto ciò che non riguarda ebrei, rom, omosessuali o testimoni di Geova.

Godcorn con Chiara Fabian a Stienta

La “memoria” è nel suo caso esercizio di ricordo, omaggio ai familiari uccisi, ricordo di un grande vuoto col quale si deve imparare a convivere, ma anche facoltà politica di intervento su quanto oggi deve suscitare lo sdegno che negli anni del Nazismo non si alzò con forza a denunciare nè le aberrazioni linguistiche nè poi quelle materiali.

“Non mi sento vittima” sostiene Goldkorn, che non chiede giustificazioni in quanto ebreo per il fatto che ne sono stati uccisi sei milioni.

Ciascuno è responsabile delle proprie azioni e come scrive nel libro “io penso che essere stati vittima o carnefice non cambia niente. Conta solo la capacità o l’incapacità di mettersi nei panni altrui; non dico di amare l’altro, compito troppo difficile, quasi impossibile, ma di pensare cosa farei io, come mi sentirei io, quali paure avrei provato io, se fossi nella situazione dell’altro.”

La memoria come mezzo di educazione all’agire nel presente e quindi dai profughi degli anni ’40 ai profughi di oggi non cambia molto e la storia chiude il cerchio.

Una lezione di comportamento che non siamo obbligati ad imparare, ma “dimenticare senza avere imparato” è da idioti si diceva in chiusura…

Wlodek Goldkorn e il direttivo del Fiume