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30 ottobre 2021 – PARLAR DI GUERRA NON E’ MAI ABBASTANZA

Rovigo e Villadose sono stata una bella doppietta di approfondimento della storia del confine orientale. Del resto i nostri affezionati sono abituati a farlo da anni con i migliori storici sulla piazza. Tra i più giovani Alessandro Cattunar, Federico Tenca Montini ed Eric Gobetti, ma con noi ne ha parlato più volte anche il grande professor Boris Pahor (107 e non li dimostra!).

Sentirsi dare del negazionista come è successo ad Eric Gobetti, di questi tempi è facile.

In questi ultimi tragici dieci anni le parti si sono invertite, non è più un tabù dirsi fascisti e invece sembra quasi una vergogna festeggiare la liberazione dal nazi-fascismo.

Gli storici per fortuna vanno oltre, studiano i documenti, raccolgono le testimonianze, le classificano e le confrontano. Gli storici sanno distinguere ciò che accade realmente  dalla partecipazione emotiva mentre  quando si dice “foibe” chi ha interesse a nascondere le vicende, gioca sulla crudeltà e sull’orrore mistificando i fatti e amplificando i numeri.

Le atrocità di una guerra durata vent’anni nelle terre di confine non hanno bisogno di essere amplificate, raccontate sì ed è questo che in sintesi fa il libro “e allora le foibe” tracciando un percorso divulgativo con precisi riferimenti bibliografici.

L’esodo poi va ugualmente raccontato senza mescolarlo con le foibe perché i due fatti non sono strettamente collegati visto che si parla di 1943 e 1945 contro il 1949-54.

La guerra è il male. La guerra rompe tutti i freni alla violenza primordiale dell’uomo e scompagina gli schemi che nei secoli hanno garantito la convivenza civile.

Ne abbiamo parlato con Nico Piro, inviato di guerra di Rai 3 a proposito dell’Afghanistan nella serata interessante e coinvolgente tenutasi al Forum San Martino nella cittadina veneta di San Martino di Venezze con la collaborazione della nuova Amministrazione Comunale e degli amici del gruppo Emergency di Rovigo rappresentati da Gabriele Casarin.

Nico Piro ha presentato il suo documentario “Un ospedale in guerra”, in cui ha raccontato le condizioni in cui si trova ad operare l’ospedale di Emergency a Kabul, mettendo in risalto il prezioso lavoro di Gino Strada, morto il 13 agosto, e del suo staff.

Il documentario è stata l’occasione per conoscere ancor più il grande lavoro dei medici e infermieri di Emergency, per poi riflettere sul ruolo che hanno giocato e giocano tutt’ora gli attori della politica internazionale, a partire dagli americani e dalla loro fallimentare gestione ventennale del paese, ma senza risparmiare critiche al governo italiano e non solo, che ha speso miliardi per impiegare contingenti militari nel paese asiatico senza risolvere i problemi della popolazione.

Una serata quest’ultima che si aggiunge e completa, attualizzandola, quella di Rovigo e Villadose e che getta un a speranza contraddistinta oggi dai tre segni orizzontali rossi, che porta il nome di Emergency.

 

 

Auguri del Fiume 2016

Che dire che non sia stato già detto sul Natale, sul mondo in guerra su tutto il bene o il male che ci circonda e che nel loro scorrere ininterrotto costituiscono l’essenza della vita?
Niente.
“Chi ha qualcosa da dire faccia un passo avanti e taccia! ”
Questo aforisma di Karl Kraus che monitorava la fine di un epoca, mi chiude sempre la bocca, mi paralizza la mano che preme i tasti…
Che dire…
Facciamo del nostro meglio per non peggiorare il mondo, ecco, ricordiamolo almeno una volta l’anno.
Auguri amici!
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8 ottobre 2015 – La geografia non si insegna quasi più, ma è un peccato

La geografia, che non si insegna quasi più, era la materia preferita di mia madre.  Di sera e soprattutto quando i figli erano in viaggio, seguiva, nel mitico atlante De Agostini, i loro tragitti e le tappe per contestualizzarli nel resto del mondo.

La geografia vien utile quando di tanto in tanto si prospetta un intervento militare in qualche zona del mondo. Ogni tanto i fuochi che covano sotto le braci dell’umana irrequietezza, si ravvivano e danno vita a lingue fiammeggianti e molti arrivano a sostenere che il fuoco si debba spegnere col fuoco.

cartina del quadro di intervento militare di Internazionale
cartina del quadro di intervento militare dalla rivista “Internazionale”

Così mi piace, come la mamma, guardare le cartine e capire se dall’alto è così chiaro vedere il punto che fuma, il brufolo da schiacciare, il cancro da estirpare … ma non è così. Anche sintetizzando, popoli e confini non sono mai netti nemmeno se tracciati con riga e squadra e se lanci una bomba tiri dentro tutti, buoni e cattivi.  Ora un nemico c’è, ma ha radici che come gramigna si diramano dappertutto ed è frutto di povertà, sfruttamento e dittatura oltre, ovviamente, di consistenti partite d’armi che valgono tanti, tanti soldi.

“Aiutare la gente a casa loro”, il miglior slogan del momento, non significa bombardare nei paesi d’origine dei profughi per risolvere i loro problemi. Non so cosa intendano i leader politici quando parlano di questo, so solo che gli unici a fare qualcosa di concreto per questi paesi sono organizzazioni umanitarie quali MSF o Emergency.

I primi, sono stati bombardati nei giorni scorsi, dalla coalizione alleata dentro un ospedale in cui operavano i feriti e i malati.

Sui secondi, allego una breve nota di Cecila Strada (Presidentessa di Emergency) in contatto con i ragazzi dell’organizzazione a Kabul, così per farci un’idea di intervento militare, per non dire poi che pensavamo di combattere Daesh o di intervenire contro Boko Haram…

la situazione in Africa Centrale
la situazione in Africa Centrale e Nigeria che mostra l’infiltrazione di Boko Haram

…Kabul, sera, giardino di casa. Siamo rientrati dall’ospedale e ci sediamo con Luca a bere qualcosa sul tavolino basso, i piedi nudi nell’erba. Luca è un infermiere appassionato, vulcanico come sono quelli che amano il proprio lavoro e vogliono farlo al meglio, e nell’ultimo anno ha fatto il coordinatore del programma Afghanistan. Parliamo di quello che abbiamo visto oggi nelle corsie, di alcuni casi particolarmente brutti, mezzi uomini, famiglie distrutte, bambini a cui la guerra ha cambiato il corpo per sempre.

“Lo sai che cosa mi fa incazzare” – Luca appoggia il bicchiere – “Quando guardi i film di guerra e il ferimento in battaglia sembra eroico, romantico. La retorica della guerra. Quando guardi i feriti veri capisci che non c’è niente di eroico, di romantico. Gli effetti che ha sul corpo … guardali. La guerra trasforma le persone nella caricatura di se stesse. E non sarai mai più lo stesso, se sopravvivi. Queste ferite non finiscono mai: avrai menomazioni per sempre, avrai dolore per sempre, e non guarisci più, non finisce mai”.

In corsia C c’è una mamma. Stava andando a una festa con tutta la famiglia quando la macchina è saltata su un ordigno. Il marito e tre figli sono morti. La bambina piccola ha tre anni e “quando l’abbiamo guardata abbiamo capito che era morta, ti giuro che era morta, nessuno ha pensato che potesse sopravvivere. E invece”, dice Anton il chirurgo,” invece è sopravvissuta, l’hanno curata e dimessa. La mamma ha perso una gamba. La guerra è quella cosa che in un minuto spazza via una famiglia e lascia sole una bambina di tre anni e sua madre mutilata”.

Nella corsia maschile c’è un poliziotto della provincia di Ghazni. Oggi gli hanno spiegato che non c’è niente da fare per la sua gamba, hanno provato in ogni modo a salvarla ma andrà per forza amputata. “Non se ne parla, non posso” è la sua prima risposta. “Non ho fratelli, mio padre è morto, mio figlio è piccolo, ci sono mia madre e mia moglie. Ho bisogno delle gambe”. Sì, ne ha bisogno per lavorare, sennò chi darà da mangiare alla sua famiglia? Lo sappiamo bene, ma non ci sono alternative: quella gamba va tolta. Ne hanno parlato a lungo, domani firmerà il consenso all’intervento. Che vita avrà? E che vita avranno i bambini che si sono presi una pallottola in testa, quelli che hanno perso entrambe le gambe? E i triamputati, i ciechi. Con Luca parliamo del momento in cui, dopo averci messo tutta la tua bravura per curare un paziente, lo dimetti e lo dimetti “là fuori”: il punto in cui finisce il nostro lavoro e comincia l’Afghanistan. Il punto in cui i nostri pazienti tornano a casa e iniziano la loro nuova vita, da mutilati  (………………)

Oggi i genitori hanno portato per una visita di controllo un paziente, un bambino di un paio d’anni. Emipelvectomia: i chirurghi hanno dovuto asportare metà del bacino insieme alla gamba. L’infermiere controlla la colostomia e il sacchetto: i genitori se ne stanno occupando bene. “E’ definitivo. Dovrà tenerlo”, ha detto l’infermiere.

I paesi in guerra sono pieni di persone così. E non c’è niente di romantico in un bambino di due anni con mezzo bacino. “Proprio niente di romantico, niente di eroico”, Luca spegne la sigaretta. “Solo i mostri della guerra”.

LA BUONA PASQUA DEL FIUME…

barconi viaggi speranza

 

migrazioni
                                                   migranti

 

 

 

Fra pochi giorni sarà per il mondo occidentale la Pasqua di Resurrezione. Per il mondo cristiano il trionfo della vita sulla morte e il messaggio di speranza che quel che non si è realizzato in questa vita si potrà realizzare nell’altra.    Per il mondo ebraico la celebrazione del viaggio, dell’erranza da una terra di sofferenza ad una di libertà.

In entrambi i casi non possiamo non pensare alla Pasqua come a una speranza per una vita migliore.        La Pasqua del viaggio verso un futuro che, pur ricordando la sofferenza da cui si parte, nutre in sé la speranza.

Pasqua ha l’immagine dei viaggi della speranza che siamo costretti a vedere anche oggi. Pasqua è la delusione verso un mondo che non ha ancora elaborato un modo diverso di concepire le relazioni tra uomini.  Ancora oggi dopo millenni, una parte dell’umanità deve liberarsi dalla schiavitù che le impone un’altra parte di umanità.

L’immagine della Pasqua di quest’anno per noi è quella dei barconi che attraversano il Mediterraneo pieni di uomini, donne e bambini che cercano almeno una vita … fuggendo dalla violenza degli uomini e tuttavia  confidando nella misericordia di altri uomini.

Pasqua è anche l’immagine di passate migrazioni, forse diverse o forse sempre uguali.

Pasqua è la speranza che la voce dell’umanità migliore sovrasti quella dell’umanità peggiore

27 gennaio 2015 – 70 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz

No lo possiamo raccontare per immagini, pare che ogni foto disponibile nella rete sia di proprietà di qualcuno e allora non resta che raccontare come in ogni paese europeo si sia dato appuntamento ad Auschwitz, emblema della Shoah.

Dal regista Steven Spielberg, al presidente Hollande, a molti sopravvissuti e autorità di paesi diversi hanno simbolicamente scelto di varcare i cancelli di Auschwitz per testimoniare una accorata partecipazione a una tragedia europea che non tutti hanno affrontato e risolto.