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7 maggio 2015 – Manuela Dviri Vitali Norsa ambasciatrice di speranza

Manuela Dviri
Manuela Dviri

Ferrara -Sala Alfonso I – Castello Estense ore 17.00

Costa di Rovigo (Ro) – Biblioteca M. Buchaster – ore 21.00

Vissero tutti i miei personaggi, sette anni sette di inferno e due di terrore. Trasformati da un giorno all’altro in apolidi, delinquenti e fuggiaschi dalla loro stessa patria, riuscirono a salvarsi. Poi tornarono a casa e ricominciarono da capo. Loro erano i salvati, non i sommersi”

Manuela Dviri dopo articoli e libri che con passione civile hanno fotografato la grande voglia di pace di tanti cittadini di Israele e Palestina,  ha dato alle stampe la storia della sua famiglia. Un cambio di passo?

In realtà la ricerca entusiasmante e a volte dolorosa delle vicende che hanno caratterizzato il grande albero genealogico familiare le è servito per un duplice scopo. Da un lato per fissare con la scrittura le vite e le vicende dei suoi cari così da renderli immortali assieme all’Italia in cui hanno vissuto.  Allo stesso tempo per scrivere di suo figlio Yoni, caduto nella guerra del Libano, e del conflitto in Medioriente, che la vede tra le voci più critiche nel suo paese d’adozione, Israele.  In effetti il libro è alternanza di narrazione storica e di affacci sporadici sul presente dell’ultima guerra arabo-israeliana, quella dell’estate 2014, in cui l’autrice esorcizza la paura tuffandosi nel passato.

La scrittura e il suo grande potere di mantenere in vita salvano dalla depressione del sentirsi impotenti di fronte a fatti così dolorosi, questa è una chiave di lettura possibile. Come nel racconto di David Grossmann, “Ad un cerbiatto somiglia il mio amore”, dove la madre scappa dalla casa e vaga tra i monti e i sentieri del paese per sfuggire il postino che le porterà la notizia di quella stessa perdita, così tra le pagine che raccontano l’Italia e gli anni della Vergogna, l’autrice fa trapelare il ricordo di una vita sacrificata assurdamente.  E il racconto diventa un modo per allacciare tra loro le vite che non ci sono più ma continuano a vivere di memoria.

Se la Shoah ha mietuto, tutto sommato, poche vittime tra le famiglie di Manuela Dviri che hanno subito la disfatta sociale ed economica ma in gran parte hanno potuto ricominciare da capo, il dopo in Israele stende un velo di tristezza alle pagine del libro.

Un libro che sembra interminabile perché, lo sa bene chi fa ricerca, ad un documento si aggiunge un ricordo, e poi una testimonianza rivela lati sconosciuti, ed ancora qualcuno aggiunge un dato e così via.  Tra i rami intrecciati e intricati del grandissimo albero delle famiglie, nel susseguirsi di momenti felici e tristi vicende, si può leggere tuttavia una grande determinazione a riscattare il destino passivo di quelle generazioni e una forza a trasformare il dolore in nuova energia.

Non poteva Manuela Dviri, portavoce della delegazione israeliana all’incontro di Papa Francesco con il Primate di Costantinopoli, Shimon Perez e Abu Mazen, non terminare con la speranza.

Non mi arrendo neanch’io. Ce la faremo , noi che crediamo nei diritti inviolabili e inderogabili dell’uomo, di ogni uomo, ovunque nel mondo. E riusciremo a vivere in pace. Se non in questa generazione, ce la faranno i nostri figli, nella prossima. O i nostri nipoti. Dobbiamo farcela. Siamo ancora qui

 

A PROPOSITO DI PROFUGHI E DEL PRIMO MAGGIO…E DEI FONDAMENTI DELLA DEMOCRAZIA

I mugnai e i falegnami di Pontemanco
I mugnai e i falegnami di Pontemanco

A 70 anni dalla liberazione dal nazifascismo ci sono ancora molte storie da raccontare. Una è quella di Pontemanco e delle famiglie Brunazzo e Bertin.

A Pontemanco, borgo antico ai piedi dei Colli Euganei (oggi frazione di Due Carrare) settant’anni fa erano quasi tutti socialisti, di quelli che si riferivano a Matteotti, non a Craxi.  Dopo l’8 settembre del 1943 arrivarono in paese alcuni profughi ebrei che fuggivano dall’internamento libero a Rovigo. Clandestini e ricercati dal ricostituito governo fascista della Repubblica di Salò e dai Nazisti.

Per loro si aprirono le porte di casa Brunazzo; Guerrino, la moglie e due figli maschi, uno in seminario, Achille,  e l’altro, Isidoro ventenne, diedero ospitalità dal 31 dicembre 1943 al 27 aprile 1945 a ben 7 persone, quattro adulti e tre ragazzi a rischio della vita.

Tutto il paese che sapeva aiutò e chi non sapeva ma intuiva tenne la bocca chiusa.  Da 7 persone a 11 la differenza è tanta e in tempi di guerra col razionamento e la scarsità di viveri non fu facile far bastare le tessere annonarie.      Il mugnaio Bertin fornì legna e farina e quanto poteva, il farmacista dottor Fortin fornì medicine e assistenza.   Fu così che gli Hasson e i Mevorach con la cuginetta Estica, in fuga da Jugoslavia e Bosnia Erzegovina riuscirono a salvarsi e continuare a vivere.

Oggi sarebbe stato molto più difficile.       Chi scappa con i barconi a una morte sicura per una morte ”probabile” non può far conto della solidarietà e della apertura delle famiglie.     Chi scappa da una guerra non diversa dal secondo conflitto mondiale, anzi forse più complessa e meno facile da capire e affrontare, deve contare solo sulla salvezza dovuta dei governi.    Questi ultimi si palleggiano oneri e responsabilità ma per fortuna intervengono.

In un piccolo paese della bassa padovana il Sindaco, di base leghista, ospita alcuni profughi, ma  i suoi stessi cittadini protestano e insorgono.

Intorno a noi decine di case vuote marciscono con il cartello “vendesi” appeso alle cancellate rugginose, ma non c’è posto per i profughi.     Non si tratta di buonismo, il buonismo era quello dei Brunazzo e dei Bertin e della Pontemanco resistente.

18 aprile 2015 – Taglio di Po celebra i “70 anni di libertà”

 

Taglio di Po 2015
Taglio di Po 2015

Assistiamo in questi giorni a una ridda di polemiche in vista delle celebrazioni del 25 aprile. La più dura è quella dell’ANPI nazionale che si rifiuta a Roma di sfilare assieme a organizzazioni filo –palestinesi.      Non ci sentiamo di condannare la scelta di chi vive il 25 aprile come la festa della liberazione dalla dittatura nazi-fascista. Alla sfilata dovrebbero partecipare le forze che hanno combattuto per questo, non chi ha appoggiato, in modo più o meno importante, il tentativo di Hitler di imporre un ordine nuovo al mondo!

A meno che le sfilate non abbiano il valore di manifestazione del pentimento e dell’espiazione delle colpe, riteniamo che a sfilare debbano essere i combattenti che hanno vinto, e questa volta possiamo dire che hanno vinto “i buoni”.  Con buona pace dell’attualità, al tempo la Palestina araba si era schierata con Hitler, mentre la Palestina Inglese, che accoglieva nei suoi ranghi la “Brigata ebraica”, ha combattuto e vinto il nazional-socialismo.  Sgombrato il campo da fraintendimenti, col semplice uso della storia, possiamo dedicarci al nostro 25 aprile, che non avendo il dono dell’ubiquità, celebreremo su un tema a noi caro e in un luogo particolare.  Segnaliamo , quindi, l’iniziativa del Comune di Taglio di Po che ha appoggiato il lavoro di un giovane professore Roberto Felloni e deciso di organizzare un concerto ed una mostra dedicati all’internamento libero di alcune famiglie ebree nel paese dal 1941 al 1944.

concerto
concerto dei ragazzi delle scuole medie di Ariano Polesine e Corbola

Il concerto molto ricco di musica ebraica frammista a narrazione filmata, si terrà il 15 aprile giorno della liberazione del campo di Bergen Belsen, quello in cui è morta Anna Frank per capirci, ma dove sono state deportate e liberate le famiglie Razon e Afnaim, ebrei di origine turca ma in Italia da anni e perseguitati dal 1938.

A questo primo evento significativo seguirà, sabato 18 aprile alle ore 10.00,  sempre a Taglio di Po l’inaugurazione di una mostra sulla liberazione del territorio tra Polesine e Ferrara del Museo del Risorgimento di Ferrara, presentata dalla storica Antonella Guarnieri e l’intervento sull’internamento libero che il Fiume è stato invitato a trattare.

La mostra sarà infatti improntata sulla storia delle famiglie Razon , Afnaim e Zamojre che catturate nel Polesine vennero deportate a Bergen Belsen e ad Auschwitz. Accanto alla ricostruzione che il Fiume sta dando alle stampe, il giovane ricercatore Roberto Felloni ha aggiunto una quasi poliziesca ricostruzione dei fatti e dei luoghi in cui queste persone hanno vissuto e le loro storie drammatiche prima e poi felici dopo la liberazione.

Susanna Razon  oggi signora Veronesi, è stata una delle giovanissime protagoniste di questa pagina nera della storia italiana e ha dovuto lottare tutta la vita per cacciare i fantasmi di quegli anni che non ricorda volentieri.

Non spetta alle vittime far luce sulla loro storia, siamo noi a dover farei conti con il passato e con le nostre responsabilità.    La storia non è un’opinione e quando il Papa Francesco parla di “genocidio Armeno” fa una coraggiosa opera di divulgazione della storia anche se parla di morale, piaccia o no alle convenzioni politiche.                 Non dobbiamo aver paura della storia ma usarla per mettere le pedine al loro posto.

Buon 25 aprile, dunque, tra un sagra degli asparagi,  la festa della “pinza”, un motoraduno  e una corona deposta sulla tomba di chi ha saputo stare dalla parte giusta.

LA BUONA PASQUA DEL FIUME…

barconi viaggi speranza

 

migrazioni
                                                   migranti

 

 

 

Fra pochi giorni sarà per il mondo occidentale la Pasqua di Resurrezione. Per il mondo cristiano il trionfo della vita sulla morte e il messaggio di speranza che quel che non si è realizzato in questa vita si potrà realizzare nell’altra.    Per il mondo ebraico la celebrazione del viaggio, dell’erranza da una terra di sofferenza ad una di libertà.

In entrambi i casi non possiamo non pensare alla Pasqua come a una speranza per una vita migliore.        La Pasqua del viaggio verso un futuro che, pur ricordando la sofferenza da cui si parte, nutre in sé la speranza.

Pasqua ha l’immagine dei viaggi della speranza che siamo costretti a vedere anche oggi. Pasqua è la delusione verso un mondo che non ha ancora elaborato un modo diverso di concepire le relazioni tra uomini.  Ancora oggi dopo millenni, una parte dell’umanità deve liberarsi dalla schiavitù che le impone un’altra parte di umanità.

L’immagine della Pasqua di quest’anno per noi è quella dei barconi che attraversano il Mediterraneo pieni di uomini, donne e bambini che cercano almeno una vita … fuggendo dalla violenza degli uomini e tuttavia  confidando nella misericordia di altri uomini.

Pasqua è anche l’immagine di passate migrazioni, forse diverse o forse sempre uguali.

Pasqua è la speranza che la voce dell’umanità migliore sovrasti quella dell’umanità peggiore

13 febbraio 2015 – Tra memoria e ricordo

pahordoc

Stamattina ho telefonato al professor Boris Pahor e l’ho trovato a casa.

Luciano Bombarda era solito chiamarlo per un saluto o mandargli cartoline di auguri nell’occasione del Natale o del Compleanno. Da un po’ di tempo ho continuato a far sentire al “Professor”, come lo chiamano gli sloveni, l’affetto del Fiume, chiamandolo di tanto in tanto.

Dall’alto dei suoi 102 anni mi ha risposto con voce prima flebile e poi sempre più viva. Un po’ perplesso sul telefono cordless di cui è stato dotato ma tutto sommato contento di poter stare in posti diversi della casa e rispondere alle chiamate. Ci siamo scambiati i saluti e qualche impressione sul Giorno del Ricordo voluto da Destra e Sinistra per una sorta di pacificazione omologante che non chiarisce né unisce.

Con affetto ci siamo salutati e il professore mi ha pregato di porgere i suoi saluti gli “amici del Fiume” non escludendo di tornare da noi a presentare la sua prossima fatica letteraria! Gli ho risposto che sarà, come sempre, un piacere e dopo aver abbassato la cornetta ho capito di aver parlato con la Storia.

luciano bombarda e boris pahor a ferrara nel 2010
luciano bombarda e boris pahor a ferrara nel 2010

*Boris Pahor sloveno nato a Trieste il 26 agosto 1923 è scrittore di lingua slovena che ha sfiorato spesso la nomina al Nobel per la letteratura. Deportato dai Nazisti come oppositore politico (triangolo rosso) per la sua attività con la resistenza slovena, è stato liberato nel campo di concentramento di Natzweiler – Struthof. Scrittore prolifico ha vinto numerosi premi soprattutto in Francia la Nazione che per prima ha scoperto il suo lavoro letterario. L’opera più conosciuta è Necropolis (Fazi editore), sulla sua esperienza di deportato.