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Si ha democrazia quando il popolo può controllare l’operato del governo: accetterò il controllo del popolo, ho bisogno dell’energia del popolo, voglio ascoltare la voce del popolo.
Aung San Suu Kyi, 14 novembre

8 ottobre 2015 – La geografia non si insegna quasi più, ma è un peccato

La geografia, che non si insegna quasi più, era la materia preferita di mia madre.  Di sera e soprattutto quando i figli erano in viaggio, seguiva, nel mitico atlante De Agostini, i loro tragitti e le tappe per contestualizzarli nel resto del mondo.

La geografia vien utile quando di tanto in tanto si prospetta un intervento militare in qualche zona del mondo. Ogni tanto i fuochi che covano sotto le braci dell’umana irrequietezza, si ravvivano e danno vita a lingue fiammeggianti e molti arrivano a sostenere che il fuoco si debba spegnere col fuoco.

cartina del quadro di intervento militare di Internazionale
cartina del quadro di intervento militare dalla rivista “Internazionale”

Così mi piace, come la mamma, guardare le cartine e capire se dall’alto è così chiaro vedere il punto che fuma, il brufolo da schiacciare, il cancro da estirpare … ma non è così. Anche sintetizzando, popoli e confini non sono mai netti nemmeno se tracciati con riga e squadra e se lanci una bomba tiri dentro tutti, buoni e cattivi.  Ora un nemico c’è, ma ha radici che come gramigna si diramano dappertutto ed è frutto di povertà, sfruttamento e dittatura oltre, ovviamente, di consistenti partite d’armi che valgono tanti, tanti soldi.

“Aiutare la gente a casa loro”, il miglior slogan del momento, non significa bombardare nei paesi d’origine dei profughi per risolvere i loro problemi. Non so cosa intendano i leader politici quando parlano di questo, so solo che gli unici a fare qualcosa di concreto per questi paesi sono organizzazioni umanitarie quali MSF o Emergency.

I primi, sono stati bombardati nei giorni scorsi, dalla coalizione alleata dentro un ospedale in cui operavano i feriti e i malati.

Sui secondi, allego una breve nota di Cecila Strada (Presidentessa di Emergency) in contatto con i ragazzi dell’organizzazione a Kabul, così per farci un’idea di intervento militare, per non dire poi che pensavamo di combattere Daesh o di intervenire contro Boko Haram…

la situazione in Africa Centrale
la situazione in Africa Centrale e Nigeria che mostra l’infiltrazione di Boko Haram

…Kabul, sera, giardino di casa. Siamo rientrati dall’ospedale e ci sediamo con Luca a bere qualcosa sul tavolino basso, i piedi nudi nell’erba. Luca è un infermiere appassionato, vulcanico come sono quelli che amano il proprio lavoro e vogliono farlo al meglio, e nell’ultimo anno ha fatto il coordinatore del programma Afghanistan. Parliamo di quello che abbiamo visto oggi nelle corsie, di alcuni casi particolarmente brutti, mezzi uomini, famiglie distrutte, bambini a cui la guerra ha cambiato il corpo per sempre.

“Lo sai che cosa mi fa incazzare” – Luca appoggia il bicchiere – “Quando guardi i film di guerra e il ferimento in battaglia sembra eroico, romantico. La retorica della guerra. Quando guardi i feriti veri capisci che non c’è niente di eroico, di romantico. Gli effetti che ha sul corpo … guardali. La guerra trasforma le persone nella caricatura di se stesse. E non sarai mai più lo stesso, se sopravvivi. Queste ferite non finiscono mai: avrai menomazioni per sempre, avrai dolore per sempre, e non guarisci più, non finisce mai”.

In corsia C c’è una mamma. Stava andando a una festa con tutta la famiglia quando la macchina è saltata su un ordigno. Il marito e tre figli sono morti. La bambina piccola ha tre anni e “quando l’abbiamo guardata abbiamo capito che era morta, ti giuro che era morta, nessuno ha pensato che potesse sopravvivere. E invece”, dice Anton il chirurgo,” invece è sopravvissuta, l’hanno curata e dimessa. La mamma ha perso una gamba. La guerra è quella cosa che in un minuto spazza via una famiglia e lascia sole una bambina di tre anni e sua madre mutilata”.

Nella corsia maschile c’è un poliziotto della provincia di Ghazni. Oggi gli hanno spiegato che non c’è niente da fare per la sua gamba, hanno provato in ogni modo a salvarla ma andrà per forza amputata. “Non se ne parla, non posso” è la sua prima risposta. “Non ho fratelli, mio padre è morto, mio figlio è piccolo, ci sono mia madre e mia moglie. Ho bisogno delle gambe”. Sì, ne ha bisogno per lavorare, sennò chi darà da mangiare alla sua famiglia? Lo sappiamo bene, ma non ci sono alternative: quella gamba va tolta. Ne hanno parlato a lungo, domani firmerà il consenso all’intervento. Che vita avrà? E che vita avranno i bambini che si sono presi una pallottola in testa, quelli che hanno perso entrambe le gambe? E i triamputati, i ciechi. Con Luca parliamo del momento in cui, dopo averci messo tutta la tua bravura per curare un paziente, lo dimetti e lo dimetti “là fuori”: il punto in cui finisce il nostro lavoro e comincia l’Afghanistan. Il punto in cui i nostri pazienti tornano a casa e iniziano la loro nuova vita, da mutilati  (………………)

Oggi i genitori hanno portato per una visita di controllo un paziente, un bambino di un paio d’anni. Emipelvectomia: i chirurghi hanno dovuto asportare metà del bacino insieme alla gamba. L’infermiere controlla la colostomia e il sacchetto: i genitori se ne stanno occupando bene. “E’ definitivo. Dovrà tenerlo”, ha detto l’infermiere.

I paesi in guerra sono pieni di persone così. E non c’è niente di romantico in un bambino di due anni con mezzo bacino. “Proprio niente di romantico, niente di eroico”, Luca spegne la sigaretta. “Solo i mostri della guerra”.

7 maggio 2015 – Manuela Dviri Vitali Norsa ambasciatrice di speranza

Manuela Dviri
Manuela Dviri

Ferrara -Sala Alfonso I – Castello Estense ore 17.00

Costa di Rovigo (Ro) – Biblioteca M. Buchaster – ore 21.00

Vissero tutti i miei personaggi, sette anni sette di inferno e due di terrore. Trasformati da un giorno all’altro in apolidi, delinquenti e fuggiaschi dalla loro stessa patria, riuscirono a salvarsi. Poi tornarono a casa e ricominciarono da capo. Loro erano i salvati, non i sommersi”

Manuela Dviri dopo articoli e libri che con passione civile hanno fotografato la grande voglia di pace di tanti cittadini di Israele e Palestina,  ha dato alle stampe la storia della sua famiglia. Un cambio di passo?

In realtà la ricerca entusiasmante e a volte dolorosa delle vicende che hanno caratterizzato il grande albero genealogico familiare le è servito per un duplice scopo. Da un lato per fissare con la scrittura le vite e le vicende dei suoi cari così da renderli immortali assieme all’Italia in cui hanno vissuto.  Allo stesso tempo per scrivere di suo figlio Yoni, caduto nella guerra del Libano, e del conflitto in Medioriente, che la vede tra le voci più critiche nel suo paese d’adozione, Israele.  In effetti il libro è alternanza di narrazione storica e di affacci sporadici sul presente dell’ultima guerra arabo-israeliana, quella dell’estate 2014, in cui l’autrice esorcizza la paura tuffandosi nel passato.

La scrittura e il suo grande potere di mantenere in vita salvano dalla depressione del sentirsi impotenti di fronte a fatti così dolorosi, questa è una chiave di lettura possibile. Come nel racconto di David Grossmann, “Ad un cerbiatto somiglia il mio amore”, dove la madre scappa dalla casa e vaga tra i monti e i sentieri del paese per sfuggire il postino che le porterà la notizia di quella stessa perdita, così tra le pagine che raccontano l’Italia e gli anni della Vergogna, l’autrice fa trapelare il ricordo di una vita sacrificata assurdamente.  E il racconto diventa un modo per allacciare tra loro le vite che non ci sono più ma continuano a vivere di memoria.

Se la Shoah ha mietuto, tutto sommato, poche vittime tra le famiglie di Manuela Dviri che hanno subito la disfatta sociale ed economica ma in gran parte hanno potuto ricominciare da capo, il dopo in Israele stende un velo di tristezza alle pagine del libro.

Un libro che sembra interminabile perché, lo sa bene chi fa ricerca, ad un documento si aggiunge un ricordo, e poi una testimonianza rivela lati sconosciuti, ed ancora qualcuno aggiunge un dato e così via.  Tra i rami intrecciati e intricati del grandissimo albero delle famiglie, nel susseguirsi di momenti felici e tristi vicende, si può leggere tuttavia una grande determinazione a riscattare il destino passivo di quelle generazioni e una forza a trasformare il dolore in nuova energia.

Non poteva Manuela Dviri, portavoce della delegazione israeliana all’incontro di Papa Francesco con il Primate di Costantinopoli, Shimon Perez e Abu Mazen, non terminare con la speranza.

Non mi arrendo neanch’io. Ce la faremo , noi che crediamo nei diritti inviolabili e inderogabili dell’uomo, di ogni uomo, ovunque nel mondo. E riusciremo a vivere in pace. Se non in questa generazione, ce la faranno i nostri figli, nella prossima. O i nostri nipoti. Dobbiamo farcela. Siamo ancora qui

 

7 gennaio 2015 – In preparazione della Giornata della Memoria

L’odierna strage di Parigi in cui un  “kommando” di tre estremisti di matrice islamica ha ucciso dodici persone, in particolare illustratori satirici molto noti, rischia di diventare una miccia innescata che può esplodere con conseguenze molto gravi.                                                         Non a caso la Lega Nord suggerisce subito misure che poca relazione hanno con quanto accaduto in Francia ma fanno un buon effetto; il controllo dei profughi, lo stop all’emigrazione, il controllo dei luoghi di riunione e preghiera mussulmani.

Individuare un nemico ideologico non serve se non ad aumentare consensi e voti, meglio  utilizzare gli strumenti già in possesso delle forze di polizia per effettuare controlli o fermi e prevenire attentati che da sempre si verificano  vuoi ad  opera di elementi separatisti,  integralisti oppure della delinquenza comune. Analisi approfondite vengono fatte da autorevoli giornali, commentatori politici, media televisivi e dagli stessi Governi europei coinvolti da attentati che  fanno vacillare la sicurezza in cui l’Occidente si culla dal dopoguerra.

In vista della prossima Giornata della Memoria noi proviamo a rispondere con la conoscenza di come la storia storia si ripete, non nei fatti ma nelle reazioni e  ci sembra calzante citare un passo del libro di Silvana Calvo “Ad un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945” che l’autrice presenterà per l’Associazione il Fiume nei prossimi giorni.

ad un passo dalla salvezza
ad un passo dalla salvezza

Ventidue ragazzine di una scuola media di Rorshach in Svizzera ai confini con Austria e Germania,  nel settembre del 1942 scrivono una lettera al Consiglio Federale a Berna in cui lamentano il respingimento degli ebrei che fuggivano le persecuzioni razziali della civilissima Germania, con queste parole: “…Non ci saremmo mai immaginate che la Svizzera, l’Isola di pace che pretende di essere misericordiosa, avrebbe ributtato come bestie oltre la frontiera questi miseri esseri infreddoliti e tremanti”

Il Consigliere Federale svizzero Von Steiger, reagisce alla lettera inviata e firmata, in modo veemente e sproporzionato con una risposta dai toni infastiditi diretta alla piccola Heidi Weber e della quale riportiamo un brevissimo passo:

“Sai che finora sono stati spesi per i profughi più di 17 milioni di franchi?….Sai che prevediamo una futura disoccupazione? Sai che se accogliamo altre migliaia di profughi ognuno di essi vorrà e avrà bisogno di lavorare…. Sai che da noi si infiltreranno elementi ambigui? Che tra questi profughi abbiamo trovato spie e agenti stranieri….”

Parole la cui  eco  arriva ai giorni nostri  dagli schermi delle tv in cui si commentano i fatti tragici.

Nella crisi dell’ economia e dei valori su cui  poggiava la società occidentale,  emerge e domina la paura. Nel razionale occidente che sta percorrendo la difficile via della democrazia e della laicità basta un niente per ritornare indietro sulla carta della civiltà.

Per contro segnaliamo le nostre attività per la Giornata della Memoria, un modesto contributo alla conoscenza delle storie e alla diffusione della cultura.

12 gennaio 2015 – Stienta –  Aula magna delle Scuole Medie, ore 21.00–  presentazione libro  “A un passo dalla salvezza” relatrice l’autrice Silvana Calvo

13 gennaio 2015 – Ferrara – Aula Magna Istituto Tecnico L.Einaudi – via Savonarola (FE), ore 10.00  presentazione libro  “A un passo dalla salvezza” relatori l’autrice Silvana Calvo e  M.Chiara Fabian  dell’ Associazione il Fiume Stienta.

22 gennaio 2015  – Stienta e Ficarolo (RO) – Aula magna Scuole Medie ore 10.00,  “La shoah in Italia e nel Polesine: il ruolo dei giusti”  relatore  Luciano Caro rabbino di Ferrara, con Franco Levi, figlio di Bruno Levi ucciso ad Auschwitz,  M. Chiara Fabian e le prof. M. Carla Garbellini e Alessandra Peccini

la scala della morte
la scala della morte

23 gennaio 2015 – Amministrazione di Costa di Rovigo –  Biblioteca “Buchaster” ore 21.00 – “La scala della morte” l’autrice Grazia di Veroli con M.Chiara Fabian dell’Associazione Il Fiume presentano il libro sulla storia di Mario Limentani, ebreo catturato a Roma e internato a Mauthausen.

24 gennaio 2015 – Liceo Artistico B. Munari di Castelmassa (RO) e Comune di Castelmassa ore 10.30 – Teatro Cotogni   Via C. Battisti,  presentazione del libro “La scala della morte. Mario Limentani da Venezia a Roma via Mauthausen” sulla vicenda di Mario Limentani sopravvissuto a Mauthausen,  a cura dell’autrice Grazia di Veroli con  M. Chiara Fabian ( Associazione Il Fiume) e prof. Daniela Turatti (Liceo “B.Munari”)

27 gennaio 2015 – Adria (RO) – Aula Magna dell’Istituto Istruzione Superiore Polo Tecnico di Adria – ore 10.30 –  “Vorrei raccontarvi la storia dei Buchaster” con la relatrice  M. Chiara Fabian – Associazione Il Fiume .

30 gennaio 2015  – Costa di Rovigo (RO) – Atrio Scuole Medie ore 11.00 “Introduzione alla shoah e il ruolo dei giusti”  relatore  Luciano Caro Rabbino di Ferrara, con M. Chiara Fabian

25 dicembre 2014 – MEGLIO TOGLIERE O AGGIUNGERE?

auguri 2014 del Fiume
auguri 2014 del Fiume

Nel preparare gli auguri di Buon Natale e Buone Feste per gli amici del Fiume ci siamo imbattuti in queste riflessioni di Zigmund Baumann[1] forse uno dei più importanti filosofi contemporanei che analizza il concetto di modernità e le dinamiche della società contemporanea.

“Un’idea vetusta e contraddittoria di assimilazione, che ancor oggi pretende dall’immigrato un’accettazione della cultura ospite talmente integrale e “chimicamente pura” da implicare una rinuncia alla sua cultura d’origine. Non c’è futuro per questo orientamento: la storia raccontata in questo libro mostra, una volta di più, che l’assimilazione ha fatto il suo tempo (e ha fallito). La via d’uscita – per delle società globali e multiformi come le nostre – è l’interculturalità, armonizzazione nelle differenze: forse la cosa più difficile che esista, ma anche la più bella”

Ci sembra molto vero quanto dice Baumann ma altrettanto difficile da mettere in pratica. Accettare l’altro senza pensare di sottometterlo ma anche senza la paura di essere sottomessi da lui è un atto di grande intelligenza.  Non so se la nostra società ha gli strumenti per farlo, accettare gli altri significa essere in pace con se stessi e questo non è dato alla maggioranza in questo momento storico.  Il disagio che attanaglia i nostri cuori per la difficoltà di accettare il destrutturarsi di una società che pensavamo ben organizzata, non è la base migliore per aprirsi verso l’altro.  Come possiamo accogliere i migranti se non abbiamo di che mantenere il nostro tenore di consumo alto?  Come possiamo allargare la nostra società se anche la nostra famiglie spesso è un peso e non una risorsa?

Le domande restano aperte e solo una grande fabbrica culturale può provare a rispondere nei prossimi anni.  Rispetto al Natale ad esempio, noi pensiamo che in Italia la tradizione prevede che la maggioranza delle famiglie celebra la nascita di Gesù con la riproposizione della rappresentazione simbolica del Presepe, nel tempo poi ha accettato una diversa tradizione nordica dell’abete addobbato, in futuro dovremmo poter accettare che nelle scuole ormai miste anche le altre comunità possano rappresentare le loro tradizioni senza “ urtare sensibilità” ma anzi aggiungendo conoscenze e motivi di festa a quelli che già abbiamo.

Buon Natale, Felice Channukka e Buon Ramadan a tutti … con buona pace di chi pensa che togliere è meglio che aggiungere.

[1] Z. Baumann, “Visti di uscita e biglietti di entrata” , casa ed. Giuntina

17 dicembre 2014 – Gesti, segni, presenza…il senso della vita

Don Ciotti, fondatore dell’associazione Libera per la lotta contro la mafia,  ha incontrato un numeroso e attento pubblico l’altra sera in una palestra a San Martino di Venezze, il paese della provincia di Rovigo in cui è tornato ad operare don Giuliano Zattarin[1].

Il tema era il senso della vita e a dibattere ma più che altro a dare la propria testimonianza c’erano anche Marco Paolini e il giudice Giancarlo Caselli, ospite del Fiume alcuni anni fa.

Gesti, segni, presenza…queste tre parole che Don Ciotti ha incasellato ad un certo punto del discorso come senso della vita, sono quelle che vogliamo usare oggi per ricordare Luciano Bombarda.

E’ sempre più difficile e diventerà quasi impossibile, spiegare chi è stato Luciano Bombarda, l’uomo che ha saputo catalizzare tante energie e dar vita all’Associazione Il Fiume.

Gesti, segni, presenza…tutto questo era Luciano.

Un uomo alto, abbronzato, magro all’inverosimile anche se non ascetico ma amante del buon cibo e soprattutto della compagnia delle persone.

 Gesti che accompagnavano sempre il suo discorrere con amici e sconosciuti, gesti ampi che accompagnavano il suo sorriso aperto e gesti di affetto dimostrato senza risparmio.

 Segni che, evidenti o nascosti, sapevano sostenere sia moralmente che materialmente ogni persona che ne aveva bisogno e andavano dall’offrire il proprio magazzino come deposito batterie ai rom al prestare denaro a volte non rivedeva più

 Presenza forte, continua, assidua, quasi asfissiante da risultare necessaria nel momento in cui non l’ha più offerta a tutti.

E’ sembrato impossibile che fosse lui ad aver bisogno più di tutti quelli che hanno attinto a piene mani alla sua generosità. Da quando il 17 dicembre del 2012 Luciano si è arreso e ha smesso sperare che qualcuno udisse il suo lamento siamo tutti tornati al nostro prima.

Violenza, solitudine e corruzione ci circondano e non sappiamo come fare a cambiare questo mondo. Non abbiamo capito che bisogna ascoltare chi prova a farci sentire “NOI” e siamo tornati a sentirci “IO” con tutte le nostre fragilità e debolezze.

Abbiamo scelto questo giorno del ricordo di Luciano per regalargli un segno del sentirci ancora un po’ NOI del Fiume e lo salutiamo con la nuova versione del sito, più gestibile e graficamente rinnovata.

Siamo sicuri che arriverà il suo sms di apprezzamento, ma troverà anche qualche virgola da correggere con il suo amor di precisione e cose fatte bene.

Buona lettura!

luciano bombarda
luciano bombarda

[1]Don Ciotti e Don Giuliano sono i preti scomodi che ogni tanto si affacciano alla Chiesa Cattolica.  Don Gallo ci ha lasciato da poco, alcuni sono stati uccisi dalla mafia, altri come Don Ciotti la sfidano tutti i giorni. Don Giuliano, più modestamente, fa da cassa di risonanza per le parti migliori del paese ed è un esempio per tutti i Polesani che vogliono vivere con un senso