25 aprile 2017- A Stienta e dintorni

Sono stata invitata dagli amici dell’ANPI di Stienta (Ro) ad intervenire in qualità di presidente dell’Associazione il Fiume per ricordare il 72° anniversario della fine della guerra e della liberazione, una guerra lunga e tragica per i milioni di morti in tutto il mondo.

L’Associazione il Fiume è entrata nella grande storia per raccontarne aspetti in apparenza minori ed estranei ma in realtà strettamente intrecciati con il vissuto di questi luoghi.  Attraverso una lunga ricerca durata dieci anni abbiamo documentato come il fascismo abbia supportato prima con l’ideologia e poi con atti concreti, la persecuzione degli ebrei stranieri, giunti come profughi anche nei piccoli paesi della provincia italiana dalle nazioni europee in guerra.   Accanto ai persecutori, abbiamo scoperto anche le storie di molti italiani solidali che hanno salvato e protetto ebrei, senza chiedere in cambio nulla, in un puro e semplice esercizio di umanità.   Abbiamo svelato lati ancora oscuri di una storia che gli italiani hanno liquidato velocemente per paura di doverci fare i conti, ma che è molto utile per spiegare alcuni concetti fondamentali.

Cippi e lapidi punteggiano la campagna del Polesine a ricordo delle uccisioni perpetrate dai nazisti in ritirata alla fine della guerra


Oggi celebriamo il 25 aprile, una delle più importanti ma anche sofferte date del calendario civile, mai condivisa da tutte le parti politiche perché il nostro paese è giunto all’atto finale lacerato da una guerra fratricida.   Proprio per la difficoltà di vivere fino in fondo la “com-mozione” in quanto “muovere insieme” di emozioni da parte di un popolo, abbiamo maturato l’importanza di segnare  con cerimonie ma soprattutto con la conoscenza la memoria di questa data.   Senza conoscenza si cade nella polemica come quando negli ultimi anni si è tentato di metter sullo stesso piano vittime e carnefici.  Solo la conoscenza della storia può salvare dalla confusione che si può fare della storia.   Tuttavia non è tra adulti e ultrasessantenni che dobbiamo raccontarci da quali atrocità è nata l’Europa moderna e quale è stato il contributo della nostra Resistenza.   Nostro dovere è, invece,  quello di trasmettere ai ragazzi che sono nati nel secondo millennio, la conoscenza di quanto è successo in queste date e che cosa queste date rappresentano per il nostro paese.

Ho avuto la fortuna di essere stata chiamata ad insegnare in questi ultimi anni e spesso ne approfitto per far domande ai ragazzi. Quando chiedo “ma voi sapete cosa si celebra il 25 aprile?” le risposte sono le più diverse.    Alcuni non hanno la minima idea di cosa si celebri ma sono contenti di avere un giorno libero da scuola.  Qualcuno ricorda vagamente che si festeggia la “liberazione” ma poi non sa da chi o da che cosa.  Altri rispondono che “ci siamo liberati dai tedeschi” ed è la mezza verità di chi,  almeno, ha avuto dei maestri  oppure proviene da una famiglia che ha vissuto la storia sulla propria pelle.

Moltissimi ragazzi provengono da nazioni e culture diverse, e sono stati sradicati fin da piccoli dai loro paesi, ma saranno nostri concittadini adulti fra qualche anno e a loro stiamo insegnando la nostra storia … per questo dobbiamo farlo bene.

Tutti questi ragazzi entreranno a pieno titolo in una società europea in cui avranno molti doveri e anche molti diritti, ma se sapranno come li abbiamo ottenuti forse sarà più facile per loro esserne dei garanti.    Per tutti loro dobbiamo ribadire che Il 25 aprile si festeggia la liberazione dell’Italia dalla dittatura nazi-fascista, ma soprattutto dobbiamo spiegare in cosa consiste una dittatura.

Per noi che abbiamo un bagaglio di memoria e abbiamo ascoltato dalla voce di chi ha vissuto in prima persona le vicende del secondo conflitto mondiale, è facile capire la gioia e l’orgoglio di questa ricorrenza, ma sono i ragazzi di oggi, i nativi digitali, che vanno portati in piazza e ai quali bisogna spiegare perché il nostro paese e il resto dell’Europa avevano il cuore pieno di gioia il 25 aprile del 1945!

Non ci sono quasi più i giovani partigiani di allora a raccontarlo, così come si stanno spegnendo i testimoni della shoah e stiamo perdendo la memoria col rischio che, senza testimoni, una storia, anche se scritta, venga travisata o addirittura negata.

Per questo dovremo attrezzarci molto bene per il futuro e trovare mille modi per spiegare ai ragazzi, ad esempio, che a Stienta e nel Polesine, nonostante i fascisti e i nazisti controllassero il territorio con migliaia di soldati, c’erano uomini, donne e ragazzi che nel silenzio e nella paura ma con coraggio, preparavano azioni, si coordinavano con le truppe alleate, nascondevano soldati paracadutati, raccoglievano armi e , certo, perdevano anche le loro giovani vite per contribuire a cambiare lo stato delle cose.

Primo Levi, scrittore, ebreo e partigiano

“Il fascismo non era altro che la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza e il nazismo in Germania è stato la metastasi di un tumore che era iniziato in Italia” sono parole di Primo Levi, perseguitato come partigiano e come ebreo e quindi doppiamente titolato a parlare.

Ma come riconoscere, oggi, il germe di una dittatura?   Quale “resistenza ” è necessaria oggi che siamo in una democrazia e sembra che i nostri privilegi siano minacciati solo dalla crisi economica e da qualche migliaio di profughi?

A che serve commemorare e ricordare se la memoria non diventa esercizio attivo per riconoscere i mali che se trascurati possono diventare metastasi?     Sempre Primo Levi, che era uno scienziato abituato ad analizzare la materia fino al più piccolo degli atomi ma da scrittore riusciva anche ad avere un quadro d’insieme, diceva che “là dove c’è un verbo che dice “non siamo tutti uguali, alcuni hanno diritti e altri no”, alla fine di tutto questo c’è il lager”.

E allora la commemorazione deve essere accompagnata dal mettere in guardia che la libertà non è scontata, che anche un blog si può oscurare, che anche i giornalisti possono essere incarcerati per non scrivere o possono essere comprati per non denunciare.

“La libertà è come l’aria ci si accorge quanto vale quando comincia a mancare” diceva Calamandrei, ma per insegnarne il valore dobbiamo far capire che l’unica garanzia per la libertà è l’esercizio della democrazia attraverso la partecipazione (la più bella liaison inventata da un cantautore!).

Accanto alla posa della corona nei cippi delle stragi dobbiamo spiegare che le scelte sono sempre individuali e ciascuno è libero di scegliere di dire “no” ad un comando ingiusto, “no” ad una menzogna fatta passare per verità, “no” ad una mazzetta per ottenere un favore.      Se come ha detto ancora Calamandrei “La libertà è condizione ineliminabile della legalità; dove non vi è libertà non può esservi legalità” allora c’è da chiedersi se non dobbiamo ancora conquistarla la libertà visto che la legalità è ancora uno dei nostri problemi più gravi e forse anche oggi abbiamo dei “partigiani” che spendono la loro vita per garantire la legalità.     Non a caso domani sera l’Amministrazione di Costa di Rovigo e l’Associazione il Fiume ospiteranno la giornalista Serena Uccello che presenterà un libro dal titolo “Corruzione” che ricostruisce l’architettura della de-costruzione del nostro paese. Un tema è tra i più importanti nella nostra attualità.       Ecco forse il 25 aprile deve essere celebrazione di chi ha combattuto per dire “no”  a ingiustizia, privilegi al diritto del più forte, ma anche supporto oggi a chi ancora combatte per dire il proprio “no” alle ingiustizie, alla sopraffazione, alla discriminazione di ogni tipo, alla menzogna passata per verità ed al razzismo.   E mi pare che la lotta sia ancora dura

GUERRINO BRUNAZZO GIUSTO TRA LE NAZIONI CON UN INTERO PAESE

Per il paese di Due Carrare martedì 28 marzo è stata una data importante.  La storia del salvataggio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale era nota ad alcuni dei suoi cittadini e agli appassionati di storia che avevano letto qualcosa sul ruolo di Don Torresin nel salvataggio dalla fucilazione degli uomini del paese a guerra finita.  Non c’era stata ancora l’occasione, però, di presentare al pubblico più vasto una delle storie più belle che la ricerca di Luciano Bombarda  aveva portato alla luce.    La cerimonia di martedì ha dato questa opportunità e ha consentito alla famiglia dei “salvati” di esprimere la loro gratitudine con una delle onorificenze più alte che siano state istituite nel ‘900.    Grazie alla perseveranza di Reuma Ayalon e dei suoi fratelli, figli di Esther Danon rinchiusa per un anno e mezzo nella soffitta di Pontemanco, lo Yad Vashem ha valutato tutte le prove e  i documenti arrivando alla cerimonia ufficiale dei giorni scorsi.

Si è trattato di una cerimonia molto “israeliana”, formale quanto necessario  ma priva di retorica.   Con grande sensibilità il Sindaco di Due Carrare, Davide Moro e l’Associazione il Fiume hanno introdotto brevemente i fatti e i protagonisti lasciando poi al Ministro consigliere dell’Ambasciata d’Israele la lettura della motivazione e la consegna della medaglia a Claudio Brunazzo, figlio di Isidoro  e nipote di Guerrino Brunazzo.

Il Sindaco di Due Carrare Davide Moro, Claudio Brunazzo e il Ministro Ambasciatore Raphael Erdreich
Maria Chiara Fabian presidente dell’Associazione il Fiume e Claudio Brunazzo, nipote di Guerrino Brunazzo, con la medaglia e l’attestato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non essendo presenti per motivi di lavoro i figli di Esther Danon è toccato a Chiara Fabian leggere il testo di una  lettere di Reuma  Ayalon che traccia la storia del ritorno a Pontemanco della terza generazione dei salvati e di come si è arrivati alla cerimonia da parte di Israele.  Di seguito quanto letto per conto di Reuma Ayalon.

“Per noi cominciò tutto nel 2000,  quando (mia figlia) Gilly riuscì a convincere la nonna Estica a testimoniare allo Yad Vashem a Gerusalemme. Vi andammo insieme con la mamma ma non ci aspettavamo il viaggio comune che da lì sarebbe iniziato.

Durante la mia infanzia avevo sentito dai miei genitori solo piccoli pezzi della loro storia, ma soprattutto tante calde parole sul popolo italiano. Non capivo cosa c’entrassero gli italiani perché sapevo che i miei erano nati a Zagabria in Jugoslavia… Non vollero mai parlare della loro infanzia dicendo soltanto che durante la guerra erano fuggiti da Zagabria in Italia ed erano arrivati  in Israele da adolescenti. Da giovane avevo saputo solo che mia nonna Sarina Danon era stata uccisa ad Auschwitz.  I miei genitori non vollero mai essere considerati “sopravvissuti dell’olocausto” erano giovani e volevano ricominciare la loro vita lasciandosi alle spalle il passato. In più negli anni del loro arrivo in Israele attorno a loro c’erano tantissime persone sopravvissute alla guerra, ai campi di sterminio e a tante altre difficilissime esperienze, o che avevano perso le loro famiglie. Così mia mamma non pensava che la sua storia fosse degna di essere raccontata. … Quando insistevo mi raccontava solo piccoli episodi, fuori contesto.     Prima di partire per la Polonia (in un viaggio della memoria), Gilly chiese alla nonna di raccontarle qualcosa in più sui suoi genitori e sulla storia della sua famiglia e finalmente la mamma sui convinse che la terza generazione aveva il diritto di sapere cosa era accaduto.  Passarono però ancora due anni prima della testimonianza allo Yad Vashem.  Quando poi vedemmo il video della testimonianza della mamma scoprimmo una storia ammaliante, di una bambina separata dai genitori a soli 12 anni, che non vide più la mamma e visse in un paese straniero per cinque anni, una bambina che fu salvata con gli zii dalle persone gentili incontrate per caso e che , infine,  arrivò in Palestina.

Dopo aver visto quel video non potevo più aspettare e così con mio marito Zohar, decidemmo di fare un viaggio in Italia e provare a vedere se restavano ancora delle persone che ricordavano la storia dei sette ebrei nascosti nella soffitta. Volevo provare a trovare il partigiano Isidoro Brunazzo ma da Israele non avevo idea di dove viveva e se era ancora vivo. …. La mamma pensava che tutto era cambiato, che non avremmo trovato niente. Ci fornì dei nomi e delle foto e solo allora capimmo che teneva ancora gelosamente quelle foto che non aveva mai fatte vedere in tanti anni per non turbarci col peso dei ricordi.

Non eravamo riusciti a trovare Pontemanco sulla carta e quindi fuori dall’autostrada chiedemmo a delle persone che ci mandarono a Due Carrare, finchè arrivammo a Pontemanco dove trovammo la stessa identica vista della cartolina che avevamo con noi e che la mamma conservava dal 1947.  Fu commovente fino alla lacrime!

Poi incontrammo Antonio e Dina, Paola la nipote di Emilio Bertin, il mugnaio, e poi il partigiano Isidoro Brunazzo.  Quando incontrai quest’ultimo e gli feci vedere la foto che lui stesso aveva dato alla mamma alla sua partenza esclamo subito “Estika!”   Erano passati 56 anni ma si ricordò tutto immediatamente quando confrontò la foto con me. Poi mi disse “Perché avete aspettato tanto tempo prima di venire?”      Lo mettemmo subito in contatto telefonico con la mamma in Israele e tutto l’ italiano che lei era sicura di aver dimenticato, tornò fuori in un attimo!   Con esso tornarono anche i ricordi chiusi in lei, quelli della mamma Sarina e della casa che aveva lasciato 60 anni prima. Non fu per lei un periodo facile.

Cinque anni dopo riuscimmo a convincere mamma a venire con noi in Italia a vedere i luoghi e a incontrare le persone.  Tornammo a Pontemanco e a Zagabria dove era nata.  Con mio marito e le nostre due figlie abbiamo rivisto Cesarina Bertin e i suoi figli Anna e Guglielmo che nella loro infanzia avevano sentito raccontare la storia dal nonno Emilio Bertin, mentre Isidoro purtroppo, nel frattempo, era mancato. Incontrammo Ida la nipote del farmacista con suo marito e condividemmo una stupenda cena in casa di Dina e Antonio.  Capimmo allora sempre più che mia madre era stata salvata in Italia e che ancora oggi esistono persone gentilissime che continuano ad ospitare e dare con tutto il loro cuore, senza limiti, così che anche il nostro cuore si è quasi fermato dalla gioia e per la gratitudine di aver avuto la possibilità di conoscere le persone meravigliose che salvarono la vita di mia mamma e che anche allora erano felici di incontrarci aprendo le loro case e i loro cuori per noi.  Furono loro a ringraziarci per essere venuti..

Sono crescita con la frase “Sono sopravvissuta grazie al popolo italiano!”  Oggi più che mai sento il calore e il vero amore umano della frase che mi ripetevano spesso i miei genitori nell’infanzia”.        Con tantissima gratitudine.

Il Ministro Consigliere di Israele Erdreich, il sindaco Davide Moro e Floriana Rizzetto presidente dell’Anpi di Padova
Davide Moro e Antonio Favaro giovanissimo testimone delle vicende

28 MARZO 2017- ANCHE A DUE CARRARE UN GIUSTO TRA LE NAZIONI

La medaglia di “giusto tra le nazioni” conferita dallo Yad Vashem

A più di 70 anni dalla liberazione dal nazifascismo ci sono ancora molte storie da raccontare. Una è quella di Pontemanco e delle famiglie Brunazzo e Bertin e delle famiglie Hasson e Mevorach che vennero salvate dalla solidarietà dei primi.
A Pontemanco (un borgo ai piedi dei Colli Euganei oggi frazione di Due Carrare) negli anni ’40 erano quasi tutti socialisti, di quelli che si riferivano a Matteotti, l’unico politico che contrastò con forza Mussolini.
Dopo l’8 settembre del 1943 arrivarono in paese alcuni profughi ebrei che fuggivano dall’ internamento libero in provincia di Rovigo. I profughi erano clandestini e ricercati dal ricostituito governo fascista della Repubblica di Salò e dai Nazisti.
Per loro si aprirono le porte di casa Brunazzo; Guerrino, vedovo, la sorella Erminia e due figli maschi, Attilio in seminario e Isidoro  ventenne, nascosero dal 31 dicembre 1943 al 27 aprile 1945 a ben sette persone, quattro adulti e tre ragazzi, a rischio della vita.
Tutto il paese che sapeva  aiutò e chi non sapeva, ma intuiva, tenne la bocca chiusa.
Nutrire e alloggiare sette persone in più in tempo di guerra col razionamento e la scarsità di viveri non fu facile, per gli acquisti servivano, infatti, le tessere annonarie.
A Pontemanco però il mugnaio Bertin fornì legna, farina e tutto quel che poteva, il farmacista dottor Fortin fornì medicine e assistenza, il parroco don Torresin conforto e notizie sul corso della guerra.

Il 27 aprile ad un soffio dalla ritirata dei tedeschi un episodio rischiò di causare a Pontemanco una delle tante stragi nazifasciste ma la determinazione del parroco rese possibile la salvezza di settanta  uomini del paese tra cui i gli ebrei,  scambiati per partigiani perché non erano abbronzati come lo erano i contadini del luogo.
Fu così che gli Hasson, Ido,  Sida e la figlia Blanka con la nipote Esther Danon e i Mevorach, Israel, Tinka e Isacco in fuga da Jugoslavia e Bosnia Erzegovina riuscirono a salvarsi e continuare a vivere.
Lo Yad Vashem, l’istituzione che si occupa in Israele dello studio e della raccolta del materiale sullo sterminio del popolo ebraico,  attraverso l’Ambasciata di Israele in Italia conferirà martedì 28 marzo presso il comune di Due Carrare la medaglia di “giusto tra le nazioni” ai discendenti della famiglia Brunazzo.

La  cerimonia si svolgerà martedì 28 marzo alla Casa dei Carraresi in via Roma 33, nel Comune di Due Carrare alla presenza del Sindaco, dell’Ambasciatore di Israele in Italia e dei discendenti delle famiglie Brunazzo e Mevorach e con l’Associazione il Fiume a rappresentare la famiglia di Esther Danon.

Comune di Due Carrare

La cerimonia è aperta al pubblico.

10 FEBBRAIO 2017- La storia intorno alle foibe

Il Giorno del ricordo, il 10 febbraio, è stato istituito al fine di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Tra le commemorazioni, celebrazioni, santificazioni e reportage di pubbliche cerimonie,  il contributo più interessante lo dobbiamo al giornale Internazionale che ha interrogato diversi storici su alcuni aspetti del problema.

In cosa consiste la “più complessa vicenda”?

Il collettivo Nicoletta Bourbaki, gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico, ha chiesto a sette storici di rispondere alla domanda.
Di seguito gli interventi dei vari autori che val la pena di leggere nel numero della rivista  Internazionale del 2 febbraio 2017.

Sul confine orientale, la storia trasformata in olocausto, di Federico Tenca Montini
Il prequel del Giorno del ricordo. La Venezia Giulia dalla prima alla seconda guerra mondiale, di Piero Purini
Persecuzioni, crimini fascisti e resistenze nei Balcani e nella Venezia Giulia, 1920-1945, di Anna Di Gianantonio, Carlo Spartaco Capogreco, Eric Gobetti, Nicoletta Bourbaki
Esodo e foibe. Separare ciò che appare unito, di Jože Pirjevec, Nicoletta Bourbaki, Sandi Volk
Il viaggio continua. Possibili percorsi di approfondimento, di Nicoletta Bourbaki

Più modestamente, come Associazione il Fiume, abbiamo invitato due  giovani storici,  Alessandro Cattunar per parlarci delle vicende del “confine orientale” e Irene Bolzon per relazionare sull’esodo dei giuliano-dalmati e istriani.

Alessandro Cattunar al Circolo Azzurro di Occhiobello

A Occhiobello (Ro) con Alessandro Cattunar è stato importante raccontare le vicende del confine orientale con tutto il contorno di complessità e violenza.
Il pubblico di un centro sociale molto attivo e ricco di attività culturali e ricreative per anziani, il Centro Azzurro, ha ascoltato con attenzione vicende che non erano certamente note.       L’età matura del pubblico a volte aiuta a collocare storicamente gli eventi rispetto a quando si parla ad una platea di ragazzi, ma non è scontato che  le persone, oltre all’esperienza,  abbiano approfondito e ampliato la conoscenza.
Nel nostro caso la storia di come gli abitanti delle terre contese del confine orientale hanno vissuto occupazioni plurime e di come si sia arrivati alle foibe, è stata narrata con serietà e obiettività,  contestualizzando le “memorie” che sono sempre personali e non condivisibili.
A Rosolina, la chiarezza di Alessandro Cattunar è stata molto apprezzata anche nella mattina di sabato 11 febbraio, nell’incontro portato alle scuole medie del paese per volontà dell’assessore Anna Frasson.
Come sopra accennato , far capire a dei ragazzi, che spesso arrivano di corsa a fare la seconda guerra mondiale, vicende così complesse e poco conosciute non è facile.
Il pregio di Alessandro Cattunar è stato la chiarezza e la capacità di adattare la sua relazione al pubblico che aveva davanti senza togliere profondità al discorso.


A Costa di Rovigo, in Biblioteca “M. Buchaster”, con Irene Bolzon1 abbiamo parlato di “foibe”,  ancora una volta e difronte ad un altro pubblico.     La giovane storica trevigiana, laureata a Udine con una tesi sul confine orientale basata su ricerche in archivi mai aperti fino ai nostri giorni, ha introdotto la sua relazione partendo da una circolare che l’assessore regionale del Veneto Elena Donazzan ha inviato a tutti i dirigenti scolastici. Nella circolare l’assessore incasella una serie di errori ed imprecisioni storiche nell’ansia di invitare le scuole a parlare ai ragazzi del tema che le sta a cuore.    A partire da queste imprecisioni Irene Bolzon, con grande  precisione, ha sciorinato una serie di dati, e date, che hanno messo in luce la successione degli eventi.

Irene Bolzon a Costa di Rovigo

Dalla periodizzazione delle foibe alla periodizzazione dell’esodo (avvenuto nell’arco di dieci anni e con motivazioni plurime) abbiamo capito che la complessità delle vicende del confine conteso tra vincitori e vinti, è niente al confronto di come gli esuli sono stati utilizzati dallo Stato Italiano per pesare ai tavoli delle trattative.  Complessità su complessità, che nulla toglie al dramma delle memorie di chi ha vissuto sulla propria pelle quelle vicende,  ma un conto sono le esperienze e le memorie, un conto le dinamiche storiche specie se cambiate molte volte  nel dopoguerra (dagli accordi tra America, Inghilterra e Russia con la Francia a reclamare il suo ruolo, fino allo stacco della Jugoslavia di Tito con il PCUS e relative conseguenze).  Non a caso ci vorranno dieci anni per trattare sulla linea del confine e poi tracciarla.    Una storia a volte  ingarbugliata, che si può riassumere e “tagliare con l’accetta” solo guardandola da lontano mentre noi siamo abituati a usare il microscopio!      In questi giorni alla luce delle rivendicazioni fatte da alcuni politici nelle interviste televisive viviamo una sorta di straniamento.  Assistiamo a comizi di persone che tendono a riscrivere la storia operando una sorta di “rewind” che ne cancella parti molto importanti e decisive.    A noi comuni mortali se, da un lato, sembra drammatico aver perso l’Istria e la Dalmazia, dall’altro ci sembra invece chiaro che avremmo potuto perdere anche Trieste se tra Alleati e Jugoslavi non si fosse dato un peso, seppur minimo, all’Italia Resistente che aveva partecipato all’ultima fase della seconda guerra mondiale.    Con buona pace dei revisionismi storici.

1 Irene Bolzon è stata nominata direttrice dell’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della Marca Trevigiana

29 gennaio 2017 – Riflessioni sul Giorno della Memoria

George Bensoussan e Laura Fontana

Prima ancora che si spenga l’eco delle molteplici attività legate al 27 gennaio data in cui ogni anno si ricorda lo sterminio di milioni di ebrei uccisi dal nazi-fascismo, abbiamo avuto modo di presenziare a due incontri di riflessione sul senso della giornata.

Gadi Luzzato, storico e direttore del CDEC ne ha parlato sabato 28 gennaio a San Martino di Venezze (RO), mentre George Bensoussan, tra i maggiori storici francesi della Shoah, ne ha discusso oggi a Rimini ad un seminario organizzato da Laura Fontana, responsabile italiana del Memoriàle de la Shoah di Parigi.

In entrambe le occasioni si è confermato come “celebrare” milioni di morti non abbia nessun senso, come non è di nessuna utilità suscitare emozioni quando si parla di sterminio, tanto più quando in questo quadro, ormai, si tende a inserire quante più categorie possibili  sminuendone, in questo modo, il significato.   “Se tutto è Shoah, allora niente è Shoah“, afferma Bensoussan.

Gadi Luzzato a San Martino di Venezze

Trovarsi a discutere sul significato del giorno della memoria quando ancora non si è potuto fermarsi a riflettere sembra un pò strano.  Vogliamo, perciò, elencare e ricapitolare quanto e cosa abbiamo fatto in queste due lunghe e sofferte  settimane.

Come Associazione Il Fiume abbiamo offerto alle scuole e alle istituzioni che ci hanno coinvolto, una seria organizzazione di momenti di riflessione sulla “shoah”, consapevoli che non si può metter nelle teste dei ragazzi in un colpo solo, tutta la storia della formazione del substrato che ha generato questa catastrofe dell’umanità.

A dire il vero, nella piccola scuola media di provincia di Pettorazza Grimani (RO), alla presenza di circa 50 ragazzi e con tre ore di tempo, abbiamo provato a proporre un excursus storico generale intervallato da spezzoni video di testimonianze, più che dell’orrore dei campi.

In genere, abbiamo preferito concentrarci su alcuni degli aspetti per approfondirli, specie nelle scuole superiori. Abbiamo parlato del Porrajmos a Ferrara agli studenti del Liceo Ariosto con Eva Rizzin che si occupa specificamente del genocidio di Rom e Sinti.   Abbiamo trattato con i ragazzi delle medie di Costa di Rovigo (RO) lo stesso tema anche se adattato al livello degli studenti, e comunque tracciando  analogie e differenze tra le culture di ebrei e rom.

Il sindaco di Costa Antonio Bombonato ed Eva Rizzin

Con i ragazzi delle medie di Ficarolo e Stienta (RO) abbiamo allargato il cerchio parlando della militarizzazione delle giovani generazioni durante il fascismo e di razzismo coloniale e poi biologico nei confronti degli ebrei valendoci di un esperto, lo storico Gianluca Gabrielli.

Gianluca Gabrielli a Stienta

Quest’anno ci siamo occupati degli IMI, Internati Militari Italiani che con la “shoah” c’entrano perché ne hanno condiviso la sorte nei campi di concentramento di Polonia e Germania, ma rappresentano un capitolo a parte che la legge e la storia, comunque, impongono di ricordare.

Con gli Istituti Comprensivi di Ariano Polesine e Adria Uno abbiamo collaborato ad un concerto-storico dal titolo “186 gradini e altre storie… Voci della shoah” che ha avuto molta presa sugli studenti e sul pubblico presente ed è servito, grazie alla preparazione e passione dei docenti, a parlare di cultura ebraica, non solo di sterminio.

Abbiamo presentato agli studenti della Scuola media “Bonifacio” di Rovigo il tema della “shoah” degli ebrei italiani e di quelli stranieri, fermati e deportati dall’Italia, con un passaggio sulle storie locali di salvezza e di assassinio.

Chiara Fabian con i ragazzi della media Bonifacio di Rovigo

Ci siamo anche prestati alla commemorazione ufficiale della Provincia di Rovigo, atto istituzionale,  meno utile forse, ma comunque doveroso, fornendo l’intervista filmata fatta ad Arduino Nali, cittadino di Adria deportato e sopravvissuto a Mauthausen- Gusen.

Alla fine di tutto, che per noi non è una fine, pensiamo di aver dato un contributo alla conoscenza dei giovani senza ricorrere a nessun film anzi rendendo forse più facile collocare i film che i ragazzi hanno visto e che vedranno, nel contesto di eventi raccontati in successione storica. Il pubblico eterogeneo delle classi ormai multiculturali ha ascoltato attento.   Nessun rifiuto o contestazione di quelli che sono stati fatti incontestabili e ben argomentati.         Non abbiamo avuto titoloni sui giornali, né particolari ringraziamenti ma non era questo lo scopo.

Con alcune amministrazioni pubbliche lavoriamo da tempo e soprattutto “per tempo”, cercando di dare una consequenzialità dei temi anno per anno, esempio su tutte, Costa di Rovigo, un piccolissimo borgo che su questi temi ha fatto grandi cose in questi anni di collaborazione. Con altre, Gavello e la sua Biblioteca, abbiamo iniziato un rapporto con la presentazione del libro “Siamo qui solo di passaggio” che speriamo continui.

La copertina del libro “…Siamo solo di passaggio”sull’internamento libero in Polesine

Dal dibattito in corso su “giorno della Memoria si o no” abbiamo ricevuto spunti per perfezionare una impostazione che pensiamo sia, nella sostanza, abbastanza corretta e che ci fa affrontare il tema dal punto di vista di come si sono create le condizione perché tutto avvenga. Non ci sogniamo mai di dire ai ragazzi “state attenti e imparate perché questo non accada mai più”, piuttosto usiamo gli esempi dei “giusti” per far capire che la responsabilità e le scelte personali sono ciò che può fare la differenza.   Allora come oggi, e su questo punto un parallelo con l’attualità ci sentiamo di farlo, convinti che non sia “banalizzazione della Shoah” bensì un richiamo alla specificità umana della violenza col solo scopo del potere e dello sfruttamento di altri esseri umani.